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Il karate si pratica in silenzio. O quasi…

Il karate si pratica in silenzio. O quasi…

Le domande nel dojo non sono necessariamente sbagliate. Pensate solo bene a quali fare.

In un tempo ormai remoto, su una parete di molti dojo campeggiava un cartello ammonitore con la scritta: “Il karate si pratica in silenzio”. L’avviso (mutuato dal judo) ricordava, soprattutto ai principianti, che la pratica di un’arte marziale è incompatibile con l’atmosfera informale di una palestra sportiva e invitava alla concentrazione e al raccoglimento.
Ma siamo in Italia, non in Giappone, e non tutti gli insegnanti hanno voglia di spegnere sul nascere, a muso duro, l’inopportuna curiosità degli allievi, come fece quarantacinque anni fa il maestro Naito quando alzai timidamente una mano per dirgli che non avevo capito la sua spiegazione della posizione di fudodachi. “Fare, non parlare! Provare prima di chiedere!” mi ringhiò contro il collaboratore del maestro Shirai da poco arrivato dal Giappone. Arrossii, mi sentii sprofondare, e tacqui (almeno per un bel po’).
Col tempo, dicevo, il clima è cambiato, e non è detto che sia un male. Molti insegnanti dialogano con gli allievi e rispondono di buon grado alle loro domande. Ma non bisogna approfittarne, non si deve sabotare il lavoro collettivo e soprattutto non si devono fare domande sbagliate o inutili, come quelle degli esempi seguenti.

Fare una domanda per mettersi in mostra è insincero.

Il saputello
Maestro, quello che ci sta spiegando è simile a quello che scrive Miyamoto Musashi in Gorin no sho quando spiega gli effetti del go no sen?
Questo è il genere di domanda che di tanto in tanto si sente nel dojo. Certo, possiamo dire che non esistono domande stupide, ma dobbiamo capire che a volte ci sono domande inappropriate. Una delle domande più inopportune che si possono fare al maestro è quella che non ha lo scopo di migliorare la vostra conoscenza di un argomento, ma di dimostrare la vostra competenza. Queste domande sono pensate per far colpo sul maestro o sui vostri compagni. L’allievo che chiede di Musashi butta lì quel nome per far sapere al maestro che ha letto il libro e usa la terminologia giapponese meglio degli altri. Lui naturalmente lo negherà, ma tutti abbiamo sentito fare domande simili e conosciamo il genere di persone che le fa. Non imbrogliano nessuno.
Solo un insegnante inesperto sarà impressionato dalla “competenza” che cercate di mettere in mostra con una domanda del genere. È più probabile che tronchi il discorso o che vi risponda con un monosillabo. Si spera che comprendiate la lezione. Fare una domanda per mettersi in mostra è insincero, e nel dojo non c’è posto per l’insincerità. Fate una domanda se volete sapere la risposta, non perché volete dimostrare di saperla già – o perché pensate di saperla.

L’arrogante
Non capisco come questa leva possa funzionare.” Questa in realtà non è una domanda. Vi è stata spiegata l’applicazione di una tecnica di Jitte, ma non vi sembra che abbia senso. Il vostro commento, anche se è sincero, mette in cattiva luce l’insegnante. Quali sono le reazioni possibili del maestro? Posso dirvi come ha risposto uno dei miei insegnanti di karate, quando io ero abbastanza giovane e stupido per fare questa osservazione a proposito di un certo modo di parare maegeri: me l’ha dimostrato nella pratica… e ho zoppicato per tre giorni. Il problema è che un commento del genere dà l’impressione che non vi fidiate del vostro insegnante. Se mettete in discussione la validità di una tecnica che vi insegna, non ha senso che lo consideriate il vostro maestro. Inoltre, è impossibile dimostrare come certe cose “funzionino” in un’arte marziale. Le posizioni basse, per esempio, non funzionano nella vita reale. Non è questo il loro scopo. Caricare il pugno sul fianco prima di colpire non funziona in una situazione concreta. È un metodo di allenamento. Se davvero non capite una tecnica nuova, è meglio dire: “Sto sbagliando qualcosa, non riesco ad applicare questa tecnica”. Questo approccio cambia tutto. Non state sfidando il maestro o mettendo in discussione l’arte; state ammettendo che il problema siete voi. Questo elimina la possibilità di un conflitto. Il maestro può spiegare la cosa senza sentirsi insultato o avere l’impressione che lo mettiate in discussione.

Il perditempo.
“E se qualcuno invece rispondesse così?” Siamo spesso tentati di fare questo genere di domande, ma è difficile rispondere in modo realistico. I principianti spesso pensano a un’arte marziale come a un grande repertorio di tecniche. Se ti tirano un pugno, si fa così. Se ti afferrano, si fa cosà. Impara tutte le varianti e sarai padrone dell’arte. Sfortunatamente non è così che funziona. Imparare un’arte marziale è come imparare a scrivere. Immaginate di tenere un corso di scrittura. Uno studente vi chiede: “Come posso scrivere un romanzo di fantascienza?”. Un altro chiede: “Come posso scrivere un romanzo?”. Gli rispondereste che devono imparare i fondamentali della grammatica, la struttura della trama e lo sviluppo dei personaggi, e solo allora potranno adattarli al genere che preferiscono. Il karate, come metodo di combattimento, non è un contenitore di “trucchetti” o di risposte specifiche; è una serie di principi che, concretamente applicati, danno la libertà di generare una vasta gamma di risposte spontanee.

Il karate, come metodo di combattimento, non è un contenitore di “trucchetti” o di risposte specifiche.

La domanda salvavita
C’è un quarto tipo di domanda, forse più innocente, ma non meno fastidiosa e inopportuna: è quando, per rifiatare verso la fine di un allenamento particolarmente faticoso, rantolando chiedete al maestro di rispiegare per l’ennesima volta un dettaglio insignificante di un kata stranoto come, mettiamo, Bassai dai. Se il maestro avrà pietà di voi, probabilmente vi risponderà (e forse qualche compagno di allenamento vi sarà grato per questo pit stop): ma non illudetevi di essere cresciuto nella considerazione di nessuno. Sareste più onesto e, soprattutto, meno molesto, chiedendo di uscire dal gruppo e di sedervi per la durata di quel kata.
Imparare un’arte marziale è un processo che dura tutta la vita. Abbiate pazienza. Le tecniche, i kata, i metodi di allenamento che credete di padroneggiare, hanno una profondità che non avete neppure cominciato a esplorare. È un dato di fatto che, durante l’allenamento, i principianti di solito praticano l’ultima cosa che gli è stata insegnata, mentre i karateka esperti si dedicheranno ad approfondire ciò che hanno imparato all’inizio.
Le domande nel dojo non sono necessariamente sbagliate. Pensate solo bene a quali fare.

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