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Il KATA: un Libro Sacro

Il KATA: un Libro Sacro

Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso. Salsomaggiore (PR) – 23.01.2010

(In Karate Do n. 17 gen-feb-mar 2010)

Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò.

Ogni volta che torno qui e vi incontro imparo sempre qualcosa di nuovo dal M° Shirai, dal M° Naito, dal M° Watanabe e anche da tutti voi. Per questo vi ringrazio molto.
Tempo fa dissi che se una persona non s’incontra per più di tre giorni la si può ritrovare cambiata. A qualcuno potrebbe essere parso spaventoso! La volta scorsa ho assistito al vostro allenamento e oggi ho provato una profonda emozione riscontrando il vostro miglioramento. Lo deduco dall’atteggiamento serio che avete verso il Karate-Do.
In particolare, osservandovi, mi piace ricordare il Dojo Kun. Sento veramente il vostro desiderio e la vostra volontà di progredire, quindi mi soffermerò a riflettere su ciò.
Mi domando spesso perché il M° Shirai inviti proprio me. Se il Karate-Do che praticate fosse solo uno sport, non credo mi chiamerebbe… In generale le arti marziali si sono sempre basate sulla filosofia orientale, specificatamente sul Buddhismo, e questa è l’occasione per un approfondimento utile a raggiungere il nostro obiettivo.

Buddha dice che per migliorarsi bisogna controllare il proprio spirito, controllare e vincere il proprio ego. Mettere a posto e trovare armonia tra corpo e mente.

Oggi vorrei spiegare le differenze tra le due religioni: orientale e occidentale. Sicuramente alcuni concetti sono comuni a entrambe le culture e possono essere tradotti con eguale valenza, ma venendo in un Paese di tradizione cattolica io, monaco Buddhista, ho il dovere di spiegare alcuni concetti.
Per aiutarmi introdurrò alcune argomentazioni tratte da un testo del prof. Nakamura Hajme (Matsue 28.11.1911 – Tokyo 10.10.1999), studioso giapponese del Buddhismo e di storia delle religioni orientali. Egli spiega che la zona geografica dove sono utilizzati gli ideogrammi per la scrittura è la parte orientale dell’Asia, in particolare in Giappone c’è una sostanziale differenza di base nel modo di tramandare il pensiero sacro.
Il concetto di religione è un concetto molto diverso dalla vostra realtà, soprattutto nel significato del “valore”. Due sono gli ideogrammi che rappresentano il senso della parola religione: uno è shu, il suo significato è “estrema o ultima verità”, intendendo in sostanza ciò che non è spiegabile con le semplici parole e che non può essere ricondotto a schemi o regole ma, ovviamente, noi per definire questo concetto dobbiamo usare le parole. Di conseguenza, ciò determina la formazione di un insegnamento e quindi tale ideogramma si trasforma in kyo. In tal modo qualcosa d’inspiegabile diventa “tramandabile”, con l’unione dei due ideogrammi: shu-kyo. Letteralmente tradotto tale binomio significa Religione.

Dentro questo legame ciò che non potrebbe essere spiegato è decifrato di volta in volta dalla singola persona ed è trasmesso secondo il suo caratteristico sentimento (cuore). Ritorna così il concetto di cui vi avevo accennato in precedenza chiamato kokoro.
La riunione delle diverse espressioni dei singoli kokoro accetta tranquillamente i concetti di altri pensieri filosofici o religiosi estranei al Buddismo. In Giappone al tempo dell’epoca Meiji (Periodo del Regno Illuminato dal 23.10.1868 al 30.07.1912) questi due ideogrammi furono fissati per definire il concetto di Religione.
Capite in ogni caso come la definizione non sia limitata solo al significato occidentale, ma abbia una base più estesa. In Giappone è facile che una persona che frequenti un tempio Buddhista non abbia alcun problema a entrare in un tempio Shintoista. La zona geografica comprende anche la Cina, il Nepal, la Corea, il Tibet e l’India.
Purtroppo, di recente il Giappone moderno sta perdendo questo pensiero di shu-kyo che si sta trasformando in Religione come “via dell’uomo”, in senso prettamente razionale.
Il prof. Nakamura ci ha lasciato queste riflessioni: la base del Buddhismo è la filosofia della ragione, della “via dell’uomo”, e per questo oggi io sono qui, per cercare di chiarirvi questo concetto.

Vorrei aiutarmi utilizzando un testo del M° Mabuni Kenei che ha scritto diversi libri, tra questi ho scelto Invito al Budo-Karate (K. Mabuni, Empty Hand. The essence of Budo Karate, Paperback, 2009). Il M° Mabuni è conosciuto e molto stimato in ambito scientifico per il suo lavoro di ricerca e racconta che da piccolo cominciò la pratica introdotto dal padre (M° Mabuni Kenwa), già Maestro fondatore del Karate Shito Ryu. La sua esperienza non si è limitata agli insegnamenti pratici ricevuti, ma vi trasferisce anche i precetti filosofici ricevuti. In questo libro spiega chiaramente e con convinzione la sua conoscenza con parole semplici e di facile comprensione. Soprattutto, è un ringraziamento ai predecessori che hanno tramandato con fatica e ricerca l’arte marziale.

Il Karate-Do ha però la capacità di uccidere le persone e questo aspetto lo rende unico nell’opportunità di riflessione per la crescita del pensiero.

Nella terminologia KarateDo sapete che Do significa la Via, il percorso. La “via dell’uomo” è un concetto chiaro in tutto le parti del mondo, il problema reale è come trovare la forza nello sforzo per migliorarsi. Buddha dice che per migliorarsi bisogna controllare il proprio spirito, controllare e vincere il proprio ego. Mettere a posto e trovare armonia tra corpo e mente, per poter parlare con sincerità, senza essere in affanno, senza arrabbiarsi e allontanando da sé il vizio. Non ci si deve dimenticare della fugacità della vita.
Il luogo dove s’impara a trovare la “via dell’uomo” è il dojo. Come vi avevo spiegato, questo non è solo un luogo fisico, ma è dove Buddha trova la sua illuminazione, nella trasformazione per la ricerca della via dell’uomo.
Tornando al M° Mabuni, la sua definizione di Karate-Do è quella di una pratica per educare il corpo e la mente in maniera sana, che riunisce l’aspetto fisico e quello mentale. Il Karate-Do ha però la capacità di uccidere le persone e questo aspetto lo rende unico nell’opportunità di riflessione per la crescita del pensiero.
Riassumendo, il Karate-Do contiene: 

  • l’educazione fisica (tai iku),
  • l’educazione dello spirito, dell’energia (ki iku),
  • l’educazione dell’atteggiamento marziale (bu iku).

Prima di leggere questo libro non sapevo che la parola kata avesse un secondo significato oltre a quello di stampo o matrice. L’altro concetto associato è quello di modulare, interpretare. Storicamente a ogni Maestro si associava un kata che lo caratterizzava, egli passava tutta la vita a crearlo, modificarlo, pensarlo e trasformarlo. Tutta una vita… Lo stesso kata era spiegato e tramandato agli allievi durante tutta un’esistenza. A differenza di oggi, che si conoscono tanti kata, una volta bisognava frequentare diversi Maestri per apprenderne vari.
Il M° Mabuni dice che allenando tutti i giorni, per tutta la vita, anche solo un kata, con lo scopo di migliorare il corpo e la mente, ha un effetto infinito. Quindi, si può dire che il kata sia paragonabile a un libro sacro. Se fosse solo una questione di semplice movimento andrebbe bene per l’allenamento fisico, ma il vero approfondimento sta nel dare la propria interpretazione all’esecuzione con cuore e sincerità, curandone ogni minimo aspetto. Questo avvicinerebbe il karateka a trovare la propria filosofia di vita.
Chi ha percepito il valore di tale pratica si è impegnato a tramandarlo ad altri. Se così non fosse avvenuto, oggi non avremmo la storia del Karate-Do. Senza kata non ci sarebbe stato il Karate-Do.
Maestro significa: chi dà tutto per la ricerca e la comprensione della disciplina, senza nasconderlo e trattenerlo solo per sé.

Per spiegare meglio questo concetto vi racconto come Buddha, nell’ultima parte della sua vita, a circa ottant’anni, all’avvicinarsi della stagione delle piogge in India si fermò in un villaggio chiamato Beluva Gamaka. Egli era accompagnato da una sola persona, il suo ultimo e fedele discepolo Ananda.
Buddha aveva una malattia che gli procurava violenti dolori e che cercava di combattere con la meditazione. Ananda chiese al Maestro di fare un’ultima predica pensandolo in punto di morte. Buddha rispose: «Ananda, tutti i discepoli cosa si aspettano da me? Io ho predicato tutta la vita a chiunque e ovunque senza distinzione alcuna. Chi è impeccabile non nasconde nulla ai suoi discepoli! Se fossi un Maestro non sincero farei credere di avere altro da dire per trattenerti al mio fianco. In questo momento io non ti nascondo nulla. Sono arrivato a quest’età, ora voi cercate la vostra ragione seguendo le regole del mio insegnamento».
Per questo motivo il M° Mabuni ringrazia (on) e riconosce il valore dell’operato dei vari Maestri che hanno costruito il Karate-Do dedicando il lavoro di una vita.

Ricordate quando vi dissi che il più grande valore di on è quello rivolto ai genitori?
Vorrei narrarvi in proposito un racconto reale che ho sentito da mio padre, riferito a un episodio svoltosi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
C’era un giovane laureato che stava sostenendo un colloquio d’assunzione in un’azienda e nella commissione era presente anche il Presidente dell’azienda. Al termine della prova il Presidente disse: «Tu hai fatto un ottimo colloquio, vorrei porti ancora un’ultima domanda: i tuoi genitori sono contadini, vero? Tu hai mai lavato i piedi a tua madre o a tuo padre?». La domanda lasciò sorpreso il giovane, perché era inattesa. Egli comunque rispose dicendo: «Io non ho mai lavato i piedi ai mie genitori», allora il Presidente chiese: «Se tu tornassi un giorno a casa, potresti lavare i piedi ai tuoi genitori? Potresti prometterlo qui oggi? Quando tornerai da me, potresti raccontarmi quello che sarà successo?». Il giovane rispose affermativamente alla richiesta, anche se non ne afferrava il significato.
Un giorno capitò che il giovane tornasse a casa, la madre stava preparando la cena e il padre era ancora nei campi. La madre gli chiese dell’esito del suo colloquio d’assunzione ed egli le raccontò delle varie domande, tralasciando la parte finale relativa alla richiesta e alla promessa fatta al Presidente. Ma qui si accorse di avere perso l’occasione per mantenere la promessa fatta.
Alla sera rientrò il padre. Il giovane prese coraggio e cercò di rimediare afferrandogli i piedi per poterli lavare. Il padre al principio tentò di farlo smettere, ma lui continuò. All’inizio la sua azione era solo motivata dal mantenere la promessa fatta al Presidente, ma continuando a lavare i piedi del genitore gli tornarono i ricordi di quando bambino vedeva i piedi grandi e forti di suo padre. Oggi quei piedi erano piccoli e magri, coperti di rughe. Improvvisamente gli venne in mente tutto il tempo trascorso e che, ormai, suo padre era anziano. Dal collo sentì scendere qualcosa, guardando all’insù vide che gli occhi di suo padre erano pieni di lacrime. A quel punto suo padre, con la faccia piena di felicità, gli chiese di fermarsi. Al giovane venne la stessa commozione perché, in così poco tempo, non aveva mai visto trasformarsi in felicità il volto del padre.
Al momento della cena il giovane raccontò ai genitori del colloquio di ammissione e della promessa fatta al Presidente. Il padre e la madre ascoltarono in silenzio annuendo semplicemente.
Quando il giovane tornò in azienda, si recò dal Presidente come promesso, e gli raccontò del suo ritorno a casa, dicendogli di avere lavato i piedi al padre. Il Presidente lo ringraziò per aver mantenuto il patto e gli chiese che sensazioni avesse provato. Il giovane raccontò di non aver mai visto in volto il padre così contento, all’inizio non aveva inteso il senso della richiesta, ma oggi sì. «Non saprei come descrivere l’espressione di mio padre, ma devo solo dire di avere provato una gioia come mai prima d’ora. Ho capito profondamente il significato del ringraziamento a mio padre e a mia madre per avermi fatto crescere. Per questo le sono grato di avermi insegnato questo gesto». Il Presidente ringraziò a sua volta per l’impegno rispettato, in questo modo era sicuro di come, dal quel giorno, il giovane avrebbe lavorato per la sua azienda e, soprattutto, per costruire il futuro del paese.
Il Presidente di quella azienda oggi è morto.

… il vero approfondimento sta nel dare la propria interpretazione all’esecuzione con cuore e sincerità, curandone ogni minimo aspetto.

È molto difficile insegnare un concetto importante come quello della gratitudine e del rispetto alla persona. Oggi si fanno svariati esami attitudinali o psicologici, anche la stessa scuola cerca di insegnare tali valori,  tutto ciò è molto difficile. Invece, quel Presidente, con un piccolo e apparentemente insignificante gesto, ha saputo trasmettere al giovane un profondo cambiamento, senza spiegarne il come.
Non è facile oggi incontrare una persona con tali capacità. Diamoci questo Presidente come esempio da raggiungere.

Avete presente la posizione delle mani con cui è raffigurato Buddha? La mano destra indica verso l’alto, con il senso d’elevazione e miglioramento. La mano sinistra punta il basso e significa l’impegno a salvare le persone.
Per raggiungere lo scopo ci vuole una pratica costante, non è facile, ma possiamo deciderlo. Io ho deciso di camminare insieme a voi verso il nostro obiettivo!
Vi ringrazio per la vostra presenza e per avermi ascoltato.

Gassho, M° Mitsutaka Koso.

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