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M° Roberto Benocci

M° Roberto Benocci

“Secondo la mia esperienza e conoscenza, la razionalità dei principi di Hiroshi Shirai Goshindo è straordinaria.”

(In KarateDo n. 35 lug-ago-set 2014) 

Maestro Benocci, dove e quando è nato?
Sono nato il 17 febbraio del 1958 ad Asciano, un piccolo comune in provincia di Siena, distante da questa poco meno di trenta chilometri.

Che cosa ci racconta della sua famiglia e del luogo in cui vive?
Nel 1980 mi sono trasferito a Siena, mentre i miei genitori e mia sorella sono rimasti al paese dove mio padre svolgeva la professione di capostazione FS e mia madre la casalinga. Una famiglia intessuta di valori tradizionali, ma nello stesso tempo aperta e disponibile a soddisfare le esigenze, o meglio le passioni, a volte anche bizzarre per quei tempi, di un giovane che a un certo punto, all’età di quattordici anni, decide che vuole cominciare a praticare karate. Sicuramente ha giocato a mio favore il fatto che mio padre, anche lui all’età di dodici anni, decise e ottenne arditamente da mio nonno la possibilità di suonare il Sax Soprano nella banda musicale del paese, quindi, sapeva bene cosa volesse dire la passione per un’arte. Nel 1983 dopo il servizio militare di leva mi sono sposato con Laura, mia moglie e compagna nelle dure battaglie della vita, anche lei praticante Karate e diplomatasi di lì a poco come insegnante di educazione fisica all’ISEF di Firenze.

conobbi in quell’occasione per la prima volta il Maestro e la sua energia, il suo kime, la sua tecnica elegante e impeccabile.

Quali studi ha fatto e quale professione svolge?
Dopo essermi diplomato geometra, ho frequentato per tre anni la facoltà di geologia all’università di Siena, poi per motivi di lavoro ho lasciato, ma le conoscenze acquisite, soprattutto la fisica meccanica, mi avrebbero accompagnato sempre, dandomi in seguito la possibilità di realizzare e brevettare ErgoMak, un innovativo strumento di misura di parametri fisici e cinestesici delle capacità d’impatto di un colpo. Tale strumentazione, affiancata ad altre sofisticate strumentazioni di laboratorio, mi ha permesso di collaborare attivamente dagli inizi del 2000 con il centro di ricerca in neurofisiologia dello sport dell’università di Siena, diretto dal Prof. Giuliano Fontani. Da questa collaborazione sono nate diverse pubblicazioni, realizzate su alcuni particolari aspetti della tecnica di Karate, in importanti riviste internazionali come la prestigiosa americana Perceptual and Motor Skills, e le presentazioni dei lavori ai simposi organizzati a cadenza biennale dalla FIKTA, che si sono svolti all’università di Milano.

Quando e perché ha iniziato la pratica del karate? Con quale Maestro?
Ho iniziato la pratica del karate nel 1973 nel mio paese di Asciano, in un corso distaccato della società Mens Sana di Siena, il mio primo insegnante è stato Francesco Rinaldi, persona squisita, con cui sono rimasto tuttora grande amico. Francesco non era assolutamente un alto livello tecnico, ma era capace di entusiasmare ed educare noi adolescenti al rispetto, alla disciplina, al sacrificio. Il perché ho cominciato la pratica del Karate è difficile dirlo, è vero che a quei tempi al cinema c’era il boom dei film di arti marziali e sicuramente io, come tutti i miei coetanei e non solo, eravamo soventi in prima fila. Ma è anche vero che il giorno della prima lezione di karate eravamo solo una decina, dopo un anno di quei dieci eravamo rimasti solo tre o quattro… è quindi più misterioso che mai il motivo per cui a un certo punto uno inizia a praticare e poi continua anche dopo l’invasamento iniziale.

In quale occasione ha conosciuto il Maestro Shirai e quando ha iniziato a praticare il karate insieme a lui?
Nel 1975, due anni dopo il mio inizio, per combinazione o chi sa per quale altro insondabile e misterioso motivo, scorsi in libreria un bel librone della Mondadori, il titolo era: Karate, scritto in bianco su copertina nera bordata di giallo, con la foto di un maestro che eseguiva un pugno, era il Maestro Shirai e il libro, la traduzione italiana di Dynamik Karate, del Maestro Nakayama. Due anni più tardi, nel 1977, a Firenze nella palestra di Porta Romana trovai, o meglio trovammo, ciò che cercavamo: cominciare a praticare il karate tradizionale giapponese con un maestro. Il direttore tecnico era Sauro Somigli, avemmo con lui un colloquio e ci disse che al momento era disponibile a venire a Siena due volte alla settimana a insegnare un maestro giapponese che si chiamava Hideo Uchida: era un 3° dan JKA, veniva da Osaka ed era a Firenze per studi artistici. Rammento che in quello stesso anno Hideo, come premio, mi portò a Firenze per un allenamento in una palestra di un liceo scientifico e ricordo benissimo che l’allenamento era tenuto personalmente dal M° Shirai. L’emozione fu straordinaria, indimenticabile, conobbi in quell’occasione per la prima volta il Maestro e la sua energia, il suo kime, la sua tecnica elegante e impeccabile. In poche parole la sua personalità si impresse da subito a fuoco nella mia anima e ne fui catturato a tal punto che l’attenzione a ogni parola o gesto del Maestro, indipendentemente dal comprenderne o meno il significato divenne intensa e persistente.

Quali sono i più grandi benefici che le sono derivati dalla pratica del karate con il M° Shirai?
Come accennavo pocanzi, il Maestro ha influito in maniera straordinaria nel promuovere in me un’intensa concentrazione verso le cose che si stanno facendo, vivendone pienamente l’attimo. Ogni lezione con lui è sempre una prima volta, non puoi mai farci l’abitudine e rilassarti. Considerare però solo questo aspetto, per quanto fondamentale, sarebbe riduttivo, la pratica con il Maestro mi ha fatto comprendere cosa significa impegnarsi a migliorare se stessi attraverso la stessa, consentendo di rapportarmi consapevolmente ogni giorno con le mie responsabilità sociali, cercando di mettere a disposizione del prossimo l’esempio di tale impegno.

Ha praticato il karate anche con il Maestro Kase? Vuole esprimere un suo pensiero in ricordo di questo grande Maestro?
Il primo allenamento con il Maestro Kase l’ho fatto nel 1979 a Montecatini, da allora l’ho sempre seguito negli stage federali a cui di sovente partecipava ed era sempre una bella e fruttuosa esperienza potersi allenare con lui. La sua giovialità, il suo grande carisma, la sua forza e non solo, anche la sua originalità nelle lezioni, i particolari spostamenti e i vari approcci nell’uso della mano aperta, ogni volta lasciavano, oltre che una variopinta costellazione di emozioni, anche notevoli spunti di riflessione sul Karate e la sua essenza.

Durante il suo percorso di karateka si è dedicato anche all’attività agonistica? Che cosa ci racconta in proposito?
A parte le gare regionali praticate negli anni ‘80 in FIKTEDA, il mio trascorso agonistico più significativo, anche se molto breve, è stato di un paio di anni dal 1990 al 1992 con la nazionale, partecipando alle competizioni WKSA in Belgio, Spagna e nel Cadore, riuscendo a salire sul podio. Ricordo anche una gara di Goshindo organizzata al Fujiyama a Milano in cui riuscii a piazzarmi al secondo posto con il Kata Tokon.

Quando ha conseguito le qualifiche di Istruttore e di Maestro di karate?
Ho conseguito la qualifica di istruttore nel 1987 e quella di maestro nel 2003.

Che cosa significa per lei essere un Maestro di karate?
Raggiunto un adeguato livello di esperienza, capacità e conoscenza dei fondamenti della propria arte e dal momento che al lavoro di perfezionamento ed evoluzione interiore si aggiunge quello di essere guida per chi volesse intraprendere la pratica del Karate, la responsabilità si amplia dal piano personale a quello sociale. Le cose allora si complicano molto, perché non è sufficiente essere degli abili esecutori e nemmeno illudersi e avere la presunzione di riproporre la copia esatta del metodo usato dal Maestro, perché questo è sempre una cosa personale e non può essere banalmente replicato, ma solo attentamente contestualizzato. La cosa che trovo molto impegnativa è proprio questa contestualizzazione, è ovvio che lo studio di molte discipline relative ai metodi educativi e di allenamento può aiutare, ma non può insegnarti a insegnare, questa capacità è una cosa che si consegue esercitandola con grande senso di responsabilità. È un’alchimia in cui si fondono tutte le nostre esperienze, abilità, conoscenze e riflessione profonda sul metodo che il tuo Maestro esercita nei vari contesti. Per questo essere maestro non potrà mai prescindere dalla pratica, perché l’allievo è stimolato anche inconsciamente dall’energia della pratica del proprio maestro più di qualunque altra cosa.

Essere maestro non potrà mai prescindere dalla pratica, perché l’allievo è stimolato anche inconsciamente dall’energia della pratica del proprio maestro.

Che cosa ci racconta del suo Dojo?
Dopo tanti anni di pellegrinaggio nelle varie palestre della città per portare avanti la pratica del Karate, finalmente nel 1996 siamo riusciti, io e mia moglie Laura, anche lei maestro di Karate e docente in educazione fisica, a stabilizzare il gruppo degli allievi in un piccolo centro adibito appositamente per la sola pratica del karate. Quando la sala d’allenamento con il parquet fu terminata, chiesi al M° Shirai se era possibile fare con lui l’allenamento inaugurale e il Maestro me lo concesse con mia grande soddisfazione. A fine lezione mi chiese come si chiamava il Dojo, ma gli risposi che non aveva ancora nome e sarei stato felicissimo se fosse stato lui a darglielo. Poco dopo, con grande piacere, mi disse che si poteva chiamare Shinan Karate Kai spiegandomi cortesemente anche il significato.

Maestro Benocci, all’interno della Fikta lei riveste il ruolo di responsabile della formazione e di docente dei corsi Istruttori e Maestri: quali materie sono oggetto dei suoi insegnamenti e che cosa più di ogni altra si augura di trasmettere a tutti gli aspiranti istruttori e maestri di karate?
Viste le ricerche sperimentali da me effettuale in campo fisico meccanico sull’impatto dei colpi e i tempi di reazione – in collaborazione con il laboratorio di neurofisiologia dell’Università di Siena a partire dagli inizi del duemila, quando fui invitato dal M° Dino Contarelli responsabile del corso (a cui porgo i più sentiti ringraziamenti), a dare una mano ai corsi istruttori maestri della federazione –, pensai che fosse la Psicofisica la materia che più si avvicinava ai nostri lavori. Si tratta di far comprendere le leggi che regolano certi aspetti dell’attenzione, come la vigilanza (automatismo nel cogliere segnali determinanti a bassa frequenza di accadimento nella situazione), l’attenzione sostenuta (una sorta di resistenza della capacità di attenzione), l’adeguata mobilità del focus ampio o stretto della scena ecc. Ma anche le leggi fisiche dinamiche che regolano il trasferimento della potenza dal corpo e la sua struttura d’appoggio, all’estremità impattante e, infine, al bersaglio impattato. I ruoli che giocano la velocità, la forza intesa come capacità di rigidità di connessione delle masse dei segmenti corporei implicati nel colpo e il loro corretto allineamento, non solo nel momento d’impatto, ma anche e soprattutto quando le forze reattive di rinculo cominciano a farsi intense oltre il punto di contatto e proprio dentro il bersaglio. Abbiamo misurato strumentalmente che sono proprio la velocità e la forza mantenute o incrementate dentro il bersaglio, che realizzano il vero trasferimento di potenza e non la velocità di primo contatto, o la velocità media dell’intera tecnica, che costituiscono semmai un importante parametro tattico relativo al fatto di poter raggiungere l’obiettivo in tempi rapidi. Un colpo molto rapido a raggiungere il bersaglio, che non mantiene però quella velocità all’interno dello stesso e addirittura si riduce di molto, trasferisce di fatto pochissima potenza. Tutte cose queste che sicuramente fanno parte del bagaglio di esperienza dei praticanti più esperti, ma che mi premeva approfondire sotto il profilo scientifico, per dare a quell’esperienza anche un sostegno dialettico, razionale, necessario a farci relazionare con maggiore consistenza, anche con chi, non esperto di karate, ma dotato di ottima cultura scientifica, volesse in qualche modo comprendere qualcosa di oggettivamente determinabile della nostra disciplina.

Tra gli studi che ha fatto, quali ritiene siano di particolare importanza per il futuro del karate?
Sicuramente, dimostrare con ricerche sperimentali l’efficacia e l’efficienza di un certo comportamento tecnico e osservare strumentalmente come le capacità mentali dei nostri praticanti siano di livello paragonabile a quello di atleti delle più svariate discipline di situazione, può conferire al karate tradizionale credibilità scientifica, ponendolo al riparo dai tentativi di delegittimazione per obsolescenza, come succedeva a volte in passato. Gli studi e le ricerche scientifiche sperimentali coprono però solo un aspetto, importante certo – anche per evitare derive mistificatorie –, ma non sono sufficienti. Già da tanti anni, prima ancora di impegnarmi in questo tipo di ricerca, mi ero interessato a cultura e filosofia classica delle arti marziali e oggi posso avvalermi della biblioteca interna della nostra associazione, che conta quasi tremila volumi, per approfondire certi temi. Penso che per il futuro della nostra disciplina, alla robustezza organizzativa federale possa contribuire molto una formazione culturale dei propri istruttori e maestri basata sia sulla storia e i classici, sia sulla conoscenza scientifica contemporanea. Il materiale antico è affascinante, più di quanto ci si aspetti, è fortemente istruttivo perché quegli antichi personaggi conoscevano il loro corpo e la loro arte in una maniera così profonda e ricca di dettagli, da lasciare senza fiato, altro che empirici e obsoleti!

Quando ha iniziato la pratica di Hiroshi Shirai Goshindo e quale grado ha attualmente conseguito?
Ho iniziato la pratica di Hiroshi Shirai Goshindo nel 1987 nel Dojo di Via Friuli a Milano. Ricordo che le prime lezioni le facevamo dopo la pratica Shotokan con il M° Shirai, attualmente rivesto il grado di Kyoshi.

Sulla base della sua esperienza e delle sue conoscenze, che cosa rappresenta per lei la pratica di Hiroshi Shirai Goshindo?
Quando nel 1987 ho iniziato la pratica di Hiroshi Shirai Goshindo, a livello istintivo ho avuto subito la sensazione che si trattasse di qualcosa di molto profondo e con un orientamento applicativo molto accentuato e particolare, che andava a toccare temi tecnici di vitale importanza, i quali, per tutta una serie di motivi di priorità agonistica, erano precedentemente trascurati. Sentivo chiaramente che tale pratica era un’emanazione diretta del M° Shirai, la sua autentica visione del karate, tutta la sua esperienza, studio e maturazione. In una parola tutta la sua personalità si poteva esprimere appieno nei kata da lui creati appositamente, legando strettamente le componenti formali educative e amplificative della tecnica a quelle applicative, quasi senza soluzione di continuità. Questo rappresentava e rappresenta sicuramente uno strumento prezioso di approfondimento anche del karate Shotokan, nei kata, come è noto, al grande valore formale educativo e amplificativo dei principi tecnici fondamentali, non corrispondeva un’altrettanta esternazione diretta nelle possibilità di una reale applicazione ed era straordinariamente bello vedere che con i principi di Hiroshi Shirai Goshindo diveniva possibile decodificarli, proprio secondo queste possibilità. Non una decodifica arbitraria e fantasiosa, ma seria e coerente, rispetto ai principi tecnici e mentali e ai valori comportamentali delle antiche arti marziali del Budo. Ho visto poi come da questi principi, agli inizi degli anni ‘90, il M° Shirai con grande energia e passione, ma anche sensibilità e rispetto, abbia iniziato a lavorare sui kata Shotokan e, senza stravolgere nulla della loro formalità e codifica, aggiungere i Bunkai in un continuo percorso di miglioramento e approfondimento. Secondo la mia esperienza e conoscenza la razionalità dei principi di Hiroshi Shirai Goshindo è straordinaria. Da questo punto di vista l’uso del corpo e della tecnica per ogni determinato fine è ottimizzata al meglio e, come già accennato, la loro coerenza con le antiche arti del Budo è altrettanto solida e indiscutibile.

Nella sua storia di karateka ha un aneddoto o un ricordo particolare che vorrebbe raccontare ai nostri lettori?
Molto tempo fa mi capitò una cosa curiosa, che tuttora ricordo vivissimamente e su cui rifletto spesso, perché penso sia legata al karate e al suo particolare spirito, più di quanto a prima vista possa sembrare. Un pomeriggio, mia moglie cercando in giro nel giardino e nell’orto il gattino rosso per dargli da mangiare, non riusciva a trovarlo, ma rovistando ogni angolo alla fine, con sua bruttissima sorpresa, scorse un ammasso di pelo rosso e pelle sanguinolenta aggrovigliato nell’erba, già abbastanza alta visto il periodo dell’anno. Il cane del vicino, noto per la sua avversione ai gatti, l’aveva ucciso, questa era la triste verità in quel momento e lei andò su tutte le furie per il dispiacere e per l’ira verso il cane, si armò di un bastone e si precipitò verso di lui che era poco distante per punirlo. Quando gli si avvicinò minacciosa il cane, che conosceva bene e coccolava spesso, rimase sorpreso e impaurito, assunse un atteggiamento remissivo e sconcertato e lei ebbe pietà di lui, l’ira si trasformò in pianto e, abbassato il bastone, si ritirò verso casa. Aperta la porta sentì miagolare il gattino rosso in una stanza, chiuso dentro un armadio! Io, che già mi ero attrezzato con il badile per seppellire il gatto, quando andai per prenderlo realizzai che non era assolutamente il gatto, ma la pelle di un povero coniglio rosso macellato la mattina dalla nonna per il sugo!

Il dovere certamente ti aiuta nei momenti difficili, ma senza il fondo d’entusiasmo del piacere di praticare, non si può andare molto lontano.

Dopo oltre quarant’anni di pratica, quale cosa più di ogni altra la motiva oggi nel seguire la via del karate?
Il piacere di praticare e condividere la pratica con coloro i quali da una vita la spartisci. Il dovere viene dopo, anche se è molto importante, perché evita al piacere di divenire puro divertimento e alla fine di estinguersi per assuefazione e perdita d’interesse, come succede ai bambini nei giochi. Il dovere certamente ti aiuta nei momenti difficili, ma senza il fondo d’entusiasmo del piacere di praticare, non si può andare molto lontano. È difficile dire da dove provenga questo fondo di entusiasmo, penso che sia una questione intrinseca alla pratica, che ci rinnova ogni volta l’energia positiva se condotta diligentemente e per questo c’è bisogno della fiducia nel proprio maestro, nella propria arte, nelle persone e nella stessa vita.

Vuole esprimere un pensiero o un ringraziamento per qualcosa o per qualche persona in particolare?
Tantissime sono le persone a cui devo molto e a loro va sempre un mio sentito pensiero di ringraziamento, ringrazio i miei genitori e mia sorella, il Maestro Shirai per tutto quello che ha fatto e continua a fare per il karate e per tutti noi. Voglio ringraziare il M° Dino Contarelli per la fiducia riposta in me e l’opportunità concessami di dare un contributo nella formazione federale. Ringrazio il M° Claudio Ceruti a cui devo tanto della mia esperienza, i miei allievi di cui vado orgoglioso e mia moglie Laura a cui devo tutto nel vivere quotidiano.

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