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Ensō il cerchio Zen e i movimenti circolari nel Kata – Parte 2

Ensō il cerchio Zen e i movimenti circolari nel Kata – Parte 2

Nei kata Shotokan le rotazioni del corpo di 360º possono essere associate, in modo figurativo, all’esecuzione stessa del cerchio: prova o sfida alla perfezione come quando si utilizza il corpo come un compasso.

Il cerchio è una forma fondamentale nelle arti visive ed è stato usato per secoli in molte culture come simbolo, struttura compositiva ed elemento estetico.
Di seguito alcune comparazioni e connessioni principali tra il cerchio e le arti visive.
• Composizione Circolare: nella pittura e nella fotografia il cerchio è spesso usato per creare composizioni armoniche e focalizzate. Tondo: forma circolare usata soprattutto nell’arte rinascimentale italiana (es. Tondo Doni di Michelangelo Buonarroti, 1505-07); la composizione circolare guida lo sguardo verso il centro o lo fa ruotare intorno all’opera, creando un movimento fluido.

Ensō e Calligrafia: come abbiamo visto nella prima parte, è arte e meditazione insieme nella cultura Zen.

• Simmetria e Armonia: il cerchio è simbolo di equilibrio visivo. Usato nei mandala, ma anche in architettura sacra (es. rosoni gotici), suggerisce armonia cosmica. È associato all’ordine naturale e spesso contrapposto al quadrato (materia) o al triangolo (spirito).
• Astrattismo e Modernismo: artisti del XX secolo hanno esplorato il cerchio in chiave astratta e simbolica. Wassily Kandinsky usa il cerchio come simbolo di spiritualità e forma pura; Robert Delaunay, nelle sue simultaneità circolari, fa diventare il cerchio vibrazione, energia e colore; Yayoi Kusama, i suoi infiniti “polka dots”, cerchi che invadono lo spazio, legati a una visione ossessiva e cosmica.
• Arte Sacra e Geometria Sacra: il cerchio compare in tutte le culture tradizionali. Islam: i motivi circolari nell’arte islamica evitano la figurazione, ma esprimono l’infinito divino; Arte cristiana: l’aureola è un cerchio di luce, simbolo di santità; Arte indù e buddhista: i mandala sono strutture concentriche per meditazione e rappresentano l’universo interiore. In particolare e da sottolineare, la Ruota del Dharma o dharmacakra dove il mozzo, il perno centrale della ruota, rappresenta la disciplina, i raggi la saggezza ed il cerchio la concentrazione.
• Ensō e Calligrafia: come abbiamo visto nella prima parte, è arte e meditazione insieme nella cultura Zen. È un gesto artistico che contiene presenza mentale e libertà espressiva, molto vicino alle avanguardie dell’action painting (Jackson Pollock, per esempio).
• Design, Grafica e Cinema: il cerchio è ampiamente usato nel logo design (es. Pepsi, NASA, Toyota) per la sua capacità di comunicare completezza e fiducia. Nei film, il cerchio è spesso usato come metafora visiva del destino ciclico, della prigione mentale o dell’infinito (es. Arrival, 2001: Odissea nello spazio).

Ci sono anche moltissime comparazioni simboliche e strutturali tra il Cerchio e la Letteratura.
Anche nella narrazione scritta il cerchio diventa un motivo ricorrente per rappresentare ciclicità, ritorno, destino, tempo e molto altro.
• Struttura narrativa ciclica. Molte opere letterarie seguono una struttura circolare, in cui il protagonista torna al punto di partenza, ma trasformato: Odissea di Omero: Ulisse torna a Itaca dopo un lungo viaggio – ciclo di partenza, prove, ritorno; Il Signore degli Anelli: Frodo ritorna nella Contea, ma non è più lo stesso; Cent’anni di solitudine di García Márquez: la storia dei Buendía si ripete in forma ciclica fino alla distruzione finale, chiusa e inevitabile.
Questo tipo di struttura richiama la filosofia del cerchio come eterno ritorno (Nietzsche, mito dell’Eterno Ritorno).
• Il Viaggio dell’Eroe – Monomito. Joseph Campbell ha teorizzato il “viaggio dell’eroe” come un arco circolare: partenza, iniziazione, ritorno. Molti romanzi epici, fantasy e fiabe seguono questo schema, riflettendo il movimento circolare del cambiamento e della crescita.
• Temi di tempo ciclico. In molta poesia e narrativa, il tempo è non lineare, ma circolare: stagioni, memoria, reincarnazione. T.S. Eliot, Four Quartets (“In my beginning is my end”); James Joyce, Finnegans Wake: il libro finisce con l’inizio della prima frase, creando un loop eterno.
• Simbolismo del cerchio come prigione o destino. Il cerchio a volte rappresenta anche il destino chiuso, ineluttabile: Borges, nei suoi racconti come El Aleph, usa strutture circolari per rappresentare l’infinito, la ripetizione eterna, o l’illusione della libertà; Kafka: i suoi personaggi sono spesso intrappolati in logiche circolari, burocratiche, senza via d’uscita (es. Il Processo).
• Cerchio come simbolo di unità, eternità, perfezione. In alcune opere poetiche o spirituali, il cerchio assume un senso positivo, come totalità o pace: Rainer Maria Rilke, ad esempio, scrive: “Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen” (“Vivo la mia vita in cerchi crescenti”). Il cerchio qui è evoluzione interiore, espansione dell’anima.
•Esempi di forme letterarie circolari. Palindromi: parole o frasi che si leggono allo stesso modo da sinistra a destra e viceversa (es. “In girum imus nocte et consumimur igni”); racconti a cornice: come Le Mille e una notte o Decameron, dove le storie si intrecciano in cerchi narrativi concentrici.

Anche nella narrazione scritta il cerchio diventa un motivo ricorrente per rappresentare ciclicità, ritorno, destino, tempo…

Ma ritorniamo a noi, al Karate!
I movimenti semicircolari di 180º come anche di altri spostamenti con angoli diversi nei kata Shotokan sono svariati, meno numerose sono le rotazioni del corpo di 360º che possono essere associate, in modo figurativo, all’esecuzione stessa del cerchio: prova o sfida alla perfezione come quando si utilizza il corpo come un compasso.
Il kata Gankaku è il primo che mi viene in mente!
Movimento 40, forse il più difficile di tutti, perché avviene sul proprio asse nella fase conclusiva prima del kiai: ryō ken migi koshi kamae – hidari ken o migi ken ni kasarenu (M. Nakayama, Super KARATE #8, introduzione all’edizione italiana del maestro Hiroshi Shirai, Edizioni Mediterranee, Roma, 1983, pp. 61-2).

Il giro a 360º, il nostro cerchio, inizia avendo la pianta del piede destro ben stabile, ma non rigida, sul tatami, condizione che ci viene data da una buona preparazione fisica della caviglia e del ginocchio. Il graduale spostamento, un vero e proprio avvitamento, avviene attraverso il bacino, le anche e lo psoas, l’Hara (ventre): centro energetico e spirituale del corpo, situato nell’addome, spesso indicato come seika no itten o tanden. Considerato punto focale della forza fisica e mentale, da cui si generano i movimenti e la stabilità del praticante.
Allo stesso tempo si ha una contrazione degli addominali alti che permettere di abbassare leggermente il baricentro, favorito anche con l’aiuto del movimento rotatorio delle braccia e delle spalle. Lo sguardo deve rimanere alla nostra stessa altezza, se si abbassa si rischia di cadere o perdere l’equilibrio e il risultato sarebbe disastroso, come anche la perdita della posizione della pianta del piede che comincerebbe a “saltellare” in modo imbarazzante per ritrovare o riprendere il giusto punto di stabilità. A chiusura dell’intero movimento c’è l’espirazione: la respirazione, anche qui come in tutti i movimenti nei kata, è centrale per il buon esito della tecnica.
Si tratta di capire il nostro corpo e la biomeccanica.

Ci viene in aiuto per capire meglio questo “giro” un’analogia con la navigazione a vela. È come quando usiamo il vang (che altro non è che un paranco in diagonale tra il piè d’albero e il boma) sulla vela principale, la randa.
Quando il vento rinfresca, mettiamo in tensione il vang, che ci permette di “sgrassare” la randa (la concavità della vela) e nelle andature portanti appiattisce la superficie velica (spostando in avanti, a prua, la zona di scarico, sulla balumina della vela) impedendo al boma così di sollevarsi.
Ricucendo il discorso: il centro velico (l’insieme di forze vettoriali da noi applicate per la rotazione completa) e il centro di deriva (il nostro corpo, riferito all’opera viva dell’imbarcazione, quella al di sotto della linea di galleggiamento) devono stare sullo stesso asse verticale se si vuole la “stabilità di forma”, quindi la giusta proporzione nella forza applicata nel suo insieme per lo spostamento: l’equilibrio!
La completa rotazione, circolarità del movimento, prova d’eccellenza della torsione, sfida alla forza gravitazionale, lo abbiamo anche in altri kata: il salto finale di Empi; il giro dell’angolo completo in Unsu; i due salti in Kankū shō; nel bellissimo Meikyo (anche nel nidan senza salto) e in Heidan Sandan.

(Continua)

 

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