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I kata nella Sekiguchi Ryu: struttura e funzione delle forme in una scuola classica

Foto di Antonio Caradonna

Nel Sekiguchi Ryu Battojutsu la pratica è incentrata nell’esecuzione dei kata. Diversamente dal Karate, il kata non consiste in una serie di movimenti “a solo”, ma in una serie di azioni, con o senza armi, compiute da due praticanti.

Nel Sekiguchi Ryu Battojutsu la pratica è incentrata, come per molte altre koryu (scuole classiche), nell’esecuzione dei kata, le forme preordinate.
Il termine kata, traducibile come “forma”, “modello” o “esempio” indica, nelle arti marziali giapponesi, quella serie di movimenti codificati di tecniche di combattimento che rappresentano i principi fondanti e le opportunità d’esecuzione ottimali (spazio, tempo e velocità) secondo un determinato stile o scuola.
In questo articolo tratterò l’argomento kata basandomi sia sulle generali informazioni storiche, antropologiche e oplologiche, sia sulle nozioni attinte direttamente dal mio maestro di Sekiguchi Ryu Battojutsu, Toshiyasu Yamada, in veste non solo di caposcuola, ma anche di studioso e ricercatore nel campo delle koryu.

“Stilizzato”, “sintetico” e “riassuntivo” sono tre attributi che è bene tener presente, soprattutto quando si tratta di kata delle koryu.

Diversamente da come è concepito nel Karate, il kata in una koryu non consiste in una serie di movimenti “a solo”, ma è generalmente strutturato in una serie di azioni, con o senza armi, compiute da due praticanti aventi ruoli ben distinti. Questa differenza è dovuta ovviamente al variare dei contesti storici, antropologici e geografici che hanno originato dei percorsi di sviluppo distinti.
Tuttavia, anche nelle koryu esistono dei kata eseguiti individualmente, come nel battojutsu (iaijutsu) ad esempio, sebbene sia altamente probabile che fossero stati inizialmente codificati anch’essi per l’esecuzione in coppia. Almeno questo è il dato che emerge confrontando i riferimenti storici della linea Tokushima della Sekiguchi Ryu con le tecniche di quella tramandata da Yamada Shike, la Higo, dove esecuzione a solo e in coppia dello stesso kata possono anche coesistere.

“Come nasce un kata?” è una delle prime domande che posi al mio maestro durante una conversazione di alcuni anni fa. La risposta fu chiara, logica e lineare: un guerriero aveva sperimentato in una situazione di combattimento reale – più o meno casualmente – l’efficacia di un modo di portare le tecniche o di muoversi secondo una determinata strategia e tattica, e intendeva standardizzarlo in un protocollo d’informazioni affinché diventasse innanzitutto un’abilità “allenabile” e poi “trasmissibile”.
Da questa semplice risposta si evincono i tratti peculiari dei kata, almeno per quanto concerne le koryu. Il kata è una conoscenza stabilita tramite metodo induttivo. Non è frutto di una teoria ordita a priori e da testare sul campo di battaglia, ma ha già rivelato la sua validità, motivo per cui la formalizzazione stilizzata di tecniche e movimenti avviene a posteriori.
A testimonianza di ciò basti considerare – pur con l’eccezione di alcuni stili sviluppatisi in epoche precedenti – che la stragrande maggioranza delle koryu di bujutsu è stata codificata a partire dal XVII Secolo, ovvero dopo il periodo più intenso di conflitti dell’epoca Sengoku, quando una copiosa esperienza sul campo si era accumulata nella memoria fisica degli uomini d’arme.

Le vicende del fondatore della Sekiguchi Ryu ne sono una lampante esempio. Sekiguchi Yarokuemon Ujimune (in seguito, Sekiguchi Jushin) sviluppò un suo sistema di combattimento corpo a corpo che inizialmente di formale aveva ben poco:

Ci sono molte storie che descrivono le abilità di Ujimune come artista marziale; alcune narrano di come sfidanti provenienti da altri domini volessero misurarsi con lui. Ujimune uscì vittorioso da questi confronti e molti degli avversari sconfitti divennero suoi allievi. Cosa egli insegnasse ai suoi studenti prima di rilasciare un inka (certificazione) dipendeva dal livello di esperienza che essi possedevano negli stili che avevano precedentemente praticato e, in certi casi, l’istruzione consisteva in non molto di più che un consiglio su come mantenere un corretto atteggiamento corporeo. Per questa ragione, anche se molti allievi studiarono Sekiguchi Ryu con Ujimune, le tecniche apprese potevano variare notevolmente da persona a persona. Ujimune aveva un’ottima sensibilità per le arti marziali, ma sembra che non fosse altrettanto capace di tradurre in parole l’essenza delle sue tecniche, perciò preferiva insegnare semplicemente dimostrando, per poi lasciare che i suoi allievi sperimentassero autonomamente le nozioni apprese. (Maurizio Colonna, 2020)

Furono gli eredi di Ujimune, in seguito, a sistematizzare il sapere da lui trasmesso e qualcosa di simile avvenne verosimilmente anche presso le altre koryu.
La sistematizzazione della conoscenza, allo scopo di creare uno standard di stile trasmissibile, condusse alla formalizzazione in un modello stilizzato, sintetico e riassuntivo.
“Stilizzato”, “sintetico” e “riassuntivo” sono tre attributi che è bene tener presente, soprattutto quando si tratta di kata delle koryu. Nella Sekiguchi Ryu, ad esempio, numerosi kata “nascondono” ulteriori dettagli e tecniche che emergono in fase di studio applicativo (bunkai). La forma è una codifica, spesso volutamente ermetica ed “esoterica”, al fine di celare agli esterni alla scuola i contenuti e i principi strategici più importanti dello stile.

Accade talvolta di percepire nei principianti una sorta di perplessità nei primi approcci ai kata o, quanto meno, dei momenti di “attrito” tra intenderne la reale funzione e vedere soddisfatte le proprie – decisamente arbitrarie e frettolose – aspettative.
Va fatta dunque un po’ di chiarezza, evidenziando quale sarebbe il modo più appropriato di approcciarsi alle forme preordinate: il kata è un paradigma, non un dogma. “Paradigma” inteso nella sua accezione originaria, ovvero modello, esempio per l’appunto, concettualmente antipode di un approccio dogmatico, rigido e assiomatico.
L’esercizio formale codificato è perciò un modello d’indirizzo per la pratica, atto a sviluppare delle abilità in coloro che lo eseguono. Abilità applicabili in un ampio ventaglio di situazioni variabili, trascendendo così lo scenario che il kata riproduceva originariamente, ma non prima di aver padroneggiato il modello didattico di base.

Il kata è un paradigma, non un dogma.

Il kata va eseguito in una data maniera perché è il solo modo per conseguire specifiche abilità e non perché “si è sempre fatto così” o perché “quel modo” costituisca l’unica opzione possibile per agire o reagire in un dato scenario.
Siamo nel campo della cinestetica, di come ci si percepisce nell’azione. In altre parole, tramite la pratica del kata si condiziona il proprio sistema mente-corpo al fine di sviluppare ed essere consapevoli degli automatismi, delle funzionalità, dei tempi, dei ritmi secondo il modello cinetico codificato in quel dato stile, desunto empiricamente da uno scenario reale. Uno scenario che per sua natura è parziale, incompleto, imperfetto. Non sarebbe umanamente possibile, infatti, coprire e codificare quantitativamente e qualitativamente tutte le infinite variabili.
Eseguire un kata è sempre un’azione “sperimentale” benché preordinata e strutturata. Ogni ripetizione non potrà mai essere esattamente uguale alle precedenti o a quelle successive e, in questa unicità del momento, il praticante può cogliere aspetti sempre nuovi del suo modo di eseguire, fino ad affinare con la ripetizione le abilità acquisite, in un processo di perfezionamento che di fatto non ha mai termine.

Avvicinarsi in modo adeguato ai kata evita il trauma delle incorrette aspettative nei confronti di essi.
Molti si aspettano un “cosa” fare e un “perché” fare qualcosa, quando invece il kata vuole semplicemente addestrare il praticante al “come” farla. Ovvero, la forma non insegna solo il corretto gesto tecnico-tattico, ma anche l’appropriato atteggiamento nell’eseguirlo. Questo giusto atteggiamento evita inoltre di essere dei semplici performers che eseguono mestamente delle liturgie, anziché esercitarsi efficacemente e autenticamente nelle arti marziali.
Non si confonda mai la “forma” con il “formalismo”.

 

BIBLIOGRAFIA

M. Colonna (2020), Arti Samurai: Armi e scienza militare della Sekiguchi Ryu, Pubblicazione indipendente. Disponibile su Amazon.
M. Colonna (2022), Arti Samurai:Tecniche con armi della Sekiguchi Ryu, Vol. 2, Pubblicazione indipendente. Disponibile su Amazon.
Draeger, David E. (1981), Comprehensive Asian Fighting Arts, Kodansha International, ISBN 978-0-87011-436-6.
Ratti, Oscar (1999) [e] Adele Westbrook, Secrets of the Samurai: The Martial  Arts of Feudal Japan, Castle Books, ISBN 0-7858-1073-0.

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