Il mio video di saluto ai partecipanti al Corso per Aspiranti Maestri FIKTA ha sollevato qualche perplessità… Ne approfitto per chiarire meglio il mio pensiero sull’argomento.
Il mio video di saluto ai partecipanti al Corso per Aspiranti Maestri FIKTA ha sollevato qualche perplessità, soprattutto quando ho accennato alla filosofia e alla cultura. Ne approfitto per chiarire meglio il mio pensiero sull’argomento.
“Vale più una goccia di pratica di un oceano di teoria” era scritto nel dojo del maestro Baleotti.
In varie occasioni ho provato a chiedere a diversi maestri, miei colleghi, cosa risponderebbero alla domanda: che differenza c’è tra il karate tradizionale e il karate sportivo?
La maggior parte di loro mi ha risposto:
- L’efficacia delle tecniche.
- La filosofia e la cultura che ci sono dietro.
In questo modo non è ben chiara la differenza, perché la maggiore efficacia è da dimostrare e la filosofia e la cultura riguardano tutte le attività, sportive e non. Di conseguenza, già molti dicono che il karate è uno solo e che non c’è nessuna differenza.
A mio parere è più facile capire se si chiariscono bene l’obiettivo (karate globale) e il metodo della pratica (zanshin).
È stato scritto che l’essenza del karate è “sotto” i waza, che la tecnica è un mezzo.
La filosofia, la cultura e la spiritualità ne sono la conseguenza e non la premessa.
Uno degli aspetti che mi ha sempre affascinato del karate tradizionale è che ha un linguaggio universale che prescinde dalla speculazione intellettuale e che, pertanto, ognuno ottiene quello che merita.
Cultura, educazione, filosofia, spiritualità ecc. non sono il frutto di speculazioni mentali, ma della pratica.
“Vale più una goccia di pratica di un oceano di teoria” era scritto nel dojo del maestro Baleotti.
Occorre prima praticare in modo corretto per avere eventualmente delle risposte culturali e filosofiche.
Per esempio: i concetti di “qui e ora” e “conosci te stesso” sono diventati di uso comune, ma raramente fanno parte dell’individuo che ne illustra i contenuti.
Mentre è più probabile che, in questo momento di pandemia, qualcuno subisca uno choc tale da essere, per così dire, “illuminato” e diventare quello che dice, al di là delle parole.
Ciò non significa prendere le distanze dalla filosofia, dalla religione e dalla cultura, ma che occorre prima praticare in modo corretto per avere, eventualmente, delle risposte culturali e filosofiche.