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Essere e chiamarsi Dino Piccini

Dino Piccini Shihan può essere definito, senza ombra di smentita, l’ultimo vero testimone della nascita del karate in Italia.

di Ilio Semino

Nascere immediatamente dopo la fine della “Grande Guerra” (1915-1918), crescere nella povertà e nella fatica, partecipare alla Seconda Guerra Mondiale da marinaio, superare bombardamenti e affondamenti di unità, nonostante questo praticare sempre e comunque sport, per dimenticare i disagi della giovinezza, della vita difficile e delle avversità. Praticare Atletica, Lotta, Canottaggio, Pugilato, Judo e infine Karate, contribuendo in maniera determinante alla nascita della prima Federazione Italiana. Essere uno dei primi seguaci di Vladimiro Malatesti e, dopo, dei Maestri nipponici giunti in Italia negli anni Cinquanta. Continuare a insegnare, in giro per la penisola, per diffondere l’arte, essere ricordato come Maestro da campioni che in seguito hanno reso “mondiale” il karate italiano, frequentare il Dojo per oltre settant’anni e arrivare a compiere cento anni vivendo, per scelta, da solo, essendo autosufficiente in tutto, anche nel confezionare da sé pranzo e cena, significa una sola cosa: essere e chiamarsi Dino Piccini.

L’ultimo vero testimone della nascita del karate in Italia.

Dino Piccini Shihan può essere definito, senza ombra di smentita, l’ultimo vero testimone della nascita del karate in Italia. Non soltanto per la sua opera di tessitura dei vari gruppi di volonterosi praticanti autodidatti riuniti in una organizzazione, ma per la sua incessante attività di insegnante su e giù per l’italia, per trasmettere quella misteriosa arte di cui si era innamorato.
Toscano, caparbio ma gentile, burbero ma comprensivo, severo ma sorridente, il Maestro ha conquistato i praticanti di tutta Italia, che gli riconoscono il merito di aver fondato, assieme ad altri pionieri, la prima federazione di karate italiana che ancora oggi, dopo oltre sessanta anni, opera sul territorio.
Alla rispettabile età di 100 anni (lo scrivo in numero perché fa più effetto che in lettere) Dino Piccini raccontava la sua vita in maniera chiara, ricordando particolari importanti ed episodi divertenti con una lucidità straordinaria.
Ex pugile, corridore, canottiere, judoka, militare di Marina decorato in guerra, ha sempre amato le sfide, soprattutto con se stesso e le discipline di combattimento. Dopo gli anni di Vladimiro Malatesti conobbe Tetsuji Murakami sensei, maestro di Shotokai – la scuola che Shigeru Egami aveva ereditato da Gichin Funakoshi –, e ne divenne assiduo seguace, per passare poi allo Shotokan con l’arrivo in Europa dei grandi Maestri JKA, primi fra tutti Taiji Kase e Hiroshi Shirai.

Si potrebbe rimanere a chiacchierare con Dino per ore, senza sentire mai ripetere la stessa cosa: episodi e aneddoti noti e sconosciuti, raccontati da chi li ha vissuti in prima persona, sia di carattere tecnico sia politico, quest’ultimo piuttosto indigesto al Maestro, che non ha mai voluto assumere cariche dirigenziali, compromessi e finte alleanze, preferendo il karategi alla cravatta. Ma quello che traspare dalle sue parole è il carattere buono, disposto alla comprensione ed alla tolleranza: mai una volta il Maestro Dino ha avuto parole di critica o mancanza di rispetto verso qualcuno, che fossero amici o “avversari” con i quali in questi oltre sessanta anni di karate ha avuto modo di confrontarsi.
Le centinaia di foto che raccontano la sua vita, sono raccolte in album ordinati per data e come già detto in apertura, nelle file si scorgono “allievi” divenuti poi pietre miliari del karate italiano e non solo: per citare un nome basta dire Bruno Demichelis, capitano della squadra della grande Fesika di Shirai Sensei e leggere le parole che pochi anni orsono, in occasione di un compleanno, dedicò al ricordo del Maestro Dino, quando egli andava a Venezia a insegnare e lui era un giovane principiante.

Il Maestro ha lasciato la dimensione umana per divenire parte della storia indelebile del karate italiano.

Da qualche tempo il Maestro, per qualche acciacco alle articolazioni, ha dovuto smettere di frequentare il Dojo Renbukan, diretto dal noto figlio Maestro Roberto, dove fino a poco tempo fa si occupava di segreteria e di introdurre i piccoli al karate. La cosa lo ha molto infastidito, poiché il Dojo è la sua vita, ma il suo carattere indomito lo spinge a non demordere e chissà che un giorno non lo si possa rivedere in karategi con la cintura rossa di Maestro Benemerito 10°  Dan, riconosciutogli all’unanimità dal karate italiano tutto.
Purtroppo questo non si è potuto verificare: compiuti i 101 anni, il Maestro Dino ha subito un aggravamento delle condizioni fisiche e ha dovuto essere ricoverato, al fine di avere assistenza sanitaria costante. Anche le nostre telefonate hanno cambiato tono: lo sentivo meno brillante, più stanco, un pochino più assente, meno lucido del solito. Roberto, qualche settimana fa, mi aveva comunicato un ulteriore peggioramento delle condizioni del babbo e, infatti, qualche giorno prima della Santa Pasqua, il Maestro Dino Piccini ha lasciato la dimensione umana per divenire parte della storia indelebile del karate italiano, assieme ai grandi Maestri che lo avevano succeduto e che se ne sono andati prima di lui.
Domenica 24 aprile 2022, assieme a una ventina di tecnici provenienti da diverse regioni d’Italia, abbiamo svolto una lezione in suo nome, ricordandolo durante il rei rivolto allo shomen, come dovuto ai grandi uomini, esempi e riferimenti forti della purezza tecnica e spirituale della disciplina.

Sayonara Dino Shihan, Grande Amico.

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