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Il Dojo come luogo della mente

Il Dojo come luogo della mente

Il corpo ha preso forma nella dimensione virtuale e la comunicazione digitale ha permesso che il dojo prendesse forma nella mente.

Ogni emozione repressa lascia in modo furtivo la sua impronta sul nostro comportamento, attraverso schemi emozionali che decidono per noi”. Elsa Punset

Gli schemi di vita in cui rientrano le nostre attività sono state capovolte da un’emergenza che ci ha visto protagonisti e vittime di un nuovo modo di gestire gli spazi, i tempi e le relazioni tra le persone.
Il dojo, il luogo in cui ognuno di noi pratica il karate, ma soprattutto lo spazio dove si collocano le nostre emozioni – laddove è possibile contenerle, perché mai conflittuali o ricche di rabbia, tenute assieme da un equilibrio che solo la disciplina orientale sa infondere a chi pratica la Via –, ha cambiato modo di essere interpretato diventando “virtuale”: il corpo ha preso forma nella dimensione virtuale e la comunicazione digitale ha permesso che il dojo prendesse forma nella mente di ognuno di noi concretizzandosi nella vita reale attraverso il concetto per cui “il dojo non è un luogo fisico, ma un luogo della mente”. (Cit. del mio maestro B. de Felice)

Il tatami viene simbolicamente esteso nella forma di un’intimità allargata.

Il corpo collocato in un qualsiasi spazio, dalla casa alla palestra in cui si pratica, ha iniziato a interconnettersi digitalmente con altri corpi, anch’essi parte attiva di un obiettivo comune praticare… praticare… praticare… definendo i movimenti e le tecniche specifiche del karate-do. La comunicazione è iniziata a cambiare avviando il concetto di “relazione senza corpo”, il cui termine evidenzia la capacità del corpo di potersi relazionare, anche in assenza di contatto fisico, attraverso le intenzioni e la capacità che abbiamo di riuscire a creare una condivisione a distanza.
Il tatami viene simbolicamente esteso nella forma di un’intimità allargata, condividendo i propri luoghi di vita, i propri confini, attraverso uno spazio social-e in cui si entra con un click. 

Se intendiamo la relazione tra karateka come un rapporto di partnership fra due o più persone che si pongono come obiettivo il benessere psico-fisico attraverso la pratica del karate, un’alterazione del contesto che tuttavia mantenga lo stesso livello di interazione, la stessa vivacità degli incontri, la medesima ritualità, quel giusto livello di coinvolgimento emotivo, non modifica i fattori principali che rendono possibile la riuscita di una lezione virtuale. Ovviamente, anche se i corpi sono rappresentati in una sola porzione posturale, in quanto il video li restituisce parzialmente nelle loro espressioni e nei loro movimenti, ciò che resta è sempre l’amore per la disciplina che si sta praticando. 

Ciò che resta è sempre l’amore per la disciplina che si sta praticando.

Il corpo ci rappresenta raccontando la nostra storia in modo semplice e diretto, veicolando le nostre sensazioni ed emozioni laddove la mente le blocca per cercare di difenderci da ciò che ci fa troppo soffrire.
Quando reprimiamo un’emozione come la rabbia o la paura, oppure laddove la mente cerca di superare un evento spiacevole, quando ci sforziamo di non essere tristi, cediamo il passo a un funzionamento indipendente di emozioni non gestite: queste emozioni si esprimeranno attraverso le nostre azioni.
Il principale strumento di lavoro in una dinamica tra allievo e maestro è la relazione corporeo-emotiva, ovvero la relazione che, istaurata sulla fiducia, permette di lavorare insieme, in un clima di reciproca fiducia, per raggiungere obiettivi condivisi. Attraverso la lezione online, emerge l’opportunità di condividere, nel “qui e ora”, la propria esperienza tecnico-umana. Le nostre case si aprono reciprocamente, facendoci accedere, attraverso lo schermo, ai luoghi quotidiani dell’altro. 

Può uno spostamento di contesto mettere in discussione l’efficacia di una lezione di karate?
Se intendiamo il setting come un luogo sicuro all’interno del quale si svolga una relazione, il karate, anche virtuale, può continuare a garantire un senso di sicurezza e di unicità della relazione. Il karateka, laddove scelga di svolgere le lezioni all’interno della propria abitazione, ricercherà quel grado di isolamento che gli era consentito dentro il dojo.
In effetti, anche se in modo egregio, stiamo ricostruendo la nostra storia di vita. Un evento imprevisto, come l’emergenza Covid-19, può scatenare una condivisione di passioni, di esperienze personali e di gestione del proprio tempo alternativo. Il corpo, memoria storica del nostro vissuto, contenitore di emozioni, ha necessità di esprimere il messaggio che si può resistere, o quanto meno sopportare, e la mente gli fa da supporto attraverso una nuova capacità di lettura e/o d’interpretazione, per cui gli eventi possono diventare per lo più piacevoli a seconda dei momenti della giornata o di una lunga settimana.

Il karate, anche virtuale, può continuare a garantire un senso di sicurezza e di unicità della relazione.

Il corpo possiede, quindi, una propria forma di sapienza, non tanto di saggezza, che si esprime in forme anche particolari di adattamento.
Il corpo ha un suo linguaggio e dei ricordi: ad esempio, rimangono impressi nei muscoli e nelle ossa le esperienze, i “ricordi”, di quando da bambini correvamo liberamente a piedi scalzi sull’erba, con i piedi e le gambe agili che giravano come piccole pale dei mulini a vento.
Quando il corpo ci fa male, quando ci sentiamo stanchi o si presenta una malattia, il corpo ci sta avvisando. La nostra mente sta interpretando una situazione, probabilmente, intimamente legata alle nostre emozioni. In questi momenti è il caso di fermarsi e domandarsi cosa sta succedendo, come ci sentiamo e in che modo questo ci influenza.
I dojo “si sono solo trasferiti” nelle case o nei luoghi familiari dei praticanti e non hanno perso la capacità di muovere la passione e di sentire battere il cuore al ritmo del Karate-Do.

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