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Educare col Karate: cosa significa essere in grado di gestire le emozioni di un giovane praticante (parte 4)

Educare col Karate: cosa significa essere in grado di gestire le emozioni di un giovane praticante (parte 4)

Emozioni – Quante sono? Che cosa sono? Quale ruolo hanno nella crescita e come sono condizionate nel nostro sviluppo?

Il comportamento aggressivo
Le relazioni tra coetanei assumono spesso la forma di interazioni aggressive.
Esistono tipologie diverse di comportamento aggressivo, distinguibili sulla base delle modalità di attacco, dell’intenzione che determina l’azione e della presenza-assenza di attivazione emotiva.
Tra i bambini sono più diffuse aggressioni di tipo diretto, mirate a colpire direttamente il bersaglio attraverso attacchi fisici o verbali, ma sono anche presenti aggressioni indirette, volte a danneggiare l’immagine sociale dei coetanei e a produrre un’esclusione sociale [Masala, Preti e Petretto 2002].
Alle età di 8, 11 e 15 anni le forme indirette di attacco sono più diffuse tra le femmine, mentre tra i maschi è più comune il ricorso ad attacchi diretti, fisici o verbali [Osterman et al. 1998].
Con l’età si riduce, in ogni caso, la quantità di azioni aggressive.

Storicamente, nella nostra cultura, si è ritenuto che le emozioni fossero qualcosa di “pericoloso”, da “tenere sotto controllo”.

Le emozioni
Storicamente, nella nostra cultura, si è ritenuto che le emozioni fossero qualcosa di “pericoloso”, da “tenere sotto controllo”, qualcosa che “interferisce con il comportamento”. In realtà gli studi hanno dimostrato come le emozioni, se ben gestite, migliorino il benessere relazionale individuale.

Quali funzioni svolgono le emozioni?

  • Promuovono la competenza esplorativa dell’ambiente.
  • Permettono la regolazione intrapersonale, ovvero la regolazione nel comportamento all’interno di noi stessi.
  • Permettono la regolazione interpersonale, la necessità di comunicare il proprio stato interno agli altri.

Sono 6 le emozioni di base riconosciute come innate:

  • Rabbia
  • Paura
  • Tristezza
  • Disgusto o repulsione
  • Gioia
  • Sorpresa

Riguardo la paura Shaffer indica le seguenti caratteristiche:

  • Aspetto espressivo: sopracciglia sollevate, occhi spalancati, immobili e fissi sullo stimolo.
  • Aspetto fisiologico: battito cardiaco elevato e costante, bassa temperatura della pelle, respiro ansimante.
  • Funzione adattiva: comprendere l’elemento minaccioso, evitare il pericolo.

L’IMBARAZZO
L’imbarazzo fa parte di quella classe di emozioni definite sociali, morali o auto-consapevoli (si riferiscono alla consapevolezza di sé in un contesto).
L’imbarazzo è un’emozione provata solitamente quando si incorre nell’infrazione di regole sociali (mentre la vergogna, spesso confusa con l’imbarazzo, riguarda l’infrazione di regole morali) e porta spesso a un momentaneo calo dell’autostima (quando si dice: “che figura!”).
In una situazione imbarazzante le persone tendono ad abbassare gli occhi, distogliendo lo sguardo dell’interlocutore, e ad arrossire (a causa dell’innalzamento della temperatura del corpo e della tensione muscolare, a cui si può associare anche la sudorazione); altri atteggiamenti frequenti sono: portare la mano davanti alla bocca, produrre risolini e sorrisetti, agitarsi eccessivamente o irrigidire la postura, balbettare, alterare il volume e il tono della voce, giocherellare con i capelli ecc.
Affinché si provi imbarazzo devono essere presenti diverse variabili, tra cui la consapevolezza che il comportamento è regolato da norme sociali e il timore di infrangerle, la presenza di un pubblico che osserva il comportamento, la paura di perdere la faccia.
Alcune persone si imbarazzano più facilmente di altre perché tendono a sopravvalutare l’importanza e la severità del giudizio altrui, sottovalutando contemporaneamente le proprie capacità. Inoltre, anche la scarsa chiarezza circa i comportamenti da adottare e il proprio ruolo portano a provare più frequentemente imbarazzo, come può accadere in adolescenza periodo in cui la percezione del ruolo risulta ancora sfumata.

L’imbarazzo fa parte di quella classe di emozioni definite sociali, morali o auto-consapevoli.

Situazioni imbarazzanti (Sabini 2000)

  • Compiere un “passo falso”: ci si imbarazza in seguito a una gaffe dovuta alla trasgressione di una norma sociale (ad esempio dico che Paolo mi è antipatico e solo dopo mi accorgo che dalla stanza limitrofa Paolo m ha sentito); questo tipo di imbarazzo richiede di comprendere lo stato mentale dell’altro, in seguito alla propria trasgressione.
  • Essere al centro dell’attenzione: si prova imbarazzo quando ci si sente osservati.
    All’interno di questa categoria si distinguono due situazioni: una nella quale il pubblico è costituito da persone conosciute (ad esempio in una festa tutti rivolgono l’attenzione su di me), l’altra che vede la presenza di persone sconosciute (ad esempio inciampo mentre cammino).
  • Trovarsi in una situazione sgradevole: ci si imbarazza quando c’è una svalutazione di sé (abbassamento dell’autostima) dovuta a un’azione o a un fatto (come l’infrazione di norma sociale) passato o che si deve ancora compiere (come pagare un debito); in questo caso l’attenzione è sul soggetto stesso e richiede esplicitamente di far riferimento ai propri ed altrui stati mentali.

Rispetto alle altre emozioni l’imbarazzo appare relativamente tardi nello sviluppo. Infatti, questa emozione richiede di riconoscere e coordinare tra loro più rappresentazioni mentali relative a sé (ad esempio come voglio apparire), agli altri (cosa pensano di me) e alle norme sociali (quale comportamento tenere in certe situazioni). Baron-Cohen (1999) ha trovato che la comprensione del “passo falso” è compresa pienamente solo a partire dai 9-11 anni.

Il rinforzo
3 concetti chiave:

  • Mantenimento: se il rinforzo è fornito in modo continuato nel tempo il comportamento che ne scaturisce si mantiene a lungo.
  • Generalizzazione: a fronte di un rinforzo ottenuto il comportamento inizialmente “bersaglio” dello stimolo tende ad ampliarsi verso comportamenti simili (ad esempio superare un esame di cintura può portare a motivarmi e a impegnarmi anche nella preparazione di una gara).
  • Estinzione: la mancanza di rinforzo porta il comportamento a estinguersi (ad esempio, se non venissero più premiati i vincitori in una gara sarebbe probabile una flessione nella partecipazione).

Il rinforzo, che può essere positivo (ad esempio il voto, le lodi, un premio ecc.) o negativo (ad esempio sguardo arrabbiato, isolamento dal gruppo ecc.), deve indurre a concentrarsi e a impegnarsi maggiormente, altrimenti perde il suo significato.
Esiste anche la “punizione” (brutti voti, perdita di privilegi ecc.) che deve però avere un fine educativo e non solo un aspetto valutativo.
Per essere efficace un rinforzo deve: 

  • essere contingente alla prestazione, cioè elargito dopo la manifestazione del comportamento desiderato;
  • essere mirato a un comportamento specifico e non a un insieme generico;
  • essere credibile; lodare un bambino che ha effettuato una prestazione scadente non è credibile, il bambino stesso se ne accorge e la lode non ottiene l’effetto atteso;
  • essere collegato con la “ ricompensa”.

La psicologia può aiutare molto gli allenatori/istruttori nell’approccio con i bambini in modo da considerare la pratica sportiva come momento formativo della persona a tutti gli effetti.

I BAMBINI E LO SPORT
Tutti siamo consapevoli che lo sport faccia bene alla mente e al corpo.
Lo sport consente di sfogarsi sia fisicamente sia mentalmente: praticando si allentano le tensioni muscolari, che sono spesso conseguenza delle tensioni che si creano a livello mentale, e si libera la testa dai pensieri di ogni giorno (ad esempio doveri scolastici, problemi di famiglia, litigi con gli amici ecc.).
Fare sport è anche motivo di soddisfazione: si fanno progressi, si apprendono cose nuove e tutto questo dà una sensazione di competenza, che è importante per acquisire sicurezza in sé.
Lo sport dà modo di comprendere l’importanza del rispetto delle regole e degli altri: ogni disciplina sportiva ha le proprie “leggi”, rispettarle vuol dire accettare e condividere con gli altri un certo modo di agire e comprendere che quelle regole non sono costrizioni, ma sono un modo per entrare meglio in relazione con gli altri.
Le regole caratterizzano l’andamento della lezione sportiva: di solito prima è previsto il riscaldamento e poi l’attività specifica vera e propria; c’è un momento in cui si può dialogare e un momento per stare in silenzio e ascoltare, c’è un tempo per muoversi e mettere tutta l’energia in ciò che si fa e un tempo per recuperare fiato.
Imparare a rispettare le regole, seguendo i consigli dell’insegnante ed evitando movimenti scorretti o inopportuni, s’impara anche a rispettare se stessi; si tenga anche conto che le regole sono importanti perché sostengono il bambino/ragazzo nella crescita: sono come dei paletti a cui appoggiarsi e su cui fare affidamento per non perdersi.
Fare sport aiuta, inoltre, a socializzare con gli altri (adulti, coetanei e più piccoli) in un contesto diverso da quello che si è soliti frequentare (come scuola o famiglia).
Lo sport quindi non è importante solo per un sano sviluppo fisico, ma anche per quello psicologico (è anche una valvola di sfogo per alcune tensioni e stimola la crescita della fiducia in sé) e sociale (favorisce l’incontro leale con gli altri e insegna il rispetto delle regole). Non si trascuri l’impatto che ha sulla sfera cognitiva in quanto stimola la concentrazione e l’attenzione.

Tramite lo sport, inoltre, il bambino impara a conoscere meglio se stesso e i propri limiti e, in modo “giocoso”, comprende che il miglioramento di sé e delle proprie abilità fisiche può avvenire solo tramite la costanza dell’impegno: impara a faticare per ottenere certi obiettivi e a non lasciare tutto alla prima difficoltà.
Lo sport ha perciò finalità educative a tutti gli effetti: praticare dello sport, gestendo nel modo giusto le emozioni e rispettando lo sviluppo psico-fisico dell’atleta, aiuta a crescere in modo sano sia fisicamente che psicologicamente, consentendo al bambino di entrare sempre meglio in relazione con l’altro e anche con se stesso.
La psicologia può aiutare molto gli allenatori/istruttori nell’approccio con i bambini in modo da considerare la pratica sportiva come momento formativo della persona a tutti gli effetti.

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