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La mente dei bambini: creare un posto al sicuro

La mente dei bambini: creare un posto al sicuro

Come valutiamo gli individui e quale approccio adottiamo nel fornire il nostro supporto nel dojo?

Come valutiamo gli individui e quale approccio adottiamo nel fornire il nostro supporto nel dojo? 

La prospettiva con cui esaminiamo la loro situazione emotiva e gestionale, e il modo con cui ci prendiamo cura di loro, sia come individui con una loro storia, sia come praticanti, influenzeranno la scelta di rimanere o abbandonare l’attività sportiva che hanno deciso di intraprendere (soprattutto nei primi tempi). Appare chiaro che una presa in carico che non tralasci né la soggettività, né il contesto con regole e relazioni, risulta essere prerogativa essenziale per poter creare una condizione che mette a proprio agio il bambino e la famiglia che decide di affidarsi a noi insegnanti come figure educative.
La permanenza in un’attività diventa una scelta quando si comincia a percepire un senso di accoglienza. L’accoglienza implica, successivamente all’istaurarsi della relazione, una consapevolezza del potenziale comunicativo, relazionale e interattivo che il bambino porta con sé come parte del suo bagaglio personale, o che può essere potenziato e portato alla luce dall’insegnante con cui interagisce. 

La permanenza in un’attività diventa una scelta quando si comincia a percepire un senso di accoglienza.

Investire nella salute psicofisica di un bambino significa creare un patrimonio ricco di possibilità che si armonizzano nel rapporto a due. Ogni modifica, ogni dettaglio aggiunto o mutato, contribuisce a creare un universo narrativo in continua evoluzione, capace di adattarsi alle sfumature della crescita con i suoi passaggi evolutivi. In questa pratica creativa il maestro conduce la trama della vita del bambino con la capacità di esprimere emozioni, trasmettere valori e stimolare l’immaginazione. In questo modo, il processo di scrivere e riscrivere la “storia” di un bambino diventa un atto di creazione continua che diviene possibile quando formiamo adulti consapevoli, costantemente attenti ai bisogni interni e alle innumerevoli opportunità di sviluppare un potenziale, anche quando non siamo in grado di identificarlo immediatamente. 

È importante sottolineare che né tutte le abilità di orientarsi nello spazio, né il processo di apprendimento, hanno necessariamente un inizio agevole e immediato; spesso, le risorse richiedono allenamento e implicano sfide e attimi di scoraggiamento. Il potenziale in questione può svilupparsi in varie direzioni, a condizione che si creda nella possibilità di superare le prime difficoltà e si agisca gradualmente. In questo modo è possibile creare uno spazio sicuro e funzionale per il bambino, rispettando la sua soggettività. Ricordiamo sempre che il bambino porta con sé un modo specifico di comunicare e apprendere, sviluppato nel contesto quotidiano della sua famiglia. Pertanto, richiedere un ascolto immediato e la conformità alle regole disciplinari non costituisce un approccio ideale per iniziare un rapporto di comprensione.
D’altra parte è essenziale comprendere che la natura del karate deve rimanere intatta, evitando qualsiasi forma di alterazione. L’ascolto attento e la disciplina sono due elementi fondamentali che devono procedere all’unisono, mantenendo integra la loro definizione e la logica intrinseca in entrambe le modalità di intervento nei confronti di coloro che si avvicinano al karate. Questa caratteristica deve restare costante lungo l’intero percorso che si è scelto di intraprendere.

Il bambino porta con sé un modo specifico di comunicare e apprendere.

Nel contesto specifico in cui operiamo, il corpo emerge come il primo canale privilegiato per comunicare con il bambino e riconoscere il suo personale approccio al contesto può costituire la via verso la sicurezza di appartenere al luogo giusto, circondato da individui che accettano la sua unicità.
È essenziale considerare il bambino in relazione al suo comportamento, adottando una visione neutrale, priva di qualsiasi soggettività. La verifica di questo approccio è possibile attraverso l’assunzione di responsabilità nei confronti del bambino. Tale assunzione giustifica e rende chiare le modalità, le risposte e le domande che emergono dal bambino nel contesto in cui si esprime. La soggettività dovrebbe agire come un merito, consentendo a ciascuno di guidare, attraverso la propria esperienza, le potenzialità che possono essere visibili o meno. Queste potenzialità possono consolidarsi durante la crescita di un karateka.

Il corpo emerge come il primo canale privilegiato per comunicare con il bambino.

Nel Dojo, che si trasforma in un ambiente “protetto”, il bambino inizia il percorso di fiducia quando riusciamo a farlo sentire al sicuro: la realizzazione di questo stato richiede una pratica lenta e graduale, sviluppando notevoli abilità nella comprensione interna delle proprie emozioni. La creazione di uno spazio sicuro deve trasmettere la sensazione di essere pienamente immersi nella situazione, mantenendo intatti i dettagli emotivi e i cambiamenti espressivi, sia a livello facciale, sia di gestione corporea.
Questo coinvolgimento richiede una comunicazione flessibile e adattata alle esigenze del bambino/ragazzo, incoraggiando il maestro a diversificare la propria prospettiva. Tale messaggio evidenzia un impegno profondo nei confronti della formazione di individui consapevoli, capaci di esplorare il proprio potenziale e di affrontare le sfide con resilienza. La consapevolezza dell’importanza della salute psico-fisica e la volontà di contribuire a creare storie ricche di significato suggeriscono una visione completa e integrata dell’educazione, come un processo che va al di là della trasmissione di conoscenze, coinvolgendo la formazione della persona nel suo complesso.

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