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Una parabola per gli artisti marziali

Una parabola per gli artisti marziali

In ogni arte, e il karate è un’arte marziale, la creatività e la personalità dell’artista sono non solo importanti, ma essenziali.

Tanti anni fa, un gruppo di appassionati d’arte chiese a un famoso scultore di diventare il loro maestro. Nel corso della prima lezione, l’insegnante procurò a se stesso e agli allievi delle intelaiature identiche tra loro, nella forma caratteristica del suo celebre stile. Spiegò che la forma determinava la struttura e i parametri della scultura finale. Diede anche a ogni allievo un mattone di argilla e un kit di strumenti per la scultura. Nelle lezioni successive dimostrò il processo della scultura: la maniera di aggiungere argilla al telaio per creare il profilo dell’oggetto, la tecnica per togliere l’argilla in eccesso, con gli attrezzi per perfezionare la forma, e il modo di plasmare e dare forma all’argilla per ottenere il “prodotto” finale.
Ogni lezione cominciava con gli allievi radunati intorno al maestro mentre lui lavorava a una sezione della scultura, spiegando e dimostrando mentre procedeva nella creazione. Poi gli studenti tornavano al loro posto e lavoravano alle parti corrispondenti della propria scultura, cercando di applicare quanto avevano appena visto. Mentre lavoravano, il maestro girava per l’aula osservando il loro impegno, facendo un cenno di approvazione, dando suggerimenti e talvolta lavorando egli stesso a una piccola sezione della scultura di un allievo, guidando la mano dello studente con la propria. Spesso, durante questa parte della lezione, gli allievi si avvicinavano alla scultura del maestro per osservarla con attenzione, prendendo appunti e cercando di memorizzare qualche dettaglio per includerlo nel proprio lavoro.

L’illuminata scelta del Maestro Shirai di non creare quattro fotocopie di se stesso.

Dopo molti anni, proprio nel momento in cui gli allievi stavano ultimando il lavoro sulle proprie sculture, il maestro morì. Essi stabilirono di scegliere un successore tra di loro in modo che la scuola potesse continuare a esistere. Decisero di comune accordo di mettere tutte le loro sculture accanto all’opera del maestro per decidere chi dovesse essere il suo successore nella scuola.
Fu immediatamente chiaro quanto il maestro li avesse influenzati tutti. Ogni scultura, grazie all’intelaiatura sottostante, aveva una struttura simile. Nello stesso modo, la sua tecnica scultorea e il suo metodo erano chiaramente evidenti in tutti i loro lavori. Tuttavia, a un più attento esame, fu ovvio che molti allievi non avevano un grande talento. Alcuni dei loro lavori erano francamente dilettanteschi, mentre altri, per quanto ben eseguiti, mancavano di quella sottigliezza strutturale che rendeva così preziose le opere del maestro. Due sculture però emergevano sulle altre: l’opera dell’allievo Lee e quello dell’allievo Han.

Mentre la classe si riuniva ed esaminava il lavoro di Lee, tutti furono sbalorditi nel vedere che padroneggiava in modo così perfetto lo stile del maestro che era virtualmente impossibile distinguere la scultura dell’insegnante da quella dell’allievo. L’opera di Han, invece, era tutt’altra cosa. La sua scultura era potente, dettagliata e ricca delle qualità che caratterizzavano l’arte del maestro, ma non assomigliava affatto al suo lavoro. Han aveva in effetti creato una scultura che era unica e personale nella sua esecuzione.
Non c’era dubbio che entrambi gli allievi padroneggiassero i metodi del maestro. Non c’erano dubbi sulla bellezza e sulla potenza evidenti in entrambe le sculture. Ma non c’era neppure dubbio su chi avrebbe preso il posto del maestro. La scultura di Lee era identica all’opera del loro amato maestro, mentre Han aveva deviato dal suo esempio. Gli studenti decisero di riconoscere Lee come legittimo successore del loro insegnante e di punire Han per il suo arrogante affronto all’eredità del loro maestro.
All’annuncio di questo verdetto Han scosse la testa e disse: “Siete degli sciocchi. Il maestro stava tentando di insegnarvi a essere degli artisti, ma voi avete imparato soltanto a essere degli imitatori.”

In ogni arte (e il karate è un’arte marziale) la creatività e la personalità dell’artista sono non solo importanti, ma essenziali. Perché possano essere espresse, deve verificarsi la sinergia tra un maestro dotato di un approccio non autoritario e flessibile all’insegnamento, e degli allievi col coraggio di mettersi in gioco piuttosto che mimetizzarsi con un’imitazione “fotografica” del loro insegnante. Per citare un famoso aforisma del filosofo Francis Bacon, gli allievi intelligenti sono come le api:Prendono il nettare che sta nei fiori [il karate del loro maestro] poi elaborano ciò che hanno preso e creano una sostanza nuova, frutto del loro lavoro, che è il miele [la propria interpretazione del karate]”.
Abbandonando parabole e analogie, noi vecchi karateka abbiamo davanti a noi l’esempio luminoso del Maestro Shirai che a Milano ha forgiato, fra centinaia di ottimi allievi, quattro straordinari interpreti e insegnanti del karate Shotokan. Enzo Montanari, Rosario Capuana, Carlo Fugazza e Nino Tammaccaro sono stati tutti allievi dello stesso insegnante, hanno praticato nella stessa città e nello stesso dojo, dando tuttavia vita a quattro interpretazioni diverse dello stesso modello, che non si potrebbero mai confondere tra loro, ma si possono riassumere citando altrettante caratteristiche e vocazioni individuali.
I lettori provino a risolvere il “quiz”, attribuendo a ciascun allievo la propria identità marziale:

  • Un allievo prediligeva chiaramente la perfezione tecnica e stilistica.
  • Un altro allievo era portato, per temperamento e scaltrezza tattica, al combattimento sportivo.
  • Il terzo allievo interpretava il karate come difesa personale, senza troppi fronzoli stilistici.
  • Il quarto allievo riuniva le doti degli altri tre senza alcuna particolare specializzazione.

Una trasmissione delle conoscenze fondata sull’imitazione pedissequa di un modello non porta all’evoluzione della scuola.

Queste differenze non si sarebbero mai concretizzate senza l’illuminata scelta del Maestro Shirai di non creare quattro fotocopie di se stesso, ma di incoraggiare gli allievi ad adattare il modello che lui proponeva alle loro caratteristiche psico-fisiche. Quattro karateka uguali possono essere utili (forse) soltanto in una gara di kata a squadre!
In conclusione, una trasmissione delle conoscenze fondata sull’imitazione pedissequa di un modello non porta all’evoluzione della scuola e al suo arricchimento tecnico, bensì a una sua involuzione e a un progressivo scadimento tecnico.
Come già insegnava Platone, la “copia della copia della copia” non può che allontanare sempre più dal “mondo delle idee”.

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