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Il sesto precetto di Ankō Itosu

Il sesto precetto di Ankō Itosu
Gichin Funakoshi, Okinawa no Bugi (II). Karate ni tsuite Asato Ankō Uji Dan – Ryūkyū Shinpō, 18 gennaio 1914.

Una lettura specifica del sesto dei dieci precetti lasciati da Itosu Ankō.

È noto che nel 1908 il maestro Ankō Itosu scrisse i suoi 10 precetti del Karate.
Alla sesta posizione in elenco, scrisse:
唐手表芸は数多く練習し、一々手数の旨意を聞き届け、是は如何なる場合に用ふべきかを確定して練習すべし。且、入受はずし、取手の法有レ之。是又口傳多し。
Una prima traduzione superficiale, più o meno fornita da tutti, è la seguente:
“Tramandate oralmente, il Karate comprende una miriade di tecniche a cui è associato il relativo significato. Studia per bene il contesto di ognuna di esse, osservando il principio del torite, e decidi quando e in che modo applicarle.”

Itosu nel suo sesto precetto ci dice che “le spiegazioni” dei kata avvenivano oralmente.

Andando però nel dettaglio, Itosu elenca e categorizza le tecniche a cui si riferisce:
/ iri: in questo contesto, è un termine squisitamente okinawense, usato per esprimere “il pugno di spinta” standard del Karate, ciò che in un linguaggio più comune e moderno esprimeremmo con 突き (tsuki).
/ uke: ricezione.
はずし / hazushi (外し in kanji): deriva dal verbo 外す (hazusu), che ha il significato di schivare, rimuovere, eludere, evitare, deviare.
Insieme i termini 受はずし (uke hazushi) assumono il significato di “ricevere e rilasciare”.
Tornando invece al termine 入, esso è ben noto ai praticanti di Karate Shōtōkai (e a chi pratica Aikidō), soprattutto quando è unito al kanji 身 / mi: insieme formano la parola 入身 / irimi (che si riferisce a una pratica “di entrata” fisica e soprattutto mentale ben precisa, ma che non è oggetto di questo articolo).

Possiamo quindi leggere duplicemente il termine / iri, sia come “pugno di spinta”, sia come “entrare”. In realtà, credo fermamente che non siano due letture marziali alternative, ma che anzi siano la stessa cosa:
突き (tsuki) = 入り(iri) = 作り (tsukuri*)
[* col termine tsukuri s’intende la fase preparatoria (la tecnica d’ingresso) che precede una proiezione].
Ne consegue, quindi, che il classico oi-zuki che troviamo massicciamente in molti kata (qualcuno ha detto Heian?), sia da interpretare non come il classico colpo portato dalla solita improbabile distanza siderale, ma più verosimilmente come una “entrata preparatoria” per una successiva tecnica conclusiva.

Tornando al sesto principio di Itosu, esso afferma a chiare lettere un’altra importante verità:
唐手 (Karate) = (Kata)
Non è un mistero infatti che i due termini, al tempo in cui scriveva Itosu, fossero del tutto intercambiabili. Lo stesso Gichin Funakoshi, nel suo famoso articolo del 1914 sul quotidiano Ryūkyū Shinpō (in cui intervista il suo maestro Asato), titola un paragrafo 唐手の種類 / Karate no shurui (ossia “Tipi di Karate”), per poi elencare una serie di kata (ナイハンチ / Naihanchi, セーサン / Sēsan, パッサイ / Passai, クンサンクン / Kunsankun, ジッテ / Jitte, と泊のパッサイ / Tomari no Passai).
Il messaggio è chiaro: Karate è kata e kata è Karate.

Il messaggio è chiaro: Karate è kata e kata è Karate.

Infine, Itosu nel suo sesto precetto ci dice che “le spiegazioni” dei kata avvenivano oralmente, cioè che le applicazioni pratiche non potevano cadere dal cielo come lo spirito santo e illuminare la mente del praticante, nemmeno se quest’ultimo avesse eseguito il kata centomila volte.
In conclusione, credo che il 6° principio di Itosu possa essere espresso con parole più chiare come segue:
“Il kata dovrebbe essere praticato estensivamente e il significato di ogni tecnica andrebbe indagato e studiato. Inoltre, ogni movimento dovrebbe essere praticato con un compagno per confermare il suo uso in un combattimento reale. Nel compiere questo studio, bisogna essere consapevoli che esistono tecniche di / iri, / uke, はずし / hazushi e 取手 / tuiti, che sono spesso insegnate oralmente, perché non si possono evincere dalla sola pratica ripetitiva del kata.”

NB: il termine 取手 / torite (tuiti in Uchināguchi, il dialetto di Okinawa) si riferisce a tecniche di presa e di manipolazione articolare (controlli, leve e rotture).

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