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Giovanni Guidetti

Giovanni Guidetti

Lo scontro con l’avversario non è solo un momento agonistico, pur se emotivamente complesso, è un momento di crescita e di stimolo.

NOME
Giovanni Maria Guidetti
LUOGO DI NASCITA
Reggio Emilia
DATA DI NASCITA
06 aprile 1989
SPECIALITÀ
Kata e Kumite (Kumite in Nazionale)
CLUB DOJO
A.S.D Masatoshi Nakayama – Reggio Emilia

MEDAGLIERE

2005
– ESKA: 3° kumite sq. jun.

2006
– Tr. delle regioni: 1° kumite ind. spe. +70 / 2° kata / 4° kumite squ.
– Camp. It.: 5° kumite squ. serie A

2007
– Camp. It.: 1° fukugo spe. +70
– Tr. delle regioni: 3° kumite sq.

2008
– Tr. delle regioni: 1° kumite squ. / 3° kumite ind. ju. / 3° kata squ.
– Camp. It.: 1° kata ind. ju. / 2° kumite ju. +75 / 5° kumite sq. serie A

2009
– Camp. It.: 3° kumite squ. serie A / 1° kata 2° dan ju.

2010
– Tr. delle regioni: 1° kumite ju. +75 / 2° kata ju. +75
Camp. It.: 1° kata ju. 2° dan / 1° kumite ju. +75 / 4° kumite squ. serie A

2011
– Camp. It.: 1° kumite ind. sen. / 2° kumite squ. serie A / 4° kata squ.

2013
– ETKF: 1° kumite squ. camp. europ.

2014
– Coppa Shotokan: 2° kumite ind. / 2° kumite squ.

2015
– WSKA: 1° kogo kumite / 1° kumite squ. / 3° kumite ind.

2016
– Camp. It.: 1° kumite sen. 2° dan +75 / 3° fukugo

2018
– Camp. It.: 1° fukugo / 1° kumite squ. serie B / 3° kumite ind. / 4° kata
– Coppa Shotokan: 3° kumite ind. / 3° kumite squ.

2019
– Camp. It.: 1° kata sq. gr. 1

 


Come hai iniziato a praticare karate?
Già a due anni andavo alle dimostrazioni e alle feste del karate che venivano organizzate dalla nostra palestra, mia mamma mi metteva il karategi e, tra le file dei bambini che facevano la dimostrazione, stavo vicino a mio fratello che è più grande di me e, dai video che ho visto di quei tempi, copiavo buffamente gli altri.
A sei anni ero sui tatami delle gare più o meno importanti, tra le quali i Trofei topolino.
Mi piaceva gareggiare, mi divertivo, tanto era un minuto di impegno e poi potevo correre a giocare con gli altri bambini fino al minuto successivo, chiaramente se passavo il turno.

L’agonismo ti fa maturare, ti fa capire come puoi dare aiuto con la tua esperienza ai giovani che lo stanno vivendo dopo di te.— Giovanni Guidetti

Chi sono i tuoi Maestri?
I miei maestri sono i miei genitori: M° Loris Guidetti c.n. 7° dan, che è stato per tanti anni l’allenatore delle squadre di enbu e di kumite sia dell’ISI – Istituto Shotokan Italia, sia della Fikta nell’ESKA e nell’ITKF, e M° Loretta Gabrielli c.n. 6° dan, atleta della squadra nazionale di kata per alcuni anni e allenatrice delle squadre regionali di kata Emilia Romagna e dello CSAK per parecchi anni. Innanzitutto, mi hanno insegnato che l’umiltà, il rispetto e l’educazione vengono prima del ruolo di atleta, qualità che interiorizzate ti accompagnano costantemente nel percorso agonistico, aiutandoti ad accettare le sconfitte traendone esperienza e motivazione. Chiaramente, avere i propri maestri come genitori ha i suoi vantaggi, qualsiasi dubbio tecnico lo si risolve sul tatami e le incertezze psicologiche, anche in ambito famigliare, si discutono e si cerca di risolverle, sia con loro sia con mio fratello Francesco anch’egli atleta della squadra nazionale per molti anni.

C’è un motivo per cui hai scelto il karate tradizionale o è stato casuale?
Non è stato certamente casuale, la mia vita si è svolta e si svolge in palestra, con i miei genitori e mio fratello si vive più in palestra che a casa ed è stato inevitabile per me appassionarmi alla pratica del karate.
Inoltre, ho avuto la fortuna di avere accanto loro, con un alto livello tecnico, cosa che mi ha dato l’opportunità di crescere avvantaggiato rispetto ad altri.

Come sei diventato agonista?
Nella mia palestra con i miei maestri si pratica innanzitutto karate e non è stata una scelta diventare agonista, si facevano le cose specifiche un po’ prima della gara in modo tale da sapere quali erano le modalità della competizione in oggetto, poi si saliva sul tatami e si faceva karate come in palestra, ma davanti agli arbitri che ti giudicavano e ti davano la vittoria o la sconfitta.
Successivamente, quando sono cresciuto e ho cominciato a vivere l’emozione e la tensione della competizione – che prima non sentivo se non di riflesso per ciò che viveva mio fratello nella sua esperienza agonistica –, allora sono diventato un agonista, ho cominciato a lavorare sulla programmazione e le preparazioni atletiche e tecniche e, nello specifico, su quanto poteva avvantaggiarmi nella competizione. 

Dove, come e quanto ti alleni?
Io lavoro nella palestra dei miei genitori, seguo e sono appassionato del lavoro fisico, sono istruttore di body building, powerlifting e personal trainer, ho i diplomi di primo e secondo livello di functional training e alimentazione, insomma, sono appassionato e approfondisco le mie conoscenze attraverso il lavoro su di me prima di proporlo.
Mi alleno tutti i giorni con i sovraccarichi, il lavoro specifico sul kata lo faccio con i miei maestri e gli step di lavoro sul kumite sia con loro e da solo, sia con gli altri agonisti della mia palestra.
Lavoro quindi molto sulla preparazione atletica, mi appassiona e la vivo come un divertimento e una sfida ai miei limiti fisici. 

Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
I compagni di squadra della nazionale sono come me, ragazzi, perciò il rapporto con loro è semplice e diretto, abbiamo interessi comuni al di là della squadra di karate.
Nella pratica agonistica ci rispettiamo, siamo leali e lavoriamo seriamente sia per crescere individualmente sia per meritarci di essere componenti della squadra nazionale.

Il tempo che dedichi agli allenamenti, incide sui tuoi rapporti e nella vita privata?
La mia vita personale e lavorativa è legata all’attività sportiva, i miei rapporti con le altre persone sono normali, ho molti amici che frequentano la palestra, perciò si comunica anche lì, chiaramente gli orari di lavoro non sono come quelli di un operaio o di un dipendente, in palestra ci alterniamo nei turni di lavoro e io finisco quasi sempre dopo le 22.30, ma c’è  tempo di fare ci che mi serve: cenare, passare un po’ di tempo con gli amici, scaricare la tensione della giornata lavorativa.
I miei allenamenti sono parte integrante delle cose che mi interessano, perciò, quando mi alleno è tempo dedicato a me e non lo considero tempo che tolgo al rapporto con gli altri.
Spesso mi alleno anche dopo l’orario lavorativo e chiedo a mio padre di controllare se il lavoro che svolgo è funzionale per la mia preparazione ad affrontare il kumite.
L’agonismo ti fa maturare, ti fa capire come puoi dare aiuto con la tua esperienza ai giovani che lo stanno vivendo dopo di te. Lo scontro con l’avversario non è solo un momento agonistico, l’emozione, la paura sia dell’avversario sia di perdere o di non essere all’altezza delle tue e delle aspettative di chi ti allena, spesso fa diminuire il livello della prestazione che normalmente avresti prodotto, ma, pur se emotivamente complesso, è un momento di crescita e di stimolo.

Lo scoglio personale su cui hai dovuto, o devi ancora, “lavorare” maggiormente?
Lo scoglio più grande per me è lo stato emozionale, spesso penso di non essere all’altezza del confronto con l’altro, al di là di quale sia il livello tecnico del mio avversario, perciò la mia sensazione, soprattutto all’inizio dell’incontro, è quella di non essere sufficientemente capace di superare il confronto, nonostante mio padre, che è il mio maestro e il mio coach, mi faccia notare che posso contare sulle mie qualità e le mie capacità che, a suo dire, sono sopra la media.

Spesso penso di non essere all’altezza del confronto con l’altro, al di là di quale sia il livello tecnico del mio avversario.— Giovanni Guidetti

Secondo te, qual è la tua caratteristica come atleta?
Mi piace molto sperimentare, mi considero un atleta che ha fantasia e visto che utilizzo con la stessa facilità sia le tecniche di braccia sia le tecniche di gamba, durante le mie performance di gara, e chiaramente se l’incontro che sto sostenendo me lo permette, applico ciò che studio in palestra e che mi stimola attuare.

In quale specialità ti senti più preparato?
Preparato è un termine inadeguato, perché mi preparo in entrambe le specialità con la stessa attenzione.
Il kumite, nonostante nel momento di gara mi crei maggiore tensione, mi diverte e rispecchia maggiormente la mia personalità, nel kumite posso fare ciò che mi passa per la testa in quel momento specifico, stimola la mia fantasia e mi dà l’opportunità di esprimere la mia personalità.
Il kata è un esercizio di grande metodicità che non dà spazio all’improvvisazione, non è “anarchico” (come sono un po’ io) e non ti permette di esprimere la tua fantasia, ma ti mette di fronte a uno schema obbligatorio, molto rigido e standardizzato che tu devi risolvere utilizzando le tue doti tecniche, fisiche e psicologiche.
Nel kata o nel kumite a squadre (non so per gli altri atleti come sia) io vivo con grande energia e motivazione la gara a squadre, mi sento più importante, quello che faccio è utile agli altri, non è che per questo io mi impegni maggiormente nella gara a squadre, ma lo stato d’animo è più forte, vivo la responsabilità in modo differente. Il mio stato emozionale ha una metamorfosi strana, non sono ancora riuscito a inquadrare il motivo, ma probabilmente è perché il mio risultato non è necessario solo per me, ma anche per gli altri componenti della squadra. 

L’avversario (reale o psicologico) più temibile?
Gli avversari sono tutti temibili, sia quelli reali sia quelli psicologici. Comunque, per me l’avversario più temibile è lo stato d’animo. Sono una persona emotiva e nella competizione tale emotività si accentua esponenzialmente, aumentando la mia tensione che già prima di iniziare l’incontro è molto alta, dato che l’insicurezza e la sensazione di inadeguatezza prendono il sopravvento diventando un “indumento” troppo stretto, che non mi permette di muovermi in libertà. Per fortuna, a ogni confronto, questo stato d’animo si riduce fino a normalizzarsi e con l’esperienza riesco a controllarlo.

Che cosa ti ha insegnato il karate?
Se si parla di pratica quotidiana in palestra con i maestri e i compagni, l’insegnamento è costante e si modifica man mano che aumenta il mio livello tecnico e con esso la mia maturazione come uomo.
Se si parla di agonismo, pur essendo un’esperienza interessantissima, si limita a soddisfare il mio desiderio di confronto per il superamento dei limiti che riconosco di avere, senza negare che quando riesco a vincere o a classificarmi la soddisfazione è ancora tanta. Inoltre, per il tipo di impegno lavorativo che ho intrapreso nel campo sportivo, la pratica del karate mi sta insegnando ad avere sempre l’entusiasmo e la curiosità d’imparare, in modo tale da essere il più adeguato possibile nel lavoro che svolgo. 

Il momento più appagante e quello più spiacevole della tua carriera?
Di momenti appaganti, per fortuna, ne ho molti. Uno di questi è l’essere riuscito in breve tempo a recuperare quasi completamente la rottura del crociato anteriore del ginocchio destro e potermi muovere come piace a me, senza timore.
Il più spiacevole si riferisce allo stesso infortunio, che mi è capitato due settimane prima del campionato europeo in Grecia. Durante un allenamento preparatorio l’allenatore faceva dimostrare a me e a un mio compagno alcuni spostamenti e lì mi sono rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro compromettendo la mia possibile convocazione al campionato stesso e forse anche quella ai mondiali successivi.
Per un agonista è difficile accettare le casualità (quando queste sono negative), mi ripetevo come mai mi fosse successo, mi ero preparato con molta cura, ero veramente in forma, probabilmente si deve credere nel destino e accettarlo.

Hai un episodio del tuo percorso agonistico che ti piacerebbe condividere?
Sì, il primo campionato europeo al quale ho partecipato: eravamo in Polonia, io ero un cadetto e gli allenatore della squadra ESKA erano mio padre per il kumite e la maestra Nadia Ferluga per il kata. In quell’occasione fui convocato per competere in entrambe le competizioni e anche per il kumite a squadre.
Io non avevo mai fatto kumite libero, se non in palestra con i miei compagni, perché nella FIKTA non erano previste le gare di jiu kumite per i cadetti. Ricordo che il panico mi aveva preso allo stomaco e stavo malissimo. L’allenatore mi disse che avrei potuto fare come nello jiu ippon kumite, ma senza dichiarare… fu un successone! Passai più turni e poi persi, ma mi divertii tanto, anche se i miei avversari erano tutti alti e grossi e sapevano fare kumite.
Inoltre, riuscimmo ad arrivare terzi a squadre.

Sul karate ti informi anche attraverso il web?
Guardo i video di atleti di kumite che mi piacciono: Brennan, Biamonti… le competizioni giapponesi della JKA, il loro lavoro di preparazione sia fisica sia tecnica.
Con il web arrivi ovunque stando seduto, ma quello che si vede è limitato a ciò che altri vogliono farti vedere, io prendo spunti, ma lavoro molto con i miei maestri, sviluppando quello che e utile per me.

Ti piacerebbe essere un atleta professionista?
Non è nei miei progetti o nelle mie aspirazioni, mi piace essere un atleta, essere nella squadra nazionale e partecipare alle gare per migliorarmi, sperando di vincere per una mia personale soddisfazione e per dare maggior lustro alla nostra palestra.
Credo che il karate professionistico, per quanto riguarda l’agonismo, non si possa fare se si segue una federazione con i canoni della FIKTA.
Forse, in alcune organizzazioni esiste il professionismo di karate nell’agonismo, ma non penso che siano tanti gli atleti che possono vivere di karate agonistico e non credo che si possa parlare di stipendi “importanti”.
Non so, forse nella FIJLKAM gli atleti della Guardia di finanza o dei Carabinieri sono stipendiati, ma sono dei lavoratori sportivi.

Mi piace molto sperimentare, mi considero un atleta che ha fantasia.— Giovanni Guidetti

Cosa pensi dell’entrata del karate alle Olimpiadi del 2020?
Io penso che sia uno “specchietto per le allodole” e non credo che diventerà, uno sport olimpico anche se mi fa piacere che il karate sia presentato alle Olimpiadi.
Per inciso, le discipline marziali che sono già presenti alle Olimpiadi, cioè il judo e il taekwondo, non sono molto interessanti da guardare, perché hanno perso tutto il fascino dell’arte marziale. Comunque, a prescindere, penso che ogni atleta vorrebbe che il proprio sport fosse presente alle Olimpiadi.
Da quello che ho sentito, per il karate si parla di un numero estremamente limitato di partecipanti che vengono selezionati attraverso graduatorie per aver partecipato a competizioni specifiche. Perciò, atleti come noi della squadra nazionale della nostra federazione saranno spettatori, come altre migliaia di atleti.
Guarderemo in TV cosa accadrà.

Cosa immagini per il tuo futuro?
Il mio futuro lo costruisco giorno per giorno nel mio lavoro. A cui mi dedico con entusiasmo, piacere, impegno e serietà per fare in modo che la mia professionalità sia all’altezza della dirigenza sportiva che mi dà il lavoro.
Con le persone alle quali insegno mantengo dei rapporti seri e vivi, e frequento corsi di specializzazione sportiva, mi interesso e mi aggiorno continuamente per aumentare le mie conoscenze e la mia professionalità, sempre con curiosità ed emozione.

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