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Il M° Shirai suggerisce il suo insegnamento attraverso la pratica, cercando di farci fiorire e diventare veri uomini.

Il M° Shirai suggerisce il suo insegnamento attraverso la pratica, cercando di farci fiorire e diventare veri uomini.
Il M° Shirai e il Monaco Koso allo stage ISI Ente Morale a Bellaria agosto 2018Foto di Federica Achilli

Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso. Igea Marina (RN) – 29.08.18

Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò

Saluto tutti e vi ringrazio per il vostro invito, sono molto contento di rivedervi. Ricordo sempre che l’occasione che mi porta qui è il mio incontro iniziale con il Maestro Kase che a sua volta è stato sempre legatissimo al Maestro Shirai e, quindi, io oggi sono qui.
Quando vengo qui, ascolto e penso ai cinque principi del Dojo Kun. Il primo: jinkaku kansei ni tsutomuru koto. Secondo me, chi forma il carattere attraverso il karatedo diventa un vero uomo in grado di illuminare (trasferire saggezza) le altre persone.

Chi forma il carattere attraverso il karatedo diventa un vero uomo in grado di illuminare (trasferire saggezza) le altre persone.

Nell’antica Grecia c’era un filosofo di nome Diogene. Quando Alessandro Magno passò per Corinto, Diogene stava seduto a terra prendendo il sole e Alessandro Magno gli domandò se avesse qualche desiderio da chiedergli. Diogene gli rispose: “Sì, ti puoi spostare dal sole che mi stai facendo ombra?”.
Un altro aneddoto su Diogene è quello che narra di lui che gira di giorno per la città con una lanterna accesa. La gente incuriosita gli chiese: “Cosa stai cercando?” e lui rispose: “Io sto cercando un vero uomo”.
Anche in Giappone visse un personaggio simile a Diogene, il suo nome era Ikkyu-san (1394 – 1481) ed era un monaco che portava la spada. Un giorno, si aggirava per il paese con un fodero della katana laccato di un rosso vivo. La gente gli chiese “Cosa fai in giro con la spada?” ed egli rispose, sfoderando una spada di legno, “Oggi la gente non è quello che sembra, da fuori appare una cosa, ma all’interno è diversa”.

In sanscrito uomo si traduce manusya. Buddha era chiamato anche Shakya-muni. Muni o manusha significa pensare, quindi, persona che pensa.
L’uomo deve pensare e, a seconda del suo pensiero, può essere uomo o no. Nell’insegnamento di Buddha dall’inizio alla fine si parla di cuore (inteso come kokoro). Il discorso centrale del kokoro sta nella purificazione per diventare appunto puro, sereno, leggero, sincero e non egoista. Quando l’uomo nel suo cuore è puro, può capire la verità. 

Noi tutti abbiamo la capacità per capire questa cosa, perciò, dobbiamo approfondire e sviluppare questa capacità attraverso un processo che ci porti a diventare un vero uomo.

Per esempio, nell’allenamento del karate qualcuno impara e ricorda subito un nuovo kata. Oppure, qualcun altro ha bisogno di molte più ripetizioni per arrivare allo stesso risultato, ma quest’ultimo non è inferiore al primo.
Per esempio, un albero che fiorisce è diverso dagli altri, ma nonostante  questa differenza, è uguale agli altri in una omogeneità generale. Invidiando un’altra persona si rischia di perdere il valore di se stessi.

Anche quest’anno ho seminato nel mio orto pomodori, cetrioli, melanzane. All’inizio di agosto i pomodori sono maturati e sono buonissimi. Io all’atto pratico ho fatto ben poco, ma da un solo seme si è sviluppata una pianta e poi un frutto favoloso.
Il risultato è arrivato da tutti i fenomeni della natura: la terra, l’aria, il sole, la pioggia, i batteri, tutti hanno contribuito al risultato. Il mio è stato un raccolto importante e, non riuscendo a mangiare tutto, ho distribuito una parte ai miei vicini di casa. Nei giorni seguenti la gente ha incominciato a ringraziarmi e, quindi, io ho dovuto ringraziare a mia volta i pomodori, perché hanno contribuito a far crescere il mio rapporto con i vicini.
Sembra un episodio da nulla, ma in realtà stiamo parlando di ku: da una piccola azione (la semina) è nato un rapporto tra persone che non si può vivere da soli.
Anche da un piccolo incontro si può far nascere qualcosa, anche solo per casualità, in futuro potrebbe diventare qualcosa di più grande, che però bisogna saper “raccogliere”.

Quando l’uomo nel suo cuore è puro, può capire la verità.

Tornando al Dojo Kun mi vorrei soffermare su reigi o omunzuro koto. Vorrei ringraziare il pomodoro, ma questo ringraziamento non è come pregare, ma, forse, è più venerare, adorare o, meglio, rispettare e riverire. Nell’antico saluto indiano si univano le mani chinando la testa. Il suo significato è rispettare le persone verso le quali s’intende esserci una grande possibilità. È così che a me è venuto spontaneo ringraziare e adorare questo pomodoro, perché la forza della natura in lui intrinseca ha fatto rafforzare il rapporto con tutti i miei vicini.

Tempo fa vi parlai di una storia sentita da mio padre.
C’era un giovane laureato che stava sostenendo un colloquio d’assunzione in un’azienda. Nella commissione era presente anche il Presidente dell’azienda. Al termine della prova il Presidente disse: “Tu hai sostenuto un ottimo colloquio, ma vorrei farti un’ultima domanda, i tuoi genitori sono contadini, vero? Tu hai mai lavato i piedi a tua madre o a tuo padre?”. La domanda lasciò di sorpresa il giovane, perché inattesa. Egli comunque rispose, dicendo: “Io non ho mai lavato i piedi ai miei genitori”. Allora, il Presidente chiese: “Se tu tornassi un giorno a casa, potresti lavare i piedi ai tuoi genitori? Potresti prometterlo qui, oggi? Quando poi tornerai da me, potresti raccontarmi quello che sarà successo?”.
Il giovane rispose affermativamente a questa richiesta, anche se non ne afferrava il significato. Un giorno capitò che tornasse a casa. La madre stava preparando la cena e il padre era ancora nei campi. La madre gli chiese dell’esito del suo colloquio d’assunzione.
Il giovane raccontò delle varie domande tralasciando la parte finale relativa alla richiesta e alla promessa fatta al Presidente e qui si accorse di avere perso l’occasione per mantenere la promessa fatta.
Alla sera rientrò il padre. Il giovane prese coraggio e cercò di rimediare afferrando i piedi del padre per poterli lavare. Il padre al principio tentò di farlo smettere, ma lui continuò.
In principio la sua azione era solo motivata dal mantenere la promessa fatta, ma continuando a lavare i piedi del padre gli tornarono i ricordi di quando bambino vedeva i piedi grandi e forti di suo padre. Oggi questi piedi erano piccoli e magri, coperti di rughe. Improvvisamente gli venne in mente tutto il tempo trascorso e che ormai suo padre era anziano.
Dal collo sentì scendere qualcosa e, guardando all’insù, vide che suo padre aveva gli occhi pieni di lacrime.
A quel punto suo padre, con la faccia piena di felicità, gli chiese di fermarsi. Al giovane venne la stessa commozione, perché in così poco tempo non aveva mai visto trasformarsi in felicità il volto del padre.
Al momento della cena raccontò al padre del colloquio di ammissione e della promessa fatta al Presidente, i genitori lo ascoltarono in silenzio annuendo semplicemente.
Quando il giovane tornò in azienda si recò dal Presidente come promesso. Gli raccontò del suo ritorno a casa e disse di avere lavato i piedi al padre. Il Presidente lo ringraziò per aver mantenuto il patto e gli chiese che sensazioni aveva provato. Il giovane raccontò di non aver mai visto il padre così contento in volto. All’inizio, non aveva inteso il senso della richiesta, ma oggi sì.
Quel Presidente fece aumentare la consapevolezza del ragazzo non con le parole, ma attraverso una semplice azione. In questo modo sono uniti il pensiero del Presidente, dei genitori e del figlio.

Spesso ci capita di rispondere “ho capito”, ma io ho capito attraverso qualcosa che mi ha risvegliato o illuminato, come dice Buddha.
Al giorno d’oggi ci si affida troppo alle statistiche o all’analisi di dati. Ci sono tante cose che sono incommensurabili e non si possono tradurre in numeri, come quanto si ama, quanto si capisce e via dicendo. Forse, grazie al discorso sul ku s’incomincia a capire il processo per diventare un vero uomo.
Qualcuno tra voi ricorderà la storia della Tecnica miracolosa del gatto. Nel finale il Gatto Maestro senza combattere, ma solo con la sua presenza, non faceva avvicinare i topi alla casa. Tutti gli domandarono come facesse, ma lui senza rispondere li guardò con un sorriso.
Ricordando ancora il gusto dei miei pomodori, tutti i miei vicini mi domandavano come avessi fatto ad arrivare a tale risultato. Io non lo sapevo, ma ho risposto a tutti loro con un sorriso. 

Spesso ci capita di rispondere “ho capito”, ma io ho capito attraverso qualcosa che mi ha risvegliato o illuminato, come dice Buddha.

Un maestro può arrivare a insegnare ai suoi allievi fino a un certo punto, poi da lì l’allievo deve cominciare a camminare da solo, con la propria consapevolezza, con il proprio pensiero puro e con l’insegnamento del suo maestro, praticando la propria pratica per arrivare a diventare un vero uomo e far sbocciare il suo fiore. Quando l’allievo arriva a quello stadio, il maestro pensa che ora deve camminare da solo e sorride. Quel sorriso è la sua benedizione.
Il Maestro Shirai suggerisce il suo insegnamento attraverso la pratica, cercando di farci fiorire e diventare veri uomini. Anche un grande Maestro può dare il suo frutto, ma ogni allievo deve raccogliere il proprio. Non si tratta di “vincere o perdere”.

Tutto quello che vi ho raccontato oggi è per dimostrare il mio ringraziamento a quel pomodoro.

Grazie per la vostra attenzione.
Gassho, M° Mitsutaka Koso.

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