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Vladi Vardiero vicepresidente settore Karate Veneto Fijlkam

Vladi Vardiero vicepresidente settore Karate Veneto Fijlkam

La mia tattica è di dimostrare coi fatti il mio progetto, anche se a volte corro troppo pensando che gli altri mi seguano.

Di Susanna Rubatto

Il M° Vladi Vardiero, classe 1957, ha iniziato nel 1974 la pratica del karate nella FESIKA. Agonista fino ai trent’anni, successivamente istruttore e maestro 7° dan WKF, ufficiale di gara internazionale, dirigente sociale e del CONI, ad oggi Vice presidente del settore Karate Veneto della Fijlkam.
Da sempre praticante di numerosi sport (triatleta dal 2007), è inoltre organizzatore di grandi gare ed eventi, come le competizioni giovanili WKF del 2021 – la 29ª “Venice Cup” e la “Karate 1 Youth League” tenutesi a dicembre a Jesolo (VE) –, dove lo abbiamo incontrato per questa intervista.

La mia idea sarebbe di far diventare la federazione Fijlkam una sorta di confederazione.— M° Vladi Vardiero

La Venice Cup, la gara a cui siamo presenti oggi, quando nasce?
La prima edizione è stata fatta nel 1990, per cui ha quasi trentadue anni, a parte due anni di stop per motivi “politici”. Questo riguarda una parte della mia vita sportiva che ha visto momenti felici e non. Ho avuto periodi molto difficili, superati grazie ad amici con la A maiuscola e alla mia famiglia, ed è stato merito di mio figlio Alberto (amministratore delegato della società che gestisce la gara) se ho deciso di continuare.
Quest’anno, come ogni anno, ci si ripromette di far tesoro delle esperienze precedenti, ma nonostante si cerchi di organizzare tutto per tempo, l’ultimo periodo ci si trova sempre a programmare le emergenze più impensabili. Pur essendo arrivati a cercare di sequenziare al massimo la procedura, poi però le persone, per esempio, non leggono le circolari e scrivono o chiamano, ma se si moltiplica tutto questo per il numero dei partecipanti… Alla fine, nella gestione delle cose, cerchiamo di tenere presenti quelle importanti, di dare delle priorità anche a costo qualche volta di sembrare scortesi.

Oggi quante presenze avete?
Quest’anno abbiamo 3100 presenze nelle cinque giornate. Per la prima volta i due eventi, Venice Cup e Youth League, sono stati organizzati in sequenza qui a Jesolo (VE). La Venice Cup per trent’anni è stata organizzata separatamente, per diciotto anni a Noale (TV) e poi a Caorle (VE) dove ci sono stati i due anni di chiusura, per cui, quando siamo ripartiti i numeri erano molto bassi. Inoltre, io personalmente stavo uscendo da una situazione “federale” infelice e dopo essere stato fuori dalla Fijlkam per sette/otto anni e, pur essendo in una posizione forte, ai vertici, fisicamente e personalmente non ero presente.

Ci sta aprendo una parentesi molto personale della sua vita da dirigente sportivo, posso chiederle che cosa la fece rientrare alla Fijlkam?
La testardaggine di dire che questa poteva essere un’opportunità per la federazione, perché è fuori discussione che questo sia il “contenitore” a cui noi dobbiamo fare riferimento e non possiamo fare diversamente. Ci sono voluti trent’anni, assieme a Davide Benetello, per far cambiare alcune cose. È stata dura, ma se credi che le cose possano cambiare, devi starci dentro.
Io sono uscito per un periodo dalla Fijlkam, perché mi stavano letteralmente “massacrando”. Avevo delle posizioni, a livello internazionale, molto alte e Davide aveva un percorso simile al mio: sottostimato in Italia, mentre all’estero veniva osannato come il futuro del karate italiano. Io ho rivisto in lui ciò che era successo a me, tanto che abbiamo sempre avuto un certo tipo di rapporto. Quando poi abbiamo deciso di iniziare a ragionare anche per il futuro “politico” di questa federazione, abbiamo pensato a un piano a lunga distanza e siamo ripartiti. Una tappa dopo l’altra siamo arrivati ad oggi. 

Lei è anche stato recentemente eletto Vice Presidente per il settore karate veneto.
Io ho un po’ la presunzione di avere l’esperienza per conoscere il mondo della politica sportiva, ho fatto due quadrienni in CONI, tre quadrienni nella federazione del triathlon come dirigente oltre che atleta, quindi, ho una visione a trecentosessanta gradi. Poi però, secondo me, i tempi erano maturi per realizzare con Davide Benetello questi obiettivi, anche se non è stato facile, perché in Veneto c’erano tre gruppi con i quali allearci.
La mia tattica è di dimostrare coi fatti il mio progetto, anche se a volte corro troppo pensando che gli altri mi seguano, per cui ci si deve sempre confrontare, ma ciò che conta è l’obiettivo, mantenendo principi e valori che ci appartengono.

Il prossimo progetto a cui lavorerà sarà il Mondiale giovanile?
Già dal 1990, quand’ero ancora giovane, avevo il sogno di organizzare un evento internazionale che potesse contribuire all’arrivo del karate alle Olimpiadi. Con questo intento, dopo la mia prima società, la “Ren Bu Kan Noale” legata al karate tradizionale, fondai la “Karate Project 2000” pensando che quello fosse l’anno possibile per accedere alle Olimpiadi, cosa che naturalmente non successe.
Comunque, noi stavamo procedendo in quella direzione e, dopo aver concretizzato anche una squadra, arrivammo a realizzare il 25° anno della “Venice Cup” a Caorle (VE) al quale presenziò anche il presidente della WKF Antonio Espinós.
La “Youth League” nasce proprio dalla “Venice Cup”, perché fu in quella occasione, nel 2015, che parlai al presidente della necessità di un circuito mondiale rivolto ai giovani, un’idea condivisa con Davide Benetello. Una gara che, sotto certi punti di vista, è più importante della Premiere League assoluta, perché abbiamo ancora le Olimpiadi giovanili del 2026 da disputare, per questo motivo è più ambita dai partecipanti.
Così, dopo il primo evento “sperimentale”, l’anno successivo venne formalizzato e ci dissero che avremmo dovuto organizzarne almeno quattro: in America, in Asia (ma non è stato realizzato) e gli altri tre in Europa. Prossimamente in Messico, in Croazia, in Italia e a Cipro.
Alla fine però, il Campionato Mondiale in Italia non è ancora stato fatto, l’ultimo è stato un europeo a Trieste nel 2008, perciò lo abbiamo proposto in assemblea. Cosa non facile dato che la Fijlkam è una federazione complessa, con tre discipline olimpiche al suo interno che è difficile far combaciare, due sono arti marziali più la lotta. 

Il karate include tutti e l’attività sportiva può dare grandi possibilità.— M° Vladi Vardiero

Quali sono invece gli impegni più immediati?
Prossimamente andrò a Roma per sostenere l’esame per diventare Tecnico europeo di alto livello, con il patrocinio di “Sport e Salute” che sostiene attività nel sociale e che ci sovvenziona dei progetti inerenti il karate nell’ambito della scuola.
Poi, con Davide Benetello, neo presidente della commissione giovanile, ci occupiamo dell’attività 5-11 anni, mentre per il preagonismo c’è un’apposita commissione formata da me e da altri due maestri, che si occuperà, oltre che della scuola, anche della promozione federale.
Questo mi interessa tanto perché, con il mio ente promozionale Multisport Veneto polisportiva srl sd, che chiamo il mio laboratorio, ho potuto “sperimentare” molto.
Ad ora in ogni regione è stata selezionata una scuola e, tramite bando, anche un tecnico laureato in scienze motorie. Stiamo così sperimentando un percorso di cui raccoglieremo i risultati a gennaio 2022 e da qui ritareremo tutta l’attività che faremo nelle scuole. Soprattutto saranno cosa concrete, definendo tutto il programma lezione per lezione. Tutte le spese sono supportate da Sport e Salute.

In un suo intervento, ha auspicato una “casa comune” del karate, secondo Lei come si può realizzare?
La mia idea sarebbe di far diventare la federazione Fijlkam una sorta di confederazione o, meglio, che faccia delle convenzioni con gli altri enti.
Nelle palestre di karate non c’è bisogno di grande attrezzatura, tutto gira intorno alla figura del maestro, una persona portatrice di valori. Rispetto ad altri sport il nostro valore aggiunto sono appunto i principi: le regole, il saluto, il rispetto ecc. Tutto ciò, senza necessità di attrezzatura, ci permette di entrare agevolmente nelle scuole, insegnando valori che la nostra società sta un po’ dimenticando.
Ugualmente non possiamo inculcare ai bambini riti che non appartengono alla loro età, come può succedere con i maestri “tradizionalisti”, ma si deve trovare un compromesso.
Il giovane ha bisogno di fare determinate cose, imparando valori che gli vengono trasmessi attraverso la disciplina del karate, ma non posso chiuderlo in una “scatola”, come possono essere per esempio l’oss o l’inchino; il maestro deve insegnare l’educazione e fare un percorso sportivo che gli dia precisi messaggi motori, emozionali e di crescita, senza per questo trattare tutti i ragazzi in modo uguale, pensando che diventeranno tutti campioni del mondo. Un tecnico preparato tara giustamente per ciascuno.

Ci delinea il suo progetto rivolto alle scuole?
Nelle scuole in questo momento abbiamo il problema dell’inclusività: molti genitori non certificano i figli perché pensano che abbiano problemi (obesità, timidezze ecc.), invece il karate include tutti e l’attività sportiva può dare grandi possibilità, se l’ambiente è quello giusto e con un’attività sportiva graduale e tarata. Poi, al dodicesimo anno, possono provare le gare.
Nello studio che ho fatto e che sto già presentando, si rileva che c’é un abbandono precoce dell’agonismo nella categoria esordienti. Quando cioè saremmo pronti per “raccogliere i frutti”, c’é un buco, che non è il burn out.
In realtà si tratta proprio di un rifiuto, solo il dieci per cento degli agonisti fanno il campionato regionale… e gli altri? Nel mio studio, dove ho raccolto dati e intervistato i tecnici cercando di capire le cause, ho fatto una proposta tecnica, in fase di conclusione, che sarà oggetto del mio progetto federale per il settore giovanile.

Nella sua idea, dopo la fase agonistica, con quali prospettive prosegue chi pratica karate?
Io posso parlare solo per la mia società, che è sempre stata molto focalizzata sulla parte sportiva e ho quindi pochissimi “amatori”. Organizzo corsi di difesa personale dove, per esempio, coinvolgo i genitori dei ragazzi, come li ho coinvolti anche nell’organizzazione delle gare e nell’arbitraggio.
Mentre, per gli agonisti bisognerebbe trovare l’interesse nel continuare la pratica e qui potrebbe esserci un arricchimento da parte del karate “tradizionale”. Una parte che i miei ragazzi non hanno mai fatto, perché fanno combattimento e spiego sempre loro che non stanno facendo Karate-do, ma kumite, che è un pezzettino del karate. Un domani, se saranno interessati, c’è tutto un altro mondo da scoprire. Però, qui c’è molto abbandono, a volte restano nella società come tecnici.
Diciamo però che il settore kata è quello più legato al tradizionale e possono orientarsi a quello.

Le organizzazioni del “tradizionale” dovrebbero poi rinunciare al termine “federazione”.— M° Vladi Vardiero

In ordine a questo, i rapporti con federazioni del tradizionale non potrebbero sopperire a questa mancanza?
Assolutamente!
Comunque, resto dell’idea che si debba dare ai giovani la possibilità di vivere l’esperienza agonistica, poi, nessuno ha il miglior karate.
Ritornando alla domanda sulla “casa comune”, penso che si debba dare a ogni organizzazione, grande e piccola, la possibilità di operare nel proprio ambito, ma questo è fattibile solo se si rinuncia a qualcosa, per esempio, fare qualcosa di alternativo dal punto di vista sportivo… Alla Fijlkam bisogna lasciare la parte sportiva, riconoscendo che il Campionato italiano è uno e che il Campionato del mondo è uno. Perché nel karate, impropriamente chiamato tradizionale, non c’è il “gesto sportivo” e ciò che determina il confronto tra due atleti è il regolamento della gara, in questo caso WKF.
L’obiettivo per uno sportivo è di vincere, di raggiungere dei traguardi, e per quelli si deve allenare.
Le organizzazioni del “tradizionale” dovrebbero poi rinunciare al termine “federazione”, perché la legge italiana ne considera tale solo una, poi sarà la Fijlkam a riconoscere che il karate si può fare in tanti modi, senza oscurantismi. Cosa, quest’ultima, che l’ha svuotata, con persone che, una volta uscite, hanno creato tante altre realtà…
Perciò la federazione deve riconoscere che ci sono tanti modi d’interpretare il gesto tecnico del karate, che può anche non essere finalizzato al gesto agonistico. Ci sono tante palestre che non sono interessate all’agonismo, ma non per questo fanno un karate “minore”. Poi, se si è bravi tecnici, le iscrizioni ci sono sempre.

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