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Nel racconto di L. Tolstoj i 10 principi del M° Hiroshi Shirai

Nel racconto di L. Tolstoj i 10 principi del M° Hiroshi Shirai

Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso – Igea Marina (RM) – 23.08.2013

(In KarateDo n. 32 ott-nov-dic 2013)

Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò

 Il M° Koso rivolge un buon giorno a tutti i presenti e ripete la consueta domanda: «Sapete ormai che dico sempre che quando per tre giorni non ci si vede qualcosa è sicuramente cambiato. Quindi, cosa c’è di nuovo per voi?».

Abbiamo parlato in passato dell’ideogramma di che si può tradurre origine, nascita per rapporto di causa-effetto. Perciò, il suo significato cambia in relazione alla specifica situazione ed è paragonabile al concetto di “zero”.
Una pianta cresce partendo da un piccolo germoglio, poi cresce nel tempo fino a diventare grande con una grossa chioma. Se ci fermassimo qui, noi percepiremmo una bella pianta, ma il suo processo continua, sui rami spuntano i fiori che diventeranno frutti e che infine marciranno e cadranno con le foglie. Il suo esistere è in continua evoluzione. Quando sembra che tutto sia finito, la primavera successiva si rinnova il ciclo ed è quindi un continuo cambiamento.
La parola kyakkashoko è un termine Zen che significa “guardare intorno ai propri piedi”. Questo per dire che chi vuole conoscere se stesso non deve guardare al passato o al futuro, ma deve capire cosa sta facendo in questo momento, perché ora è proprio lui.

Noi ci vediamo due volte ogni anno. Questo aggiornamento tecnico è una cosa meravigliosa! Alla base di questo pensiero c’è la FIKTA, con l’obiettivo di praticare il karate tutta la vita (Karate no shugyo wa issho de aru) e i cinque principi del dojōkun.

Un giorno Ananda, un discepolo di Buddha, chiede al suo Maestro: “Io ho pensato che abbiamo tanti amici e colleghi con i quali stiamo condividendo il lungo percorso della sacra Via. Noi siamo arrivati a metà strada, a metà dell’obiettivo. Questo mio pensiero è giusto?”. Buddha risponde: “No Ananda, ti stai sbagliando. Quando tu dici che hai tanti buoni amici e colleghi ti devi rendere conto che questo è già tutto”.
La risposta è inaspettata, perché a lui sembra di essere a buon punto, ma non così avanti nella ricerca. Buddha continua dicendo: “Ananda, mantenendo la pratica dell’hasshodō con i tuoi buoni amici e colleghi sei sulla strada giusta per il tuo obiettivo”.

La ricerca di questa “sacra Via” può essere paragonata al nostro jinkaku kansei ni tsutomuru koto, anche il Maestro stesso è alla ricerca della “sacra Via” e anche lui può essere un buon amico e un buon collega. Io sono qui perché ho conosciuto molto bene il M° Kase, il quale aveva un grande legame con il M° Shirai, quindi anch’io sono uno di voi, che vuole camminare insieme per lo stesso obiettivo lungo la Via del karate.
Penso che la più grande felicità sia stare insieme al M° Shirai e ricevere direttamente il suo insegnamento. È una cosa importante incontrare una persona giusta. Storicamente chi voleva intraprendere una ricerca simile si è messo in viaggio per cercare il suo Maestro.

Kyakkashoko è un termine Zen che significa “guardare intorno ai propri piedi”.

Questa volta vorrei parlarvi dei 10 principi nei quali il M° Shirai ha formato il suo karate.
SHIN – AI – JIN – TOKU – GHI – CHU – KO – YU – JYO – NIN
Questi 10 principi sono caratterizzanti il suo karatedō e non possono mai mancare.
Perciò, ho pensato di parlarvi oggi di un racconto di Leone Tolstoi (Lev Nikolàevič Tolstòj, Jàsnaja Poljana 9.09.1828 – Astàpovo 20.11.1910) che s’intitola The Godfather, tradotto letteralmente Il Padrino (del battesimo). Esso è parte di una raccolta di racconti e me ne servirò per spiegare il senso di questi principi, perché il testo mi ha sorpreso e interessato. Ogni volta che lo rileggo scopro qualcosa di nuovo.

Un giorno nasce un bambino in una famiglia di poveri contadini. Il padre è molto contento e cerca qualcuno che faccia da padrino al battesimo del suo piccolo. Purtroppo, presto si rende conto che al suo villaggio nessuno è intenzionato a essere il padrino di un bimbo di una famiglia così povera. Deve quindi andare in altri villaggi per cercarlo. Sulla strada incontra un viandante col quale scambia qualche chiacchiera. Il viaggiatore gli domanda dove stia andando e lui racconta della nascita del figlio della quale è entusiasta, ma al contempo rivela le sue difficoltà a trovare un padrino per il battesimo. Il viandante si offre di essere lui il padrino e il padre gli domanda se avesse qualcuno che facesse la madrina.
Il viandante allora gli dice di tornare al paese e di chiedere alla figlia del commerciante del più ricco negozio sulla piazza del paese. Il padre ritorna verso casa con la preoccupazione di porre la richiesta al negoziante. Una volta arrivato prende il coraggio a due mani e rivolge la sua richiesta al negoziante il quale, con grande tranquillità, gli risponde di sì.
Il giorno successivo si svolge il battesimo senza alcun problema, ma a un certo punto il padrino si rimette in viaggio lasciando il paese. Naturalmente, essendo un forestiero nessuno sapeva chi fosse.
Il bambino cresce di giorno in giorno, è la gioia dei propri genitori e, all’età di dieci anni è forte, tranquillo e intelligente, oltre a essere un bravo lavoratore.

La settimana di Pasqua al ragazzo viene voglia di ritrovare il suo padrino per fargli gli auguri. Chiede informazioni ai genitori e alla madrina, ma nessuno è in grado di fornirgli notizie. Determinato a ritrovarlo saluta i genitori mettendosi in cammino per le strade della regione. Dopo mezza giornata incontra un viaggiatore che gli domanda: «Dove stai viaggiando così giovane?». Il bambino gli racconta l’intera storia e a quel punto il viaggiatore gli risponde che lui è il suo padrino. Poi gli dice: «Io non ho tempo per seguirti a casa tua, devo recarmi in alcuni villaggi della zona, ma domani ritornerò a casa mia, se vuoi potrai venire anche tu» e gli dà delle indicazioni per arrivare al luogo «Devi camminare nella direzione del sorgere del sole e troverai un bosco nel quale si apre a un certo punto una radura. Arriva fino lì e riposati osservando cosa succede intorno. Poi, riprendi il cammino fino alla fine del bosco dove troverai un giardino intorno a una casetta con il tetto d’oro. Lì abito io e lì ti aspetterò domani». Così dicendo riprende il viaggio.
All’indomani il bambino si mette in cammino seguendo le istruzioni e ben presto arriva alla radura. Si siede e osserva un grosso pino che si trovava al centro. Nota che, appeso a un ramo, c’è un tronco di rovere e sotto di questo giace un secchio pieno di miele. Il ragazzo si chiede a cosa serva tutto ciò. A un certo punto si avvicina una mamma orsa seguita dai suoi piccoli e va diritta verso il secchio affondando il muso nel miele. Il blocco si sposta di lato e oscilla un poco. Gli orsetti si avventano verso il secchio, ma il tronco penzolante impedisce di accedere al recipiente di miele. L’orsa allora sposta con una zampata il tronco appeso per farli avvicinare al bordo, ma il tronco torna indietro uccidendone uno. Mamma orsa, in preda alla collera, si avventa con maggior forza sul tronco lanciandolo ancora più lontano, ma questo, con effetto pendolo, le ritorna addosso uccidendola, mentre i cuccioli rimasti fuggono nel cuore della foresta.
Il bambino, dopo aver visto questa scena, riprende il cammino verso la casa del padrino.

Al suo arrivo trova il padrino ad attenderlo sulla soglia di un grande palazzo che si erge al centro di un rigoglioso giardino. Il padrino è molto gentile e porta il bambino a conoscere la sua casa, gli fa girare tutte le stanze fino quando si ferma davanti a una porta chiusa da un sigillo «Tutta la casa è a tua disposizione, ma qui non dovrai mai entrare. Se lo farai ti dovrai ricordare di cosa hai visto nel bosco». Detto questo il padrino riparte per uno dei suoi viaggi e il bambino inizia a vivere nel palazzo con grande gioia.
Un giorno (gli sembra d’essere lì solo da tre ore, ma in realtà sono trent’anni) si avvicina alla stanza proibita con la curiosità di sapere cosa vi sia custodito. Rompe il sigillo e apre la porta. Nel mezzo di una grande stanza c’è un trono con appoggiato un bastone. Si siede sul trono e prende il bastone, in quel momento crollano i muri nelle quattro direzioni. Da lì si possono vedere simultaneamente tutte le parti del mondo e subito si preoccupa di guardare verso casa dei suoi genitori per sapere com’è andato l’ultimo raccolto. Quella era stata una grande annata, si vedevano grossi cumuli di grano, ma in una parte del campo c’era la carrozza di un ladro che stava caricando il lavoro di una stagione. A quel punto chiama il padre che, seguendo quello che appariva un sogno, accorre con altri contadini a salvare il suo lavoro. Così il ladro è catturato e spedito in galera.
Poi s’interessa della sua madrina, che era diventata la moglie di un commerciante. Suo marito però la sera frequentava le prostitute, così il bambino la avvisa di svegliarsi e di uscire per cercarlo. Lei, trovandolo effettivamente in cattiva compagnia, decide di allontanarlo da casa.
Infine, vuole vedere come sta sua madre. In quel momento, mentre lei sta riposando, entra in casa un ladro che incomincia a rovistare tra le sue cose. La madre avvisata dal bambino si sveglia gridando, ma il ladro, scoperto, cerca di ucciderla. Allora bambino scaglia verso il ladro il bastone colpendolo alla testa e uccidendolo sul colpo.
In quel preciso istante le pareti della stanza salgono e tutto torna come prima e, in quel mentre, rientra a casa anche il padrino: «Tu non hai mantenuto quello che ti ho detto. Hai commesso alcuni errori: hai aperto la porta della stanza che ti avevo proibito, poi ti sei seduto sul mio trono e hai preso il mio bastone ma, soprattutto, hai aggiunto altro male nel mondo. Adesso ti mostrerò le conseguenze di questo tuo comportamento».

Il padrino fa sedere di nuovo il bambino sul trono impugnando il bastone. Le pareti scompaiono aprendo la vista sul mondo «Tu hai cercato di aiutare tuo padre, ma questo ladro (Vasily Kudryashov n.d.t.), finito in galera, ha imparato solo cose malvagie e ora è tornato a casa di tuo padre, gli ha rubato il cavallo e ha dato fuoco alla sua casa».
Dopo un anno il padrino mostra al ragazzo la vita della madrina «Il marito andando via di casa ha trovato altre donne giovani e la tua madrina si è data all’alcool e la prostituta, con cui lei aveva scoperto il marito, è diventata una donnaccia cattiva».
Un altro giorno gli mostra anche il destino della madre «Tua madre è stata incriminata per l’omicidio del ladro che invece hai ucciso tu. Ora si dispera piangendo, pensando che forse era meglio se fosse morta lei. Quel ladro aveva ucciso nove persone e doveva essere giudicato per questo, ora tu ti dovresti sostituire a lui. Tu sei come la mamma orsa che, per togliere di mezzo il tronco che spaventava il suo cucciolo, l’ha spinto via e così lo ha ucciso e che poi, per vendicarsi di questo, lo ha spinto con maggiore collera ed è rimasta uccisa proprio lei». A quel punto il ragazzo chiede come può porre rimedio a ciò che ha fatto, per fare sparire il male che aveva procurato nel mondo.
«Ti suggerisco d’incamminarti nella direzione del sorgere del sole. Arriverai a dei campi dove lavorano tante persone. Osserva quello che fanno e tu potrai suggerire loro quello che sai. Andando oltre osserva attentamente quello che vedi. Al quarto giorno incontrerai un bosco nel quale vive in ritiro un vecchio monaco eremita. A lui dovresti raccontare tutto quello che ti è successo e lui ti darà sicuramente una soluzione per riparare i tuoi guai».

Il ragazzo s’incammina con il pensiero fisso al suo peccato e a come poterlo togliere. Arriva nei campi al momento del raccolto e, nello stesso istante, giunge anche un vitello che i contadini inseguono a cavallo per evitare che rovini il raccolto. Subito dopo si presenta una donna in lacrime che dice: «Vogliono uccidere il mio vitello!». Il ragazzo interviene dicendo ai contadini di uscire dal campo e chiede alla donna di richiamare il vitello che le ubbidisce, così sono tutti contenti per come si è risolta la vicenda.
Il ragazzo si rimette in viaggio ripensando a quanto successo “Se l’uomo cerca di risolvere il male con altro male non fa altro che aggravare il problema. Tuttavia, non riesco ancora a comprendere quale sia la soluzione per risolvere il male in terra”.
Giunto a un paesino chiede di porta in porta dove poter pernottare, finché trova la disponibilità di un’anziana signora. L’anziana era impegnata in quel momento a fare le pulizie di casa, stava pulendo il pavimento e il tavolo. Il ragazzo nota che continua a pulire, ma le superfici, una volta asciutte, risultano ancora sporche perché non risciacqua mai lo straccio. Allora, le fa notare che dopo avere passato il pavimento deve lavare il panno e poi può lavare il tavolo. La signora segue il consiglio e finalmente ottiene una casa veramente pulita.
All’indomani il ragazzo riprende il viaggio e arriva al limitare di un bosco dove ci sono degli artigiani che stanno costruendo delle ruote per un carro. Due di loro cercavano di calandrare al vapore delle stecche di legno, ma nonostante un grande sforzo i due non riuscivano a piegare l’asta perché il supporto girava assieme a loro. Il ragazzo spiega loro come bloccare la base, in modo che la loro leva sia efficace. Così fanno e riescono a costruire la ruota.
Ripreso il cammino incontra dei commercianti di bovini. Stavano accendendo un fuoco cercando di accatastare dei ceppi umidi, ma non prendeva perché soffocato dalla pigna di legni bagnati. Il ragazzo suggerisce loro di attendere che il primo ceppo si asciughi e che il fuoco attecchisca con decisione prima di adagiare un secondo ceppo. I commercianti lo ascoltano, ottenendo un bel focolare.
Riavviatosi, il ragazzo ripensa agli incontri, ma non riesce a trarre da essi una spiegazione che lo convinca.

A un certo punto arriva alla casetta del monaco eremita. Bussa e il monaco gli apre e il ragazzo gli racconta tutta la sua vita, compresi gli ultimi episodi del viaggio.
Prima di arrivare alla casa del monaco aveva già capito che il male non si può combattere con il male, che davanti a un impedimento la soluzione è rimuovere qualcosa piuttosto che introdurre un secondo impedimento. Però, tutto questo non gli dà la soluzione per capire come risolvere il suo problema.
Il vecchio monaco gli dice: «Vedi quell’albero? Taglialo in tre parti, poi dai loro fuoco e piantale per la metà nel bosco. Vicino c’è un fiume da cui prendi dell’acqua con la bocca e poi la porti fino ai ceppi bruciati. Quando butterai l’acqua sul primo, pensa alla vecchia signora che puliva la casa. Quando darai l’acqua al secondo ceppo, pensa come hai parlato alle persone che costruivano la ruota di legno. Infine, dando l’acqua al terzo ceppo ricorda cosa hai detto ai commercianti di bovini. Se continuerai a portare l’acqua ai ceppi bruciati, cresceranno un giorno tre alberi di melo. Nel giorno in cui ci saranno i frutti, finalmente, capirai come risolvere il problema che ti affligge. Capirai come togliere il male dalle persone».
Il ragazzo obbedisce, ma nel continuo portare l’acqua con la bocca tra il fiume e i ceppi bruciati a un certo punto si sente stanco e affamato, per cui decide di tornare a casa dal monaco per chiedere un po’ di cibo. Aprendo la porta lo trova morto a terra e così lo seppellisce con una semplice cerimonia funebre. In quel momento arrivano degli abitanti del vicino paese che gli portavano abitualmente del cibo. Si rivolgono al ragazzo, ormai cresciuto, e gli rivelano che il monaco lo aveva indicato come suo successore.
Diviene così eremita vivendo in quel luogo e continuando a portare l’acqua con la bocca ai tre ceppi bruciati. In poco tempo nella zona si diffonde la voce di questo eremita che esercita un’enigmatica pratica e la gente lo va a trovare, chiedendogli consigli sulla vita. Lui continua a portare l’acqua con la bocca, ma dopo qualche anno, ancora non è successo nulla.

Un giorno arriva da lui un bandito «Il mio lavoro è rubare e uccidere. Quando lo faccio sono contento e canto». Per il ragazzo tanta arroganza è un problema, perché il bandito spaventa e tiene lontani tutti gli abitanti del villaggio. Allora gli dice: «Se ti comporti così un giorno Dio ti punirà» «Non m’importa! – risponde il bandito – Oggi ti risparmio, ma un altro giorno se t’incontro ti ammazzo».
Passano otto anni e la vita del ragazzo, diventato un monaco adulto, procede tranquilla, ma pensando a quell’incontro il ragazzo riflette che, a causa della presenza del bandito, non ha più ricevuto alcuna visita dal villaggio “Forse sono abituato troppo bene, senza fare molto la gente viene da me e mi porta del cibo. Io continuo a portare la mia acqua e la gente mi considera quasi un santo”.
Decide così di andarsene, ma mentre è in cammino incrocia per la seconda volta il bandito: «Tu, monaco, dove stai andando?» «Ho deciso di andare in un luogo dove non c’è nessuno» «Come farai a mangiare se non c’è nessuno» «Mhhh, non ci avevo pensato, forse Dio mi darà del cibo». Sentito questo il bandito se ne va, mentre il monaco pensa “Strano, oggi non mi ha minacciato. Forse sta cambiando qualcosa in lui”. Prende coraggio e gli grida alle spalle: «Tu non puoi allontanarti da Dio!». Il bandito torna su i suoi passi con il pugnale sguainato e, mentre il monaco fugge, gli grida: «Ti ho risparmiato due volte, la prossima è sicuro che ti ucciderò!». Verso sera il monaco torna a casa per dare l’acqua ai ceppi bruciati e quel giorno finalmente spuntano i primi germogli!
Tornato alla sua vita quotidiana, deve procurarsi del cibo. Cercando nel bosco trova un sacchetto di pane appeso a un albero e così il giorno dopo e quello dopo ancora. In quel modo può continuare a vivere. Il suo unico timore è di incontrare il bandito, perché se il bandito lo uccide non riuscirà a risolvere il suo problema.

Passati dieci anni, da uno dei ceppi nasce un bellissimo melo, mentre gli altri due ceppi bruciati sono rimasti ancora tali. Il monaco pensa “Probabilmente ho commesso ancora un errore. Ho avuto sempre paura di morire e di non poter risolvere il problema che mi affligge. Se questo è il destino, forse è meglio che io muoia per espiare tutti i peccati che ho commesso”.
Non appena finito il pensiero, sente un rumore di cavalli dalla strada: sta arrivando il bandito che ha con sé una persona rapita. Il monaco blocca da terra il cavallo e chiede: «Dove porti questa persona?» «La sto portando nel bosco. Questo è il figlio di un commerciante che non mi vuole rivelare dove tiene i suoi soldi».
Il monaco, trattenendolo per un ginocchio, gli intima di lasciare il ragazzo. «Ti avevo detto che se t’incontravo di nuovo t’avrei ammazzato!» urla il bandito. «Io non ho paura di te, temo solo Dio e Dio mi dice di non farti andare via con il ragazzo». Così il monaco riesce a far scappare il ragazzo e parla al bandito cercando di convincerlo ad abbandonare quel tipo di vita, ma inutilmente, perché il bandito se ne va.
All’indomani, andando a portare l’acqua, si accorge che anche il secondo tronco comincia a germogliare.

Passano altri dieci anni e il monaco è seduto nella sua foresta, pieno di gioia. “Noi da Dio riceviamo tanta grazia, purtroppo spesso la sprechiamo. Possiamo vivere tranquillamente con la gioia. Forse è il momento che io vada tra la gente a raccontare quello che so” e così parte.
Camminando incontra nuovamente il bandito che sembra triste. Appoggiandogli una mano sulla spalla gli dice: «Fratello non devi fare soffrire la tua anima, in questo modo fai soffrire anche gli altri. Dio lascia la grazia anche per te. Dovresti cambiare la tua vita» e abbracciandolo per una gamba incomincia a piangere. A quel punto il bandito s’inginocchia davanti al monaco: «Vecchio, tu hai vinto. Noi due abbiamo combattuto per vent’anni e ora mi hai fatto cambiare. Puoi farmi qualsiasi cosa. Quando mi hai parlato per la prima volta, io mi sono comportato sempre peggio. Ho cominciato a riflettere sulle tue parole nel momento in cui ti sei staccato dalla gente che ti aiutava. Da quel momento sono stato io a farti trovare ogni giorno il pane appeso all’albero». In quel momento il monaco capisce l’accaduto della vecchia signora che non riusciva a pulire la sua casa: dimenticando se stessi è possibile purificarsi ed è possibile purificare anche le altre persone. Il bandito gli rivela: «Il momento in cui mi hai dimostrato di non pensare solo a te è stato quando non hai avuto paura di morire». E al monaco vengono in mente i costruttori di ruote: giravano e giravano senza concludere nulla, solo quando hanno fermato la morsa sono riusciti a piegare il legno “Quando è stato il momento in cui non ho avuto paura di morire, mi sono tolto dall’attaccamento della vita e ho sciolto il mio pensiero”.
Il bandito conclude: «Ma il vero momento nel quale sono cambiato è quando tu hai pianto per me dimostrandomi la tua compassione». A quel punto il monaco va col bandito sul luogo dei tronchi bruciati… anche dal terzo ceppo stava nascendo un germoglio.
Il monaco ricorda i mercanti che non riuscivano ad accendere il fuoco: accatastando un ceppo via l’altro non riuscivano a fare prendere la fiamma. Anche lui quando dentro sé ha incominciato a prendere con pazienza la benevolenza verso gli altri, solo allora è riuscito a  trasmetterla.
Il monaco racconta tutto questo al bandito e, alla fine, muore. Il bandito lo seppellisce e inizia a fare quello che faceva il monaco, diventando anche lui una persona saggia alla quale venivano a chiedere consigli dai vicini villaggi.

La ricerca di questa “sacra Via” può essere paragonata al nostro jinkaku kansei ni tsutomuru koto.

Questo non è un racconto di arti marziali, ma io ci ritrovo i principi di:
SHIN  –  AI  –  JIN  –  TOKU  –  GHI  –  CHU  –  KO  –  YU  –  JYO  –  NIN

Grazie come sempre per la vostra attenzione.
Gassho, M° Mitsutaka Koso.

Al termine del racconto interviene il M° Shirai, presente come sempre all’incontro: “Nel racconto vorrei sottolineare il gesto di portare l’acqua con la bocca dal fiume ai tronchi bruciati. Non c’è un perché, non c’è una finalità evidente. Solo un lavoro silenzioso e costante. Mi ricordo quando ero all’università e abitavo alla casa dello studente. Di mia iniziativa, senza che nessuno me lo avesse chiesto, mi occupavo ogni giorno di pulire i bagni. Il M° Suzuki mi osservava. Non mi ha mai detto nulla, ma dentro di me so che qualcosa stava pensando…”.

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