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Impressioni di settembre

Impressioni di settembre

Franz Di Cioccio, Franco Mussida, Enzo Jannacci, tutti allievi del “Judo Club Jigoro Kano”, lo stesso dojo da dove il M° Shirai iniziò il suo insegnamento.

Gli anni della cosiddetta controcultura in Italia non furono certo un periodo semplice dal punto di vista sociale e politico. Dal fatidico 12 dicembre 1969, giorno dell’attentato di Piazza Fontana a Milano, al 2 agosto 1980, quando un ordigno sventrò la stazione di Bologna procurando la morte di 85 persone, il nostro paese venne investito dal terrore e dall’incertezza. Il clima controculturale che si respirava nelle maggiori capitali europee, dove la “rivoluzione sociale” andava inseguita a suon di libero pensiero, in Italia assunse i connotati della lotta armata fortemente condizionata dalla contrapposizione politica.
Per fortuna, fatto salvo qualche raro caso, questo aspetto più radicale non condizionò particolarmente il mondo della musica. Tuttavia, il momento storico non impedì che anche in Italia ci fosse una profonda spaccatura tra il prima e il dopo. Per tutti gli anni Sessanta, nel mondo della musica aveva prevalso quel clima di positività nato come conseguenza del “miracolo economico” e che aveva investito il nostro paese in quel decennio, ma fu il sentimentalismo il vero filone trainante del mondo pop. Erano gli anni del grande successo di Lucio Battisti che, in coppia con Mogol, scrisse momenti indimenticabili per intere generazioni, senza il benché minimo accenno a quanto stesse succedendo in quel momento. 

Lucio Battisti che, in coppia con Mogol, scrisse momenti indimenticabili per intere generazioni.

Fu con l’avvento delle prime contestazioni e la presa di coscienza della realtà dei fatti che tutto cambiò. Con l’arrivo di temi scottanti, come gli scioperi nelle fabbriche, le lotte operaie, l’aborto e l’emancipazione delle donne, molti artisti iniziarono a scrivere canzoni con argomenti che, fino a qualche anno prima, erano da considerarsi tabù. Un esempio per tutti fu la pubblicazione di Via Paolo Fabbri, 43 di Francesco Guccini che nel 1976 inserì tematiche come l’aborto (Piccola storia ignobile) o l’emarginazione sociale (Il pensionato), dando spazio anche al suo pensiero anarchico in Canzone di notte N°2. Tuttavia, ciò che fece capire che quello era un album di rottura stava nel brano La critica al cantautorato italiano dove Guccini attaccò diversi suoi colleghi, tra i quali Venditti, De Gregori e De André, colpevoli di essere dei sentimentalisti mascherati da cantautori impegnati.
Nonostante l’impegno di Guccini nell’“aprire gli occhi” agli italiani, il successo del pop sembrava non avere oppositori, anche perché il nostro movimento cantautorale non era altro che un’evoluzione di filoni nati all’estero negli anni precedenti o successivi al fulcro di tutto il discorso del Festival di Woodstock. Lo stesso cantante modenese non negò mai di essere stato influenzato da artisti del calibro di Dylan o Donovan, tanto per citarne alcuni, come De André non si scostò mai più di tanto da Brassens. 

Fu così che il genio nostrano si dimostrò nella scelta (azzardata) di dare vita a una scena anomala che tanto stava riscontrando successo in Inghilterra: il prog. Sebbene fosse un movimento nato nel Regno Unito, il progressive rock diede vita a uno scenario italico che fu secondo solo a quello di Canterbury. Contraddistinto da sonorità sperimentali, il genere prog tendeva la mano alla continua e costante ricerca della perfezione stilistica e musicale. Nella composizione dei brani si tendeva sempre di più a inserire elementi provenienti da generi musicali diversi e soprattutto appartenenti a culture lontane, spesso considerate molto più controculturali di quella europea.
Tutto questo sembrò, almeno in principio, dare meno importanza all’aspetto testuale, essenzialmente perché era prassi dei gruppi prog utilizzare un’infinità di figure retoriche e mitologiche che altro non erano che delle metafore per descrivere il complicato momento sociale che si stava vivendo in Italia. 

Un caso particolare che vorrei citare è Parsifal dei Pooh. La band, abbandonati i temi tardo adolescenziali degli anni Sessanta, decise di cimentarsi con il prog ridando vita al mito del Cavaliere del Santo Graal, capace di sacrificare la propria vita per salvare l’umanità, cosa che non stava accadendo nella realtà. Non a caso il disco diventò uno dei cento album più importanti della storia musicale italiana del Novecento.

Il genere prog tendeva la mano alla continua e costante ricerca della perfezione stilistica e musicale.

Non tutti però compresero a pieno il potenziale della progressive, principalmente per il fatto che le canzoni erano delle vere e proprie “maratone musicali” con punte di undici o dodici minuti per singolo. Le radio non potevano permettersi di trasmettere canzoni così lunghe, per cui la scena sembrò destinata a estinguersi in poco tempo.
Fu in questo preciso momento che un colpo da maestro di Franz Di Cioccio e Franco Mussida cambiò le sorti del genere. I due erano tra i fondatori del gruppo milanese Premiata Forneria Marconi e nel 1972 pubblicarono Storia di un minuto, disco destinato a diventare uno dei più importanti del panorama progressive. All’interno di quel disco la PFM ci infilò un singolo dall’alto potenziale come Impressioni di Settembre, una hit costruita apposta per soddisfare le esigenze del pubblico e delle radio. Il brano raccontava della fine dell’età adolescenziale e l’inizio dell’età adulta, un passaggio epocale per tutti e, soprattutto, una tematica molto più vicina al cuore di tutti. Tuttavia fu È Festa la canzone che meglio rappresentò l’ingegno dei due musicisti: una tarantella folk dall’anima hard-rock allegra e coinvolgente. Inutile dire che il disco riscosse un successo inimmaginabile.

Proprio Franco Mussida e Franz Di Cioccio ci servono da aggancio per la seconda parte del nostro racconto che è, come sempre, incentrato sull’evoluzione del karate-do nel constesto storico e culturale degli anni che stiamo trattando. I due, così come Enzo Jannacci, erano allievi presso il “Judo Club Jigoro Kano”, il dojo milanese dove nel 1965, appena arrivato in Italia, il Maestro Hiroshi Shirai iniziò il suo insegnamento grazie alla presentazione del Maestro Roberto Fassi. Considerato che la storia del Maestro Shirai è conosciuta e rintracciabile meglio di quanto possa esporla io, porrei l’attenzione su un aspetto più “sociale” che contribuì in parte (e lo si legge anche in molte interviste dei primi praticanti di arti marziali dell’epoca) all’affermazione del karate in Italia.
Agli inizi degli anni Settanta giunsero anche da noi le prime pellicole da Hong Kong, dove un giovanissimo e talentuosissimo Bruce Lee si cimentava in battaglie all’ultimo sangue, dimostrando determinazione e forza d’animo oltre che potenza marziale. Molti ragazzi ne furono ammaliati e si avvicinarono alla pratica proprio nel momento migliore del culto del “contro”, dove anche l’arte marziale sembrò un elemento che potesse rompere con gli schemi.

Da questo punto di vista nell’operato del Maestro Shirai ravviso un aspetto più “cantautorale” e sicuramente progressive…

Facendo un parallelismo con questo panorama musicale, ammetto molto azzardato – ma che è l’escamotage per cui, con la redazione di KarateDo Magazine, abbiamo proposto una serie di articoli a tema di interesse musicale –, è facile intuire che quello percepito dalle pellicole di Bruce Lee potrebbe essere considerato come l’aspetto “pop” del’arte marziale, dove la ricerca della superiorità fisica e della spettacolarità influenzò schiere di praticanti in erba.
Da questo punto di vista nell’operato del Maestro Shirai ravviso invece un aspetto più “cantautorale” e sicuramente progressive, grazie anche a un profondo lavoro sulla pratica, sull’abnegazione, sulla costanza e sulla spiritualità. Il karatedo insegnato dal Maestro, soprattutto all’inizio, era duro e faticoso. I praticanti erano sottoposti a lunghe ore di allenamento alla ricerca della “perfezione” e questo non fece altro che delineare uno scenario italiano di altissimo livello, in parte simile a quello giapponese, un po’ come la progressive che spinse la musica così in là da farla sembrare sorella di quella britannica.
Come Mussida e Di Cioccio furono precursori della svolta pop del complesso mondo progressive, così direi che il Maestro Shirai, introducendo questa nuova disciplina, contribuì in quegli anni all’enorme diffusione dello Shotokan in Italia. 

In conclusione, come sempre, la playlist che consiglio: 

1 – Impressioni di Settembre (PFM)

2 – Infiniti Noi (Pooh) 

3 – Canzone Di Notte N°2 (Francesco Guccini)

4 – Il Mio Canto Libero (Lucio Battisti)

5 – È Festa (PFM) 

6 – Una Strana Regina (Biglietto per L’Inferno)

7 – Adagio (Shadows) (New Trolls)

Bonus Track:
Il Karate (Enzo Jannacci)

              

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