728 x 90

Kojo-ryu karate

Angelo Bonanno con Shingo Hayashi Sensei e il team del Kojo-ryu

Introduzione e panoramica storica dello “Stile Fantasma” di Okinawa.

Esiste uno stile di Karate che, dai natali okinawensi, ha una tradizione che si perde nella notte dei tempi ed è stato tramandato in segreto fino agli anni 60, esso è poco conosciuto e ancora meno diffuso nel mondo, tanto da essere appellato come lo “stile fantasma di Okinawa”, si tratta del Kojo-ryu.
Ciò che oggi viene conosciuto come Kojo-ryu 湖城流, dal nome della famiglia che lo sviluppò, è un antico metodo di lotta le cui origini si farebbero risalire, a detta dei maestri attualmente attivi (Shingo Hayashi e Takaya Yabiku), ad almeno 300 anni addietro, collegandoli alla pratica del cinese Cai Zhao Gong, in giapponese Sai Choko o Kojo Wekata (1656 – 1737), della comunità cinese residente nel villaggio di Kume (Kuninda) in Okinawa. 

Shingo iniziò la pratica del Kojo-ryu nel 1963 e oggi vive in Giappone dove insegna a solo tre allievi.

Il Kojo-ryu ha radici nell’arte della guerra cinese, nel senso lato di tattiche e tecniche di combattimento a mani nude e con armi, dato che si ritiene che lo stesso Kojo Wekata abbia studiato sia nel Fujian sia nel Beijin in ambienti aristocratici e militari; pare che egli fosse funzionario governativo delle Ryukyu e che, rivestendo anche l’incarico di “Ufficiale di almanacchi”, fosse inviato in Cina per studiare. Si racconta che si addestrò addirittura alla corte dell’imperatore Kang Xi della dinastia Qing e che ricevette proprio da lui in persona la licenza d’insegnamento dell’arte del combattimento.
Pare che Kojo Wekata istruisse profondamente un uomo oggi conosciuto come Kojo Shinunjo (data non pervenuta), che pare fosse il nipote, vedendo in lui il suo successore tecnico. Egli riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo del metodo tanto da essere considerato il vero primo caposcuola, la prima generazione del Kojoryu.
Si pensa che sia stato proprio lui a iniziare la formalizzazione tecnica del futuro stile di famiglia, avendo appreso tutto da Kojo Wekata e avendo approfondito ulteriormente l’arte della lotta a mani nude nel Fujian, dato che fu un Pechin (soldato) della corte reale di Ryukyu e guardia al castello di Shuri. La gente di Okinawa chiamava il suo metodo come Kojo-no-Kuninda-di.

Il successore di seconda generazione fu Kojo Shoi (1816 – 1906), il quale apprese il metodo di famiglia e approfondì le tecniche della Gru Bianca nel Fujian, nonché il bo-jutsu (bastone) e il tanto-jutsu (pugnale), arricchendo il repertorio dello stile.
I periodi corrispondenti alla terza e alla quarta generazione della famiglia Kojo furono i più importanti e fruttuosi per la futura concreta strutturazione dello stile.
Il membro di terza generazione più influente sotto questo punto di vista fu Kojo Tatei (1837 – 1917), nipote di Shoi. Tatei approfondì gli studi del combattimento a mani nude in Cina, sotto il guerriero cinese Iwah (colui che istruì anche il famoso Sokon Matsumura dello Shuri-te) e Wai Shinzan (che istruì anche Higashionna del Naha-te). Si ritiene che Tatei portò dal Fujian un manuale tecnico segreto, le cui istruzioni si rispecchiano fortemente nella pratica del Kojo-ryu, e che tale tomo sia l’antico famoso Bubishi di Okinawa.
Tatei incluse nello stile di famiglia i tre kata che oggi sono il core e il livello più avanzato del metodo, ossia Hakko, Hakuryu e Hakkaku (rispettivamente Tigre Bianca, Drago Bianco e Gru Bianca).

Il Kojo-ryu è un’arte marziale molto combattiva e include kata a mano vuota e kata con armi.

Nella quarta generazione, Kojo Kaho (1849–1925) importò nello stile di famiglia, già ben delineato, i tre kata che oggi definiscono il livello medio di addestramento, cioè Tenkan, Kukan e Chikan. Egli, inoltre, creò i tipici due kata di jo-jutsu e, cosa molto importante, cominciò a fondere pesantemente il chuan-fa di famiglia con le tecniche di lotta autoctone di Okinawa.
Nella quinta e sesta generazione si ebbero ulteriori arricchimenti del metodo, così com’è tradizione a Okinawa di “dar vita a un chanpuru” nel karate.
Kojo Saikyo (1873–1941), nipote di Kaho, studiò infatti altri stili del karate okinawense, nonché la forma di sumo locale e il sai-jutsu, introducendo elementi di tutte queste discipline nello stile di famiglia.
Kojo Kafu (1910–1996), figlio di Saikyo, fu l’ultimo caposcuola dello stile di famiglia e colui che concretizzò ulteriormente e definitivamente il metodo. Egli approfondì anche sotto il nonno e lo zio, e studiò altre discipline come il Sekiguchi-ryu Jujutsu e il Jukendo. Kafu fu contemporaneamente un esperto anche di Shorin-ryu, avendo studiato sotto Hanashiro Chomo e il suo amico Choshin Chibana.

Alla fine degli anni 60 Kafu decise di rompere la tradizione di famiglia e di aprire un dojo pubblico, dove oggi c’è il mercato di Makishi a Naha, così chiamò inizialmente lo stile con la doppia nomenclatura Shinzan-ryu Shorin-ryu, ma ben presto decise di chiamarlo definitivamente Kojo-ryu.
Varie associazioni di karate di Okinawa provarono a convincere Kafu a unirsi a loro, lo stesso Chibana Sensei lo invitò più volte nella sua associazione, ma, dopo alcuni tentativi di collaborare, Kafu decise di continuare a insegnare e a preservare il suo karate nel vecchio modo, senza entrare in questioni burocratiche e legarsi ad altre realtà.
Il dojo di Kafu purtroppo ebbe vita breve, in quanto lo stesso caposcuola e il figlio Shigeru, suo possibile successore, vennero a mancare prematuramente. Per questo motivo, quando la famiglia Kojo chiuse il dojo e gli studenti di Kafu non ebbero modo di esercitarsi, il Kojo-ryu divenne il cosiddetto “stile fantasma di Okinawa” e non si poté più approfondirlo e diffonderlo.

… contempla sei kata che sono stati trasmessi unicamente a livello familiare e sono unici nel mondo del karate.

Uno dei pochissimi studenti esterni alla famiglia, uno dei più fidati, era Shingo Hayashi, che oggi è ritenuto l’erede morale di Kafu, dato che i membri viventi della famiglia Kojo non hanno interesse verso la pratica del karate.
Shingo iniziò la pratica del Kojo-ryu nel 1963 e oggi vive in Giappone (mainland) dove insegna a solo tre allievi, lontano da politiche federali o associazionistiche, tramandando alla vecchia maniera ciò che gli è stato insegnato dal suo Sensei tanto da essere conosciuto come kakuri bushi, “guerriero nascosto”.

Il Kojo-ryu è un’arte marziale molto combattiva e include kata a mano vuota e kata con armi.
Se considerato come un sistema risulta molto complesso e contiene molti kata derivati e dall’antico chuan-fa e dai metodi autoctoni di Okinawa, conosciuti come Shuri-te, Tomari-te e Naha-te. È anche considerato come Kuninda-di, poiché, come già detto, la famiglia Kojo viveva nel villaggio di Kume.
Se considerato come uno stile propriamente detto, contempla sei kata che sono stati trasmessi unicamente a livello familiare e sono unici nel mondo del karate, poiché nessun altro stile possiede kata simili. Questi kata sono Tenkan, Kukan, Chikan, Hakko, Hakuryu e Hakkaku; i primi includono 12 kamae-te tipici dello stile, che rappresentano i dodici animali dello zodiaco e hanno particolari applicazioni.

Il ricco repertorio di atemi-waza, kansetsu-waza, shime-waza e nage-waza, deriva dalla combinazione di varie radici tecniche e vuole il tipico “chanpuru di Okinawa”; infatti, lo stile è un progetto e fusione di esperienze provenienti da molteplici metodi come Xingyi-quan, Luohan-quan, Hakutsuru-ken, Uchina-di e anche il giapponese Jujutsu.
Il Kojoryu è un metodo che è ancora praticato e insegnato secondo i principi di un vecchio karate familiare, mira esclusivamente allo studio dell’autodifesa più diretta ed efficace. La sua complessità tecnica si risolve nella paradossale ricerca della semplicità dell’azione, al fine di rendere la difesa la più potente e neutralizzante possibile.

La sua complessità tecnica si risolve nella paradossale ricerca della semplicità dell’azione.

Il Kojo-ryu si caratterizza dal vasto uso della mano aperta anziché del pugno di tipo seiken-tsuki, inoltre, sono tipiche dello stile le tecniche tate-tsuki, ippon-ken, hiji-uchi, nukite-uchi, shuto-uchi e soprattutto shotei-uchi.
È uno stile ricco di tegumi (o tuite) cioè tecniche di lussazione e sottomissione, nonché kyusho-jutsu; la strategia di lotta rimarca l’idea della continuità del movimento per non lasciar tempo di reazione all’aggressore.
Il Kojo-ryu è anche uno stile molto spirituale, il Sensei dice sempre che esso può essere praticato solo da chi è dotato di kokoro, cuore sincero; egli dice che la semplicità è la tecnica più complessa e più importante, nella dottrina del combattimento così come nella dottrina della morale.

 

NOTA BIBLIOGRAFICA
Intervista a Shingo Hayashi, Giappone – 2016
Intervista a Takaya Yabiku, Okinawa – 2014
Takao Nakaya, Karate-do – History and Philosophy, 5^ ed., JSS Publishing Company, 2018

Ti potrebbe interessare anche:

Articoli recenti

I più letti

Top Autori