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“Esserci” nella fase 2

“Esserci” nella fase 2
I Maestri Mirko Saffioti e Roberto Mariani (Foto di Giovanni Rossi)

Ora che si avvicina la “fase 2”, ora che siamo chiamati a un ulteriore sforzo di adattamento, dovremo “esserci”. Per i praticanti di karatedo significa restare in zanshin.

“Quando scoppia una grande tempesta le barche nel porto lasciano l’ancora, perché se non lo fanno verranno spazzate via in mare.
E, naturalmente, far cadere l’ancora non fa andar via la tempesta,
ma può tenere una barca ferma nel porto, fino a quando la tempesta non passa.” (Russ Harris) 

Tutti noi abbiamo la capacità di ri-creare una nostra storia, di fermarci per decidere in che modo e come ricostruirla, e di attuare una nostra scelta.
Ognuno di noi ha dei propri limiti interni, intesi come una sorta di metronomo che ci sollecita a fermarci qualora sia necessario. Accade spesso, tuttavia, che tale indicatore sia “fuori fase” e che perdendo la sua efficacia divenga ostacolo all’ascolto pieno di noi stessi, non consentendoci di valutare quando fermarsi o quando perseverare in qualcosa.
Il corpo segnala il distress delle emozioni quasi in sincrono, ma il suo riconoscimento avviene in modo più evidente quando si ferma, cioè quando il corpo assume funzione di valvola di sicurezza della mente segnalandole che è arrivato il momento di darsi “un tempo” per fermarsi. 

L’“esserci” nelle cose e nei momenti … è la capacità che ognuno ha in dotazione di credere in se stesso.

Fermarsi, lo slogan di questo periodo, ha limitato la nostra scelta di attivare la mente all’ascolto del corpo e di segnalarci quella linea sottile tra l’obbligo e la scelta, tra il disimpegno e il sovraccarico, portandoci a volte, a restare in ascolto del dolore e della sofferenza e, a volte, a stemperarla.
Tutti noi, in qualche modo, abbiamo avuto la sensazione almeno una volta di stare fermi su una sedia nella propria stanza, davanti a una finestra a guardare il tempo che passa e con esso i giorni e le stagioni… la pioggia cedere il posto al sereno. Allo stesso tempo ci siamo lasciati andare alla speranza, ai sogni, alla voglia di ritrovare la familiarità con ciò che prima era, alla sensazione della pioggia sul viso o di una corsa contro il tempo, per essere in ritardo a un appuntamento, una riunione etc. ed è proprio in questa modalità che può venirci in aiuto il concetto di “esserci”.
L’“esserci” nelle cose e nei momenti, nella sua accezione positiva, è la capacità che ognuno ha in dotazione di credere in se stesso, di “essere” presente e attivo nella quotidianità, qualunque essa sia, la possibilità di attivare risorse funzionali per il raggiungimento dei propri desideri e obiettivi.

In questa nuova modalità di vita, sempre più legata a regole restrittive dettate dalla necessità, lo spirito che contraddistingue il praticante di Karate-do deve iniziare a “spostare” il tatami e il dojo in quei luoghi in cui la mente deve essere allenata all’accettazione e alla rivisitazione del proprio modo di vivere la Via, il Do. Allora, possiamo affermare che l’“esserci” per noi praticanti significa restare in Zanshin facendo perno in uno stesso luogo e spazio per proiettare le nostre emozioni in movimento, in un kata e nel suo bunkai, dove il nostro corpo agisce in sincrono con la mente e lo sguardo va dove il corpo ha deciso di muoversi. L’idea è di farlo anche restando fermi: la preparazione tecnico-spirituale aiuta la gestione della sopraffazione delle emozioni anche quando ci troviamo di fronte a un imprevisto e decidere quando prendere l’iniziativa, se muoversi prima che il pericolo sopraggiunga o agire in go no sen.

La mente deve essere allenata all’accettazione e alla rivisitazione del proprio modo di vivere la Via, il Do.

Ora che si avvicina la cosiddetta “fase 2”, ora che siamo chiamati a un ulteriore sforzo di adattamento e sacrificio, dovremo “esserci”, avere Zanshin, in quanto le accortezze adottate e da adottare nel modo di vivere le relazioni interpersonali e sociali, in funzione di questa emergenza sanitaria, resteranno non solo nella nostra mente, ma anche nella memoria del corpo come un meccanismo di sicurezza che, seppur acquisito in poco tempo, si è innestato in modo prorompente. Spetterà a noi decidere in che modo, quando sarà consentito, riaprire il “sipario” dei momenti di vita. 

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