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I principi del KU alla base della vita

I principi del KU alla base della vita

Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso. Igea Marina (RN) – 26.08.2011

(In KarateDo n. 24 ott-nov-dic 2011) 

Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò

La lezione del M° Koso dell’agosto 2011 è iniziata con il saluto a tutti i presenti.
Come sempre mi domando se è vero il detto che quando non ci s’incontra per più di tre giorni qualcosa è cambiato, quindi, cosa c’è di nuovo per voi?
In Giappone dal XII al XIII sec. d.C. è vissuto un personaggio importante, un grande filosofo di nome Kamo Chōmei (1153-1216). Egli scrisse nel suo libro “…la corrente del fiume non si ferma mai, ma in ogni istante quello che passa non è mai uguale…”. Nel mondo non si ripetono mai le stesse cose, la vita è sempre in evoluzione.

Il nostro corpo è come il letto del fiume: l’acqua che lo attraversa determina i cambiamenti nel corso del tempo.

Rudolf Schoenheimer (1898-1941), biochimico tedesco, ha sviluppato tra i suoi studi la ricerca di come sono assimilati gli alimenti dall’uomo per arrivare a capire il significato della vita. Noi sopravviviamo grazie al sacrificio del cibo, di natura animale o vegetale. Il cibo di per sé, a livello microscopico, è l’unione di tante piccole particelle. Il nostro corpo allo stesso livello è anch’esso formato da tante piccole particelle.
Schoenheimer ha sviluppato il suo lavoro su topi di laboratorio. Egli ha capito che il cibo entra nell’essere vivente per tutta la vita con il flusso continuo, come l’acqua che scorre nel fiume. Le particelle sviluppano in parte energia e in parte contribuiscono a cambiamenti del corpo che le assume. Il nostro corpo è come il letto del fiume: l’acqua che lo attraversa determina i cambiamenti nel corso del tempo.
Questo esempio mi serve per introdurre il racconto di oggi.

Vorrei parlarvi del concetto di ku.
Abbiamo già detto come questo ideogramma sia contenuto nel modo di scrivere Karate-do. In Giappone l’ideogramma di ku si pronuncia sora (inteso come cielo), kara (inteso come vuoto), akeru (inteso come svuotare) e poi naturalmente ku.
Il M° Mabuni nel libro “Invito al Bu-do Karate” descrive ku come difesa del nostro corpo dal nemico senza l’uso di armi. Questo è simbolico per tutte le tecniche, considerando la filosofia di base tratta dal Maka Hannya Haramita Shingyo.
Il Karate-do è una Via per arrivare alla comprensione dei principi del ku che stanno alla base della vita.
Il M° Mabuni scrive che proteggere il corpo dal nemico non è il solo scopo, il pericolo potrebbe essere anche interno. Bisogna ragionare su come il pensiero che muove la tecnica per uccidere sia un’idea negativa. Dopo anni di pratica ci si può liberare dell’attaccamento (bonno) a questo pensiero.
Anche oggi ho sentito da voi il dojo kun. Ogni volta mi commuovo e si vede che voi vi allenate sempre con questo pensiero. Nel buddhismo dojo kun significa sei gan (giuramento), una grande ambizione! Con tanti anni di pratica, nel buddhismo l’uomo può diventare Buddha. Sembra che voi pratichiate allo stesso modo di un monaco buddhista, praticate tutta la vita…
La trasformazione del Karate-do attraverso la pratica del significato di ku ha realizzato una grande crescita. Il cambiamento d’ideogramma da to a kara, inteso come ku, ha prodotto il vero salto di qualità della pratica stessa.

Il cambiamento d’ideogramma da to a kara, inteso come ku, ha prodotto il vero salto di qualità della pratica stessa.

Oggi cercherò di spiegarvi il sutra: Maka Hannya Haramita Shingyo. Questo sutra è composto solo da 262 ideogrammi. Pur essendo breve rispetto ad altri, per la sua comprensione è forse necessaria tutta la vita. Può essere che si colga il suo significato alla fine della propria esistenza e, comunque, per capire bisogna sempre andare avanti.
I sutra del buddhismo sono più di cinquemila. Quelli che trattano il significato di ku sono circa seicento. Questo particolare sutra è stato scritto più di duemila anni fa. In origine si scriveva Prajñāpāramitā Hridaya sutra.

  • Prajñā significa intelligenza: scoprire la verità, ma non intesa come conoscenza, che è una pratica quotidiana più pesante.
  • Pāramitā vuole dire perfezionamento, completamento, oppure, arrivato al di là dell’altra sponda. Al principio il giuramento (sei gan) praticato per tutta la vita diviene realtà. Seguendo un pensiero ideale per trovare un punto d’arrivo è possibile giungere a una verità che contiene una forza straordinaria. Così le parole del dojo kun possono prendere veramente significato.
  • Hridaya è cuore (anche come organo), principio, sostanza.
  • Sutra è una massima filosofica, religiosa, scientifica o morale che contiene la verità.

Prajñāpāramitā Hridaya sutra è dunque uno scritto creato per arrivare a sviluppare un principio di saggezza. È un racconto di tre personaggi: Buddha, Avalokiteśvara, Śāriputra.
Di Buddha ho parlato altre volte. Prima di diventare come Buddha si prende il nome di Bosatsu. Avalokiteśvara è Bosatsu: una persona saggia, come se fosse un medico, che per salvare le persone sceglie di rinunciare alla carriera di primario per andare tra la gente, nell’interesse della società e non di quello personale.
Śāriputra è il primo discepolo di Buddha e ha diretto nella sua vita una comunità religiosa.
I tre facevano meditazione assieme ad altri discepoli. Un giorno Bosatsu arrivò a un’illuminazione per la quale comprese che l’uomo è formato di 5 elementi che non hanno sostanza.

  • Il primo è il corpo inteso come unione di forme.
  • Il secondo è l’unione dei sensi.
  • Il terzo è l’unione di distinzione.
  • Il quarto è l’unione di memoria.
  • Il quinto è l’unione di giudizio, di valutazione.

La verità è che questa affermazione non considera la sostanza. Il corpo può essere pensato come shiki (corpo, forma), come un albero, una pianta, una montagna e tutte le cose che hanno la loro forma, ma queste cose non smettono mai di evolversi e di trasformarsi, quindi, la loro forma non ha sostanza. I cinque sensi si sviluppano attraverso gli occhi, le orecchie il naso, la lingua e il corpo. Per esempio, quando mangio un sushi la sensazione che ho attraverso il gusto mi permette di capire se è buono o no. Dipende da un fattore esterno. L’unione della distinzione permette di catalogare la sensazione del sushi mangiato come buono o cattivo. Tale distinzione non è sempre perfetta. La memoria permette di ricordare il gusto di ciò che è stato mangiato per confrontarlo con quello che sto mangiando. Anche questo ricordo non è preciso, perché può essersi trasformato nel tempo. Il giudizio è l’atto finale che mi permette di dire: “Ecco questo è sushi!”. Ma al contempo sto pensando anche ad altro, quindi, lo stesso giudizio non è assoluto.

Non si può esistere da soli senza il merito di tutto ciò che ci circonda, perché attraverso le cose esterne abbiamo la percezione del mondo stesso e quindi di noi.

Śāriputra domanda a Bosatsu in maniera diretta: «Chi volesse mettere in pratica il Prajñāpāramitā Hridaya sutra come può fare?». Bosatsu risponde: «O Śāriputra, la forma non è differente dal vuoto. Il vuoto non è differente dalla forma. Forma è vuoto, vuoto è forma. Ciò vale anche per gli altri quattro elementi: sensazione, percezione, discriminazione e coscienza». Tutte le cose non hanno sostanza, perché la forma è legata al cambiamento materiale. Non c’è sostanza, ma non si parla del nulla. Il giudizio finale dipende sempre e solo da se stessi in quel preciso momento. Può esserci un’allucinazione che è vuota, non esiste, ma se ne sente l’effetto. In sanscrito si dice Śūnyatā ovvero vuoto, zero. Zero è zero, ma esiste. In cinese questo concetto si traduce come ku. Quello che noi vediamo e quindi pensiamo che esista, ogni giorno si muove, si evolve, si trasforma e, quindi, c’è, ma non ha consistenza. Non si può esistere da soli senza il merito di tutto ciò che ci circonda, perché attraverso le cose esterne abbiamo la percezione del mondo stesso e quindi di noi.

Nella vita il gusto può cambiare. Oggi mi piace una macchina, ma tra due anni credo che non penserò allo stesso modo. Cambiano le cose che ci circondano e cambia il nostro pensiero.
Un importante monaco del XIII secolo a.C. Hōnen disse: “Il mio cuore è come una scimmia che salta da un ramo all’altro e non si ferma mai. E io non posso faci nulla. Non è una negatività, il nostro cuore è così”.
Non si può decidere con mentalità ristretta o pregiudizievole. Se è possibile pensare con una mentalità collegata all’universo intero, alla natura, si comprende allora come la vita sia un vero miracolo. Quando si ottiene questa consapevolezza non c’è più distinzione tra vita e morte, nasce solo un pensiero di ringraziamento per essere vivi e poter essere parte di tutto ciò. In questo modo cambia il punto di vista sulla vita intera. Come la corrente del fiume cambia l’acqua in continuazione, come le particelle che costruiscono il nostro corpo si rinnovano tutti i giorni ed è impossibile fermare l’attimo per cercare di comprenderne la forma, così si deve togliere l’attaccamento per tutte le cose come se fossero un fantasma, un’allucinazione.

Tornando a quello che diceva il M° Mabuni, il Karate-do cerca di distruggere il nemico dell’attaccamento al pensiero, arrivando al totale distacco dalle cose materiali. Anche bonno – il pensiero negativo, l’arrabbiatura, il desiderio irrefrenabile – non ha sostanza e perciò si può cancellare. A noi sembra realtà, invece non ha sostanza. Il nostro modo di pensare con la riflessione potrebbe cambiare il significato reale. Se attraverso la pratica riesce a migliorarsi, può percorrere la stessa trasformazione di ku, potrebbe formare se stesso migliorando il carattere con la costanza e la pazienza, ritornando alla tranquillità interiore che consente di dare un giudizio equilibrato. Il bonno si può controllare vivendo quotidianamente con serenità e con uno stato d’anima di ku.
Attraverso la Via del Karate-do credo sia possibile raggiungere quest’obiettivo. La carità accompagnata con parole gentili toglie di mezzo la tristezza. Un dolce è sempre buono e se è condiviso in allegria con altri, ha un gusto ancora migliore.

Il Karate-do cerca di distruggere il nemico dell’attaccamento al pensiero, arrivando al totale distacco dalle cose materiali.

Tornando al senso dell’ideogramma di ku all’interno della forma di scrivere Karate-do da parte del M° Funakoshi, credo s’intenda quello che vi ho appena detto. Do ho già spiegato che è la strada da percorrere per arrivare alla illuminazione, a comprendere il proprio pensiero.
Quando ci si ammala, si capisce ancora di più cosa significa essere vivi. Mio padre perse conoscenza per un infarto. Al suo risveglio volle ringraziare tutti perché diceva che gli apparivamo come Buddha.
Chiamo ogni tanto mio padre a casa, in Giappone. A un certo punto il suo udito ha cominciato a calare. Quindi, quando gli domandavo «Stai bene?» lui rispondeva «Stai bene? Se tu stai bene, io sto bene». Proprio in questi giorni i miei figli hanno incominciato ad usare nei miei confronti questo modo di rispondere. Non l’hanno appreso direttamente dal nonno… forse hanno capito qualcosa.
Non si deve avere un pensiero fisso e prevalente al ku. Non si deve pensare troppo a non avere pensieri. A una cosa, anche se giusta, non si deve dare un eccessivo interesse.
Per concludere, di questo sutra: Maka Hannya Haramita Shingyo, si dice che esso sia l’arrivo all’illuminazione esatta.
Tutti giorni sono nuova vita!

Grazie come sempre per la vostra attenzione.
Gassho, M° Mitsutaka Koso.

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