Stiamo vivendo una corsa contro il tempo “fuori”, un viaggio lento, ricco di minuziosi passi, “dentro”.
“Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.” Albert Einstein
Questo articolo è improntato sugli “attraversarmenti”, come attraversare [v. tr. der. di attraverso] (io attravèrso ecc.), passare attraverso, percorrere passando da una parte all’altra (a. una strada – anche assol.: stai bene attento quando attraversi; a. col rosso; a. sulle strisce pedonali; a. una piazza) dove il senso di attraversare è la volontà di esplorare le “stanze” della mente che ci conducono a capire come stare ed esserci per noi stessi e per i nostri affetti nonostante la distanza, una distanza imposta da un nemico invisibile: il tempo sospeso.
Le varie “di-stanze”, che in senso metaforico e concreto sono state la risultante dalla chiusura forzata nelle nostre case, hanno messo in crisi sia la possibilità e/o scelta di decidere per noi stessi, sia una sorta di “pseudo-controllo” che a volte sentiamo necessario, in quanto ci autodefinisce e ci permette di sentire che stiamo andando in una direzione ben precisa, mentre la rivalutazione del tempo da trascorrere e su come gestire le relazioni (che dal piano reale sono passate a un piano metafisico) stanno offrendo un nuovo modo di esserci per noi stessi e gli altri.
Il senso di attraversare è la volontà di esplorare le “stanze” della mente.
L’idea o il concetto che ogni nostro movimento fisico fuori dall’ambiente in cui si vive conduce a un ritardo nella risoluzione di una difficoltà comunitaria, deve essere una motivazione sufficientemente alta per attivare tutte quelle risorse necessarie per adattarsi e scoprire, o riscoprire, le proprie capacità e passioni.
La nostra identità, prima della diffusione del Covid-19, era scandita da un tempo frenetico e indeterminato proiettato da attività all’aperto o lontano da casa e ora, invece, richiede di colmare le fratture di un vivere sociale interrotto. Dovremmo farlo pensando alla tecnica giapponese del Kintsugi (金継ぎ) o “kintsukuroi” (金繕い) che ripara le cicatrici di un vaso rotto con materiale d’oro. Quando una ciotola, una teiera o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere, ma esiste un’alternativa, una pratica giapponese che fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto.
L’impossibilità di vivere le relazioni affettive e sociali in modo convenzionale (dalla stretta di mano all’abbraccio spontaneo) sta riassestando la nostra mente nel trovare nuovi modi di entrare in relazione e, “stranamente” ,in questo caso, forse per la prima volta, i social e le tecnologie di telecomunicazione stanno avendo la funzione per cui sono state create, cioè di unire invece di isolare. La giornata va rimodulata stabilendo appuntamenti fissi: dedicarsi al lavoro se possibile, allo sport, alla musica etc.
Fondamentale, dunque, che sia con fantasia o con concretezza, è smuovere il tempo che come un bussola ci indica la strada da prendere per riacquistare il “controllo dei nostri momenti”.
La casa, così, si riempie giorno dopo giorno, di necessità, di creatività, di riadattamento e, soprattutto, di un nuovo modo di leggersi dentro, costretti ma compiaciuti dei piccoli risultati raggiunti, come quando in uno scaffale pieno di libri decidiamo di rispolverare vecchie letture, le quali acquistano un nuovo significato in linea ai cambiamenti che stiamo maturando quali viaggiatori di un ciclo di vita diverso, in un altro modo di viversi e di osservare se stessi come traghettatori di una nuova scoperta: una corsa contro il tempo fuori, un viaggio lento ricco di minuziosi passi dentro, nel tempo che scandisce i momenti e gli attimi, a volte dilatato e a volte rallentato.
Come osservava Lao Tzu “Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo”.
Al tempo pragmatico (scandito dall’orologio) deve prevalere, come dice Sant’Agostino, un tempo narrativo dell’anima, a volte intrusivo, creato dalle esperienze e dal modo di sentire di ogni persona: noi siamo quello che siamo perché prima siamo stati qualcos’altro. In questo tempo, dunque, diventa importante iniziare a cogliere occasioni a piccoli step, come osservava Lao Tzu “Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo” in cui la parola routine diventa opportunità, in cui il singolo movimento corporeo si allinea al movimento del pensiero: ho necessità di fermarmi partendo dalla Cura di me e di ciò che mi circonda.
Questo momento collettivo di isolamento fisico, può essere vissuto come un momento di grande creatività, difficile da ripetersi, perché obbligati a fermarci, riscoprendo le passioni dimenticate nel tempo, dedicandoci alla cura delle proprie cose, apprezzando la possibilità di gustare i sapori e gli odori di una colazione, un pranzo o una cena, con la calma che il momento ci “costringe” a vivere e rivivere, come un gioco dell’infanzia dimenticato, una lettura mai terminata, una ricetta della nonna, un kata da rispolverare.
Mentre il dolore ci scuote, lo spazio e il tempo evocano i fantasmi della paura, le famiglie e gli individui si aprono a prospettive nuove per sfidare le difficoltà e il nostro sguardo può dirigersi verso una co-costruzione di una possibile realtà in cui i sensi si riadattano ai suoni della natura: possiamo, ancora una volta, essere protagonisti della nostra esistenza.