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Giapponismo e Giapponeserie

Foto di Fausto Chiodoni

Visita alla mostra “Giapponismo – Venti d’Oriente nell’arte europea 1860-1915” a Palazzo Roverella di Rovigo.

Nel 1884 Edmond de Goncourt scrive:Le japonisme était en train de révolutionner l’optique des peuples occidentaux”, “Il giapponismo sta rivoluzionando l’ottica dei popoli occidentali”.
Era il 1853 quando il commodoro Perry e la minaccia delle sue quattro navi da guerra ormeggiate a Edo riaprirono definitivamente i rapporti tra il mondo occidentale e quel Giappone così impermeabile da più di due secoli: da lì le preziose merci orientali cominciarono a circolare, fino all’esplosione del loro successo nella grandiosa Expo di Parigi del 1867, dove il gusto artistico sarebbe cambiato per sempre.

“Il giapponismo sta rivoluzionando l’ottica dei popoli occidentali”

La mostra Giapponismo – Venti d’Oriente nell’arte europea 1860-1915  a Palazzo Roverella – curata da Francesco Parisi, promossa dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, e in collaborazione con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi (aperta fino al 26 gennaio 2020) – illustra in ben 258 opere il processo che ha portato dal primo amore per i ventagli, i kimono, le ceramiche e le stampe, all’immensa influenza subita dalle correnti artistiche di tutta Europa.
Un percorso che si divide in cinque sezioni racconta i nuovi colori luminosi e piatti delle pitture francesi, belghe e olandesi, la rinnovata estetica nel design e nelle decorazioni inglesi, l’inedito linguaggio architettonico e grafico austriaco, tedesco, boemo e moravo influenzato dagli Tsuba delle spade samurai, l’Italia fresca di Modernismo con i suoi manifesti. Un’ultima sala dedicata al Giappone vuole poi racchiudere quell’estetica che ha sconvolto il mondo di fine Ottocento, scelta che si rivela vincente nell’incredibile e vibrante impatto visivo. 

Ho parlato di giapponismo, ma di che cosa si tratta? Qual è la differenza con la giapponeseria?
Con il termine giapponeserie s’intende la moda di citare elementi decorativi nipponici all’interno delle opere come nelle stampe da parete che Van Gogh inserisce nel “Ritratto di père Tanguy” o come fa Hans Makart nel vestire d’oriente la protagonista del suo “Die Japanerin”: è da qui che parte il vero e proprio giapponismo. Tolouse-Lautrec e Alphonse Mucha dipingono i loro manifesti, studiano le tecniche compositive, i colori, il gusto per il decoro e la linea continua, sinuosa ed elegante, e l’arte giapponese diventa la più importante risposta allo sconvolgimento creato dal recente e invincibile realismo della fotografia: il gesto della pennellata è ora più importante della rappresentazione del “vero”, le tonalità si fanno vivaci, il concetto di profondità spaziale viene reinterpretato e si approda alle correnti di Post Impressionismo, Art Nouveau, Simbolismo e Secessioni.

Le morbide luci e le maestose stanze di Palazzo Roverella fanno esplodere i colori e incorniciano le opere di Monet, Degas, Van Gogh, Gauguin, Denis, Gallé, Toulouse-Lautrec, Mackintosh, Moser, Klimt, Orlik, Mucha, Fontanesi, Mancini, de Nittis, Balla, Chini, Kunimaru, Eisen, Eizan, Toyokuni, Hiroshige, Hokusai e molti altri artisti, meno conosciuti, ma estremamente interessanti.
Pezzi curiosi arricchiscono questa già densa carrellata. Ho potuto riflettere sui cambiamenti del modo di fare pubblicità in Italia grazie alla famosa litografia/ manifesto di Vespasiano Bignami per gli abbonamenti al Corriere della Sera del 1898, ho ammirato le brillanti e intense tonalità dei vasi, dei piatti e del paravento di Galileo Chini, i motivi preziosi dei kimono di mano non solo giapponese, gli eleganti mobili di Quarti, Gimson, Godwin e Bugatti e le opere di Moore direttamente dal Tate Modern; emozionante è stato poi trovarsi davanti a una prima edizione dell’Onda di Hokusai eccezionalmente in prestito dal museo Chiossone di Genova.

Con il termine giapponeserie s’intende la moda di citare elementi decorativi nipponici all’interno delle opere.

Visitare una mostra di questo tipo ha un duplice valore: riscoprire come nella storia le contaminazioni culturali spesso siano state ventate di aria fresca e, per gli amanti del Giappone e/o delle arti marziali, constatare quanto questa cultura ci abbia donato e influenzato.
Cosa ci è rimasto del Giapponismo? Qual è la sua eredità?
Possiamo ritrovarlo sotto altre vesti: ai primi del Novecento i marinai genovesi imparano e praticano Judo e Jiu Jitsu chiamandoli “lotta giapponese”; nel 1965 i Maestri Kase, Kanazawa, Shirai ed Enoeda arrivarono in Europa per diffondere il Karate; negli anni 70 in Italia si leggono e guardano i primi manga e anime; oggi anche il sushi è entrato nella quotidianità delle persone: il Giappone in noi è tuttora più vivo che mai. 

 

Nota bibliografica
P. Daverio (2012), Il museo immaginato – Il secolo lungo della modernità, Milano, Rizzoli.

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