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La scoperta del KarateDo

La scoperta del KarateDo

Complimenti! Sei una cintura bianca!

in collaborazione con il M° Riccardo Frare

Il KarateDo è un movimento anche sociale, caratterizzato e influenzato dal contesto storico in cui è immerso. Se seguiamo il suo avvicendarsi nei secoli è facile notare come i vari contesti socioculturali lo abbiano condizionato, in maniera più o meno evidente, senza comunque scalfirne la natura profonda e cioè di strumento per l’innalzamento della consapevolezza di sé. Non si spiegherebbe altrimenti l’attenzione alla forma, ai dettagli, alla respirazione se tutto fosse semplicemente basato sull’efficacia e il “picchiare duro”.
Persino i nomi dei kata, come Pace e Armonia, Volo di Rondine e altri, sarebbero fuori luogo se lo scopo fosse di “ammazzare” l’avversario e potremmo facilmente liquidare tali dettagli come frutto della cultura di Okinawa. Etichettandoli, quindi, solo come aspetti folkloristici, potremmo guardare oltre e togliere tali significati che sembrano soltanto intralciarci, impedendoci di allenarci in maniera spensierata, come stessimo facendo uno sport qualsiasi.

Anche oggi nel mondo, perlopiù occidentale, il KarateDo sta assimilando, come in passato con la Cina e il Giappone, le caratteristiche della società moderna.

Il KarateDo è stato influenzato dalla cultura cinese, senza però fondersi con essa. Ha assorbito la cultura giapponese, acquisendo il suffisso –Do, ma rimanendo purtroppo fortemente invischiato nei climi nazionalisti delle guerre mondiali del secolo scorso. Vedi ad esempio la parolina “magica” Osu, originaria dell’ambiente maschio della marina giapponese, o la grande attenzione alle righe e ai gradi, tipici aspetti del mondo militare.
Anche oggi nel mondo, perlopiù occidentale, il KarateDo sta assimilando, come in passato con la Cina e il Giappone, le caratteristiche della società moderna. Da una parte è una meravigliosa evoluzione, a cui si aggiungono tasselli scientifici in grado di rendere sempre più proficua la pratica. Dall’altra il rischio che i “mali” moderni della nostra società entrino anche nel Dojo sono alti.
La vigilanza degli insegnanti diventa indispensabile nel dojo, affinché vi si possa trovare un clima di lavoro sereno, libero dalle tensioni sociali da cui proveniamo prima d’entrare.
La mancanza di rispetto, è sempre pronta a “praticare” con noi, così come l’abitudine al giudizio di sé e degli altri. Difficile risulta l’ascolto, per allenarci a essere e a rimanere ciò che siamo veramente. Persino la violenza, la voglia di sopraffare l’altro è sempre lì che attende l’occasione di inquinare il Dojo. Il controllo dei colpi, da valore inviolabile della pratica, sta diventando molto discutibile, per le svariate sfumature che si porta appresso, e soprattutto per la paura annessa della perdita dell’efficacia.
Con lo sviluppo di internet il culto della propria immagine è diventato dilagante. La stessa società del KarateDo ne è immersa, infarcita di eventi, competizioni, eccezionali campioni-Vip, scroscianti applausi per i migliaia di Dan consegnati ogni anno nel mondo…

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ShoShin, o Animo del Principiante.

Con gli occhi del principiante
Ora, allontaniamoci per un attimo da questo trambusto e proviamo, con un po’ di immaginazione, a tornare indietro nel tempo.
A quando siamo venuti a sapere, ognuno a nostro modo, che c’è un dojo di KarateDo in paese e ci accingiamo alla fatidica prova. Finita la lezione, o è un no, oppure, ancora frastornati per l’incontro con il destino, è un ! Non si sa il perché, ma è !
Che il novello karateka sia un bambino o un adulto poco importa, si sceglie di continuare a praticare, perché da una parte si rimane come affascinati, dall’altra si percepisce intuitivamente che l’aria che si andrà a respirare in quel luogo, nonostante non si sia capito nulla a riguardo, è qualcosa che fa per noi, che potrebbe servirci!
Da qui arriva l’entusiasmo, una sorte di voglia continua di praticare, anche nei luoghi più improbabili, di documentarsi, di allenarsi, di crescere, di diventare forti; in definitiva, di quest’arte così esotica, ma anche così familiare, ci si innamora senza sapere bene il perché. E… complimenti! Sei una cintura bianca!

Nello Zen tale stato dell’essere è chiamato ShoShin, o Animo del Principiante.

Nello Zen tale stato dell’essere è chiamato ShoShin, o Animo del Principiante. Tra le caratteristiche di Shoshin, oltre all’entusiasmo con cui ci si approccia alla pratica, vi è anche un atteggiamento di non giudizio tipico di chi fa una cosa per la prima volta. La prima volta che abbiamo fatto un pugno lo abbiamo fatto senza la consapevolezza di giusto e di sbagliato, proprio per il fatto che essendo stato il primo non era possibile confrontarlo con nessun altro pugno precedente.
L’entusiasmo cresce e spinge il praticante ad affinare via via la propria capacità di cogliere le sfumature più significative del gesto dentro di sé.
La pratica in uno stato di Shoshin è di per sé non-duale, perché non c’è giudizio su bene-male. Rimanendo saldi in questo modo di praticare non giudicante e fiducioso, sorgerà la consapevolezza che ogni tecnica è irripetibile e unica. C’è solo l’entusiasmo nel compiere il percorso da cintura bianca, con esperienze corporee più “grossolane”, a nera la cintura delle percezioni più sottili.

Prossimamente cercheremo di capire la domanda: “Come faccio a ritornare cintura bianca?”.

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