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La giusta lente con cui guardare un allievo

La giusta lente con cui guardare un allievo
Foto di Fabrizio Bagnoli

L’ascolto del mondo interno del bambino che ci viene affidato è alla base di quella dinamica di fiducia che si instaura a piccoli passi tra il maestro e il praticante.

Le caratteristiche socio-culturali, familiari e ambientali di un allievo, qualora venissero trascurate, potrebbero portare come primo impatto emozionale a sentire sia il maestro sia il gruppo sociale, con cui si interfaccia per praticare, “oppositivi” e non concilianti con il proprio sentire. (Tiziana Liguori)

La gestione di un allievo non prescinde dalla sua storia di vita e dalle caratteristiche di personalità, formate dall’interazione con i contesti e i gruppi con cui lo stesso si interfaccia. L’ascolto del mondo interno del bambino che ci viene affidato è alla base di quella dinamica di fiducia che si instaura a piccoli passi tra il maestro/istruttore e il praticante. Gli allievi ci vengono affidati attraverso una più o meno implicita delega: “Prenditi cura di mio figlio”, delega che implica anche la presa in carico della struttura sensibile del bambino e il riconoscimento dei suoi meccanismi emotivi.

Nel corso della vita, ognuno di noi adotta una maniera per “andare avanti”…

La figura del Maestro ha in sé, pertanto, molte responsabilità non solo nella costruzione di un percorso operativo-emotivo (un pezzo di DO), specifico a seconda della fascia di età, ma anche come attento creatore di uno spazio “sano” in cui l’allievo deve potersi rispecchiare e sentirsi a “casa”.
Si tratta di un compito tutt’altro che facile e che a volte può scontrarsi con le storie di vita di un maestro, le quali possono aver avuto un impatto non positivo sulla costruzione del Sé o semplicemente che hanno lasciato cicatrici più o meno visibili. Ciò comporta l’attivazione di meccanismi particolari, disfunzionali, che vengono trasmessi nel campo del karate-do proprio quando ci si sente in una situazione di neutralità (una situazione in cui siamo più a nostro agio), compromettendo l’analisi e l’osservazione del comportamento nella pratica e la sua aderenza ai principi e alle regole.

Ma che cosa accade se il maestro non è in grado di distinguere le caratteristiche di personalità dell’allievo dal suo modo interno di vedere l’allievo?
Nel momento in cui trasferiamo “fuori da noi” e attribuiamo all’altro in modo inconsapevole aspetti di noi stessi – sensazioni sgradevoli, sentimenti ostili etc. (aspetti che in realtà sono nostri) –, iniziamo a restare rigidi nelle nostre posizioni, impedendo di rendere libero nel processo di apprendimento l’allievo, che così smette di scegliere di essere ciò che desidera.
Oltretutto, nel corso della vita, ognuno di noi adotta una maniera per “andare avanti”: quando costruiamo un ponte per risanare una grande delusione, quando si affronta un micro/macro evento traumatico, quando ci si sente insoddisfatti. Tuttavia, il modo che in quel dato momento ci risulta essere più idoneo, non sempre può essere il più funzionale: la necessità di “sopportare un peso” ci porta ad aderire a meccanismi che in verità ci cristallizzano, come in un continuo loop di azioni e reazioni, di sequenze ripetitive di comportamenti in contrasto con la relazione che instauriamo.
Tali meccanismi possono, dunque, essere disfunzionali quando sono pervasivi nel rapporto allievo-maestro, invalidando la sua forma originaria e dando luogo a dinamiche che possono marcare le eventuali difficoltà dell’allievo, le sue insicurezze, rafforzando in lui l’idea di non essere capace di stare e vivere nelle situazioni del karate e non.

Ipotizziamo che nel rapporto con l’allievo il maestro inizi a sentire sentimenti di disagio, fastidio e poca tollerabilità al modo di essere del bambino. Il suo lavoro più difficile, come educatore, sarà quello di trattare tali sentimenti come non prevaricanti e pregiudizievoli nel rapporto (si precisa che ciò avviene in modo del tutto inconsapevole).
Pertanto, il riconoscimento del proprio sentire, del proprio sentirsi, risulta un passaggio fondamentale per non cadere nelle trappole emotive che non permettono di leggere le emozioni in modo chiaro, ma la cui lettura avviene attraverso la lente sfocata di dolori, insuccessi e difficoltà mai superate o, meglio, adattate in un modo che ha reso la persona capace di guardare le relazioni solo sulla base del proprio punto di partenza, trascurando quello altrui. È in questo momento che avviene un’impasse nella comunicazione delle regole e degli aspetti educativi del karate-do, caricando il bambino di aspettative e risultati da ottenere indipendenti dallo stesso.

Prendiamo l’esempio in un cui un maestro ha un canale di osservazione prevalentemente di tipo agonistico-prestazionale nel quale ha più facilità e, pertanto, che pone maggiore attenzione all’allievo che è in grado di seguire agevolmente ogni sua singola nuova indicazione. Nel caso in cui il maestro abbia avuto un sistema di rete e di famiglia centrato sul focus: “migliore prestazione=bravura”, accentuerà con maggiore cura e attenzione specifica l’allievo e, date queste premesse, si potrebbe pensare che punti la sua attenzione al lavoro produttivo, ma non riconducibile alle peculiarità dell’allievo.

L’osservazione del modo di essere dell’allievo e la sua relazione con gli amici di pratica deve fungere da cartina tornasole.

Gli effetti di tali “attenzioni” assumeranno un connotato non propriamente positivo qualora l’allievo, per sensibilità accentuata dello stesso, potrà mal digerirli, manifestando a volte anche stati ansiosi, eccessiva risposta agli stimoli stressogeni e mancanza di ascolto.
L’osservazione del modo di essere dell’allievo e la sua relazione con gli amici di pratica deve fungere da cartina tornasole per avere un indizio sul suo stato emotivo (una comprensione dei punti di forza e di fragilità), legato a un determinato momento temporale e psicologico. L’allievo che rappresenta la sua ribellione nel dojo con quel Maestro, che non è stato capace di assolvere le proprie aspettative di cura e di ascolto, correrà il rischio di divenire egli stesso un maestro escludente e incapace di accogliere le difficoltà. Avere degli esempi e dei modelli sani da seguire è necessario per il processo di crescita funzionale nel karate-do.

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