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Il Cammino dal Dojo alla Vita – 4

Il Cammino dal Dojo alla Vita – 4

Sotto lo sguardo di Shirai

Di Luigi Zoia

Karate
Quando il Maestro Hiroshi Shirai entrava in dojo, l’aria cambiava.
Non servivano parole, né presentazioni: la sua presenza riempiva lo spazio in un modo che nessun suono poteva descrivere.
Il silenzio diventava più denso, i respiri più consapevoli, i movimenti più tesi.
Non era paura, e nemmeno semplice rispetto.

Il suo sguardo mi obbligava a essere presente, non solo a eseguire.

Era un sentirsi attraversati da uno sguardo che andava oltre il corpo.
Ricordo un allenamento in cui stavo eseguendo un kata che conoscevo a memoria. Ogni passo, ogni parata, ogni colpo era frutto di anni di ripetizione.
Eppure, quando alzai lo sguardo e lo vidi fissarmi, capii che non stava osservando la correttezza della forma.
Era come se volesse sapere se dentro di me c’era spirito o solo meccanica.
Il suo sguardo mi obbligava a essere presente, non solo a eseguire.
Non potevo più rifugiarmi nella velocità, nella potenza o nella memoria del corpo.
Dovevo esserci, intero.
Quello sguardo era un esame più severo di qualsiasi cintura.
Non giudicava la tecnica: giudicava la vita che mettevo in quella tecnica.

Vita
Nella vita ho riconosciuto la stessa dinamica.
Ci sono persone la cui sola presenza cambia il modo in cui ti muovi, parli, respiri.
Non è timore, ma consapevolezza.
Come se il loro esserci fosse uno specchio che ti mostra con chiarezza chi sei davvero in quel momento.
Può succedere con un maestro, ma anche con un amico che ti conosce profondamente, o con una persona che ami e che non ha bisogno di parole per leggerti dentro.
Può succedere in contesti lavorativi, quando sei davanti a qualcuno che non guarda solo i tuoi risultati, ma la tua autenticità.
La loro presenza ti obbliga a uscire dalle maschere, a portare tutta la tua verità sul tavolo.
All’inizio può essere scomodo, quasi doloroso, perché ti accorgi che non puoi fingere.
Ma se resti, se reggi quello sguardo, diventa trasformativo.
Ti costringe a dare di più, non perché qualcuno te lo ordini, ma perché quella qualità di attenzione risveglia la parte migliore di te.

Il Do, allenato così, diventa un allenamento costante a non arretrare davanti alla presenza.

Integrazione
Allenare il Do significa imparare a reggere la qualità di certe presenze.
Non si tratta solo di rispettare regole o di migliorare tecniche: si tratta di allenarsi a essere interi quando qualcuno ti vede davvero.
Lo sguardo di Shirai non era un controllo, era un dono: mi mostrava che non bastava sapere i movimenti, bisognava incarnarli.
Che non era sufficiente avere il corpo preparato, serviva avere l’anima presente.
Fuori dal tatami, questa lezione continua a valere.
Ogni volta che entro in una stanza e percepisco la qualità dello sguardo di chi mi circonda, mi ricordo di quel dojo.
Ci sono sguardi che ti tolgono energia, che ti fanno sentire giudicato.
E ci sono sguardi che ti chiamano alla tua verità, che ti costringono a mostrarti autentico.
È in quegli sguardi che si nasconde la possibilità di crescere.
Il Do, allenato così, diventa un allenamento costante a non arretrare davanti alla presenza.
A non scappare, a non fingere, a non rifugiarti nella forma vuota.
Significa imparare a dire, con tutto il corpo e con tutta la vita: “Sono qui”.

Apertura di campo
E tu?
Hai mai incontrato una persona la cui sola presenza ti ha spinto a dare di più, a mostrarti autentico, senza possibilità di nasconderti?
Com’è stato reggere quello sguardo?
Condividilo: a volte non sono le parole, ma la qualità di una presenza a trasformare il nostro cammino.

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