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Karate e Sekiguchi Ryu Battojutsu: analogie e tratti comuni secondo alcuni praticanti

Karate e Sekiguchi Ryu Battojutsu: analogie e tratti comuni secondo alcuni praticanti

Il battojutsu della SekiguchiRyu, lo stile di scherma tradizionale giapponese specializzato nell’estrazione rapida della spada annovera un significativo numero di praticanti dediti anche al Karate.

Il battojutsu della Sekiguchi Ryu, lo stile di scherma tradizionale giapponese specializzato nell’estrazione rapida della spada che insegno e coordino a livello europeo, annovera un significativo numero di praticanti dediti anche al Karate. Da poco prima della metà del decennio scorso, infatti, questo antico metodo di combattimento con la katana ha attratto in maniera speciale diversi karateka italiani.
In questo articolo riporterò commenti, pensieri e riflessioni di alcuni di essi. In particolare andremo a delineare, partendo dall’esperienza personale del singolo, se e quali punti di contatto vi sono tra Sekiguchi Ryu Battojutsu e Karate.
Previa una breve introduzione personale ho posto ai praticanti due domande specifiche:

  • Quali punti di contatto ritieni possano avere il Karate e la spada tradizionale giapponese in termini di principi teorici, pratici ed etici?
  • Hai rinvenuto una contiguità tra la tua pratica del Karate e quella del Sekiguchi Ryu Battojutsu?

Iniziamo da Pietro Fanelli, allievo dei miei corsi a Bari dal 2015 e detentore della licenza Menkyo Shoden di Sekiguchi Ryu Battojutsu.
Pietro ha praticato Karate Goju Ryu (2° Dan) e Kobudo di Okinawa (1° Dan) dal 2000 al 2014. Si è avvicinato al Karate perché voleva intraprendere un percorso diverso dal “fare a mazzate”, cito testualmente.
In risposta alle due domande di cui sopra, Pietro afferma: «Dal punto di vista pratico, naturalmente parlo per lo stile Goju, la maggior parte delle tecniche di parata e di proiezione non sono altro che tecniche di spada eseguite senz’arma; per quanto riguarda etica e teoria è innegabile che la filosofia dei samurai ha influenzato tutto l’universo delle arti marziali moderne.
Il più bel risultato che sento di aver raggiunto praticando Sekiguchi Ryu Battojutsu è l’aver interiorizzato il concetto di “no mente”».

La prossima praticante intervistata è Alessandra Capraro del dojo Shin Ki Tai Parma diretto dal maestro Luca Mossini.
Alessandra pratica Karate Shotokan da circa 22 anni (3° Dan) e Battojutsu da cinque tramite seminari formativi ricorrenti e incontri settimanali del gruppo di pratica di Parma.
Alla domanda su come si sia avvicinata alla disciplina del Karate, Alessandra mi risponde così: «Frequentavo una piccola palestra dove facevo ginnastica a corpo libero. Un giorno ho visto per caso una lezione di karate. Avevo 14 anni e allora non sapevo nemmeno di quale disciplina si trattasse. Mi incuriosì e chiesi informazioni al gestore della palestra, che il giorno dopo mi disse di andare a provare una lezione. Non ho più smesso».
In merito ai punti di contatto che ritiene ci possano essere tra Karate e spada tradizionale giapponese, Alessandra espone una serie di considerazioni interessanti: «I punti di contatto sono molti. Personalmente, apprezzo in modo particolare la maniera in cui lo studio della strategia nel gekiken (combattimento libero di scherma tradizionale giapponese parallelo allo studio del Battojutsu nella nostra organizzazione, NdA) può aiutare nel comprendere meglio le dinamiche del kumite. Lo studio della distanza e dei cambi di direzione, quando si combatte con la spada ha un senso ancora più profondo rispetto al combattimento a mani nude e per questo le due cose si “aiutano” a vicenda. In termini teorici ed etici, inoltre, le due discipline condividono certamente una serie di principi che hanno radici nella cultura tradizionale giapponese, dallo studio minuzioso dei dettagli, alla ricerca continua della tecnica efficace. Per quanto riguarda la contiguità tra la pratica del Karate e quella del Sekiguchi Ryu Battojutsu, l’approccio allo studio delle due discipline per me è fondamentalmente lo stesso».

Il praticante successivo è Danilo Spagnolo, anche lui Menkyo Shoden di Sekiguchi Ryu che insegna nella zona di Brindisi, nonché maestro di Karate Shotokan (4° Dan) e Jujutsu (2° Dan).
Egli porta una serie di considerazioni densa di particolari e spunti di riflessione su come un praticante di Karate sia arrivato al Sekiguchi Ryu Battojutsu: «Ho iniziato con il Karate sin da piccolo, all’età di dieci anni, assieme ai miei due fratelli. Abbiamo portato avanti questo percorso per tanti anni come allievi/atleti, partecipando a innumerevoli competizioni regionali, nazionali e internazionali. Dopo il conseguimento del 2° Dan ho intrapreso il percorso come allenatore e, successivamente, come istruttore e maestro.
Spesso, come accade, sorgono delle domande su quanto sino a quel momento praticato e quindi, spinto da una profonda necessità di confronto e approfondimento, ho iniziato il Jujutsu come perfezionamento personale. Mi si è aperto un mondo. Ho avuto tante risposte su ciò che dovevo modificare nella pratica.

Questo è lo scopo della pratica: essere oggi migliori di ieri.

Il Jujutsu è l’arte del combattimento a mani nude dei samurai e questa considerazione mi ha spinto ad avvicinarmi sempre più alla sorgente.
Ho avuto la fortuna di incontrare il M° Maurizio Colonna. Non avrei potuto trovare insegnante migliore. Il suo modo di raccontare, di esporre e insegnare non è da tutti. Il Battojutsu della Sekiguchi Ryu è stata la “prova del nove” di tanti anni di pratica.
Ogni volta che inserisco la katana nell’obi le domande che girano nella testa sono sempre le stesse: sono stato abbastanza veloce e preciso? C’era zanshin?
La ripetizione continua e consapevole dei gesti tecnici, l’auto-analisi di avere coscienza di ogni parte del tuo corpo durante l’esecuzione, fanno sì che l’allenamento porti a una condizione migliore della settimana prima. Questo è lo scopo della pratica: essere oggi migliori di ieri. Ora mi sento completo e appagato, ma sicuramente non arrivato.
L’aver praticato prima Karate e Jujutsu mi ha, senza ombra di dubbio, agevolato nella pratica e nell’insegnamento del Sekiguchi Ryu Battojutsu».

L’ultima testimonianza è di Gennaro Mandriota, maestro di Karate Shotokan (6° Dan) a Monopoli (BA) dove insegna anche Sekiguchi Ryu Battojutsu, in quanto detentore della licenza Menkyo Shoden:
«Io ho iniziato a praticare Karate nel 1976 grazie all’invito di un mio cugino che lo stava praticando. Incuriosito mi sono avvicinato all’allenamento e da allora il Karate non l’ho più lasciato.
Per quanto riguarda il Sekiguchi Ryu Battojutsu ne ho scoperto l’esistenza per caso. Un mio collega maestro (Danilo Spagnolo) mi invitò a un seminario di spada con il M° Maurizio Colonna, che all’epoca non conoscevo. Al suo seminario mi colpirono la sua cultura storica e l’amore per la disciplina oggetto del seminario, che trasparivano dalle sue spiegazioni precise e puntuali, il suo entusiasmo e la disponibilità nel trasmettere le tecniche di spada.
I punti di contatto che ritengo possano esser comuni nel Karate e nel Battojutsu sono:

  • la respirazione, fondamentale quando si esegue un kata di Karate così come lo è quando se ne esegue uno di Sekiguchi Ryu Battojutsu;
  • la contrazione e la decontrazione muscolare nell’esecuzione del movimento;
  • la concentrazione, importantissima per mantenere l’attenzione su quello che si sta eseguendo; nel kata di Karate s’immagina la difesa contro più avversari a mani nude e lo si fa facendo il bunkai (applicazione), cosi come nei kata di Battojutsu lo si fa brandendo la katana.

Da quando pratico Battojutsu ho riscoperto i kata.
Io sono un tecnico prevalentemente di kumite e praticando i kata di battojutsu ho migliorato i kata anche di Karate, perfezionando la respirazione e la concentrazione, elementi importanti per chi esegue le forme.
Uno dei principi del karate del maestro Funakoshi recita ”hito no te ashi wo ken to omoe”, ovvero “mani e piedi come spade”. Io con il Battojutsu ho messo la spada nelle mie mani e la cosa come karateka mi piace».

Io con il Battojutsu ho messo la spada nelle mie mani e la cosa come karateka mi piace.

In conclusione, quello che indubbiamente emerge, semmai ci fosse stata necessità di una conferma, è la presenza di un ideale “filo rosso” che unisce il Bujutsu classico con il Budō moderno. Vi è una condivisione di principi meccanici, stategici e filosofici che, pur manifestandosi in espressioni di movimento difformi figlie dei cambiamenti storici e antropologici, testimonia il persistere dei fondamenti della cultura guerriera nipponica. Questo vale in generale per diverse discipline del Budō moderno e, nel caso particolare che stiamo esaminando, per il Karate.
Per questo motivo, alcuni suoi praticanti a un certo punto, mossi da uno spirito di ricerca, si approcciano allo studio della spada tradizionale giapponese, nel nostro caso del Battojtsu della Sekiguchi Ryu.

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