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Francesca Re

Francesca Re

“Il kata l’ho sempre amato, lo studio dei movimenti, la potenza, la concentrazione, la cura di ogni dettaglio e tutte le sue sfaccettature sono pura poesia”.

NOME
Francesca Re
LUOGO DI NASCITA
Pietrasanta
DATA DI NASCITA
23 marzo 1989
SPECIALITÀ
Kata
CLUB DOJO
Zoshikan Montecatini

MEDAGLIERE

2009
– Camp. It.: 1° kumite ind. Jun.
– Tr. delle regioni: 3° kumite ind. ju / 4° kumite squ.

2010
– Camp. It.: 4° kata ind. ju / 3° kumite ind. ju
– Tr. delle regioni: 2° kumite ind. ju. / 2° kata ind. ju.

2011
– Camp. It.: 1° kata ind. se. / 1° kumite ind.

2012
– Camp. It.: 1° kata ind. se. / 2° Fukugo / 1° kumite ind. se. / 1° kumite sq.
– ESKA (Serbia): 3° kata sq. / 5° kata ind.

2013
– ESKA (Portogallo): 1° kata sq.
– Camp. It.: 1° kata ind. se. / 2° kata sq. / 3° kumite ind. se.
– Coppa Shotokan: 4° kata ind.

2014
– Camp. It.: 3° kata ind. se. / 3° kata sq.
– Coppa Shotokan: 1° kumite sq.

2015
– WSKA (Polonia): 3° kata sq.
– Camp. It.: 3° kata ind. / 2° fukugo

2016
– ESKA (Grecia): 3° kata sq.
– Camp. It.: 4° kata ind.
– Heart Cup: 2° kumite ind.

2017
– WSKA (Italia): 1° kata sq./ 5° kata ind.
– Camp. It.: 2° kata ind. / 2° fukugo / 3° kumite ind.
– Coppa Shotokan: 2° kumite sq. / 4° kata ind.

2018
– Heart Cup: 1° kata sq.
– Camp. It.: 2°kata ind. / 2° kumite sq.
– ESKA (Serbia): 2° kata sq.
– Coppa Shotokan: 1° kata Coppa shotokan / 1° kumite sq.

2019
– Camp. It.: 1° fukugo / 1° kumite a sq. / 4° kata ind.

 


Come hai iniziato a praticare karate?
Premetto che ho amato lo sport fin dai miei primi passi o, per meglio, dire fin dalle prime capriole, ero cicciottella e adoravo rotolare. A nove anni smisi di praticare ginnastica artistica quando un amico mi disse che avrebbe cominciato un corso di karate e mi chiese di andare con lui. Da quel giorno non ho mai smesso di indossare il karategi. 

È bellissimo come quest’arte riesca a unire le persone in modo così profondo e unico, persone di ogni classe sociale, ideologia ed età.— Francesca Re

Chi è il tuo maestro attuale e quali sono stati i tuoi maestri in passato?
Ci sono state tre figure importanti che mi hanno portato ad amare il karate e ognuna di esse, a suo modo, mi ha trasmesso qualcosa di diverso e per questo posso solo dire grazie.
Il mio primo maestro è stato Leonello Biagi, lui mi ha cresciuta come una figlia  e, credetemi, ci è voluta tutta la sua pazienza e quiete per tenermi a bada. A lui devo molto, perché mi ha insegnato le basi del karate ed è stata una figura fondamentale della mia vita.
Insieme a lui, ad allenare il settore giovanile, c’era anche il maestro Mirko Saffiotti, che seppur giovanissimo era già un atleta di tutto rispetto e un ottimo insegnate. Lui mi ha tramesso la forza, l’agonismo e la voglia di superare tutti i miei limiti, ma soprattutto di non arrendermi mai.
Poi, il maestro Biagi che purtroppo e troppo presto morì. Fu veramente un duro colpo per me che superai con non molta facilità.
Per fortuna dopo fui accolta nello Zoshikan dal maestro Mauro Gori, grazie al quale ho scoperto l’amore per il kumite, un mondo per me del tutto nuovo, ma che ha completato il mio karate e mi ha fatto ritrovare quegli stimoli necessari per continuare la mia carriera agonistica.
Devo anche ringraziare i maestri Sandro Ferrari, Francesco Betti e Carlo Betti, maestri di cuore e di grandi principi, anche a loro va il mio massimo rispetto, perché mi hanno trasmesso molto e continuano a farlo.

C’è un motivo per cui hai scelto il Karate Tradizionale?
Per l’età che avevo devo dire che la scelta è stata casuale, ma sono molto grata a questa casualità, non credo che altrove avrei avuto la possibilità di studiare così bene i movimenti del corpo. Non avrei mai capito l’essenza del vero karate, dove non vedo uno sport, ma un percorso di vita, uno studio interno profondo e continuo che ti porta ad ascoltare tutte le parti del tuo corpo. 

Quando sei diventata un’agonista?
Nella vita, come nel karate, mi è sempre piaciuto mettermi in gioco, quindi, sono diventata agonista fin da subito.
Ricordo ancora la mia prima gara… dovevo fare heian nidan, lo feci tutto al massimo delle mie forze. Alla fine dell’esecuzione vidi uno sguardo un po’ stranito degli arbitri, ma comunque mi dettero un bellissimo punteggio da primo posto, se non fosse che, calcolato il punteggio, vidi sventolare quelle temute bandierine rosse e con il fischio degli arbitri si infranse così il sogno di una bambina di vincere quella gara! La penalità mi costò la squalifica in quanto avevo eseguito l’intero kata… ura!! Non vi sto’ a raccontare quante lacrime versai dopo…

Dove, come e quanto ti alleni?
Mi alleno quattro giorni a settimana e, quando riesco, unisco al karate anche una preparazione fisica, grazie anche al mio ragazzo Filippo della Latta (pure lui karateka e preparatore fisico) che mi segue a livello atletico e con il quale mi alleno ogni volta che entrambi possiamo. È grazie a lui che riesco a resistere ai duri allenamenti del maestro Pasquale Acri. Se si fa parte della squadra nazionale secondo me si deve portare molto rispetto, sia per il maestro che ci segue (visto che ha pochissimo tempo per allenarci ogni volta che ci riuniamo dobbiamo dare il massimo e anche di più), sia soprattutto per il “posto” che occupiamo, perché i posti sono pochi e non sarebbe giusto per chi non può esserci.

Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
Il rapporto con i miei compagni di squadra è di un’unione meravigliosa, siamo legati fuori e dentro il nostro dojo, un gruppo di persone grandi e piccole unito dalla sola, grande, passione del karate. È bellissimo come quest’arte riesca a unire le persone in modo così profondo e unico, persone di ogni classe sociale, ideologia ed età. Cose che non importano, perché impari a volerti bene a prescindere da tutto; ognuno di noi, durante l’allenamento, che sia agonista o meno, stimola l’altro a fare sempre meglio e questo è fantastico!.
Per quanto riguarda i compagni della Nazionale, con loro ho condiviso le fatiche più dure, le amarezze più grandi, ma anche le vittorie più belle. Grazie a tutto questo siamo un gruppo molto unito, ci sentiamo giornalmente e quando possiamo scappiamo ognuno dalle proprie vite per vederci e passare del tempo insieme. Grazie al Karate siamo diventati amici oltre che compagni e, grazie a quello che ci ha trasmesso quest’arte marziale, credo che non ci sia amicizia più grande e più sincera, anche se ci dividono molti chilometri non ci lasciamo abbattere, ma continuiamo a tenere viva questa unione.

Il ricordo più bello è stato l’Europeo in Portogallo, quando abbiamo vinto per la prima volta l’oro a squadre con Patrizia e Annalisa.— Francesca Re

Il tempo che dedichi agli allenamenti incide sui tuoi rapporti, nella vita privata?
Devo dire che incide molto, perché è molto difficile riuscire a far coincidere lavoro e karate, i pochi week end liberi sono per i raduni e le gare. Fortunatamente il mio ragazzo condivide con me questa passione e più di me ama lo sport, quindi, mi stimola o mi istiga (dipende dai punti vista) ad allenarmi e a muovermi. Perciò che dire, il karate mi toglie molto, ma quello che mi lascia è molto di più, quindi, merita tutti gli sforzi. 

Lo scoglio personale su cui hai dovuto, o devi ancora, “lavorare” maggiormente?
La tensione muscolare… mi devo rilassare un po’!

Secondo te, qual è la tua caratteristica come atleta?
Questa domanda andrebbe fatta a chi mi guarda per capire cosa trasmetto.

In quale delle due specialità, kata e kumite, ti senti più preparata?
Sinceramente non mi sento preparata in nulla, perché sento che ho ancora molto da imparare da entrambe le discipline.
Il kata l’ho sempre amato. Da una parte lo studio dei movimenti, la potenza, la forza che puoi raggiungere, la concentrazione, la cura di ogni dettaglio e tutte le sue sfaccettature sono pura poesia per me. Dall’altra parte però (facendo anche parte della Nazionale) in gara non puoi sbagliare un passo, non una mossa falsa, perché hai una sola possibilità per mostrare chi sei e cosa sai fare… e questo per me è devastante a livello mentale!
Il kumite invece è pura inventiva per me, una gara dove non ho tensioni, la velocità e la maestria la fanno da padroni. Mi diverte molto è una sfida con me stessa.

L’avversario più temibile per te?
L’avversario più grande sono io…

Che cosa pensi ti abbia insegnato il karate?
Il karate come prima cosa mi ha insegnato il rispetto per me e per gli altri, mi ha insegnato il sacrificio, mi ha insegnato a perdere e a rialzarmi, ma soprattutto a continuare senza mai arrendermi e senza perdere la fiducia in me stessa.

Il momento più appagante e quello più spiacevole della tua carriera?
Il ricordo più bello è stato l’Europeo in Portogallo, quando abbiamo vinto per la prima volta l’oro a squadre con Patrizia e Annalisa. Mi ricordo ancora quando, il giorno prima della gara, guardammo quel podio ed io dissi che volevo salire su quel primo gradino e che l’indomani non ci sarebbero state scuse: noi avremmo vinto!… E cosi fu. Siamo veramente salite su quel primo gradino con un bellissimo Sochin. Come dimenticare poi che avevo anche scommesso un bel tuffo nella piscina all’aperto dell’hotel: a novembre non te lo vuoi fare un tuffetto a meno due gradi per festeggiare?!
L’episodio più spiacevole, invece, è stato quando ho avuto un grave infortunio e per un po’ ho dovuto “appendere la cintura”, c’è stato un momento in cui ho creduto che non avrei più rimesso il karategi, ma la mia vita così era vuota, senza di esso non mi sentivo più me stessa. 

Hai un aneddoto, un episodio del tuo percorso agonistico, che ti piacerebbe condividere?
Premesso che a me la “sfiga” e la tensione giocano sempre brutti scherzi (Rocchetti Francesco può testimoniare), racconto questo aneddoto sul mio primo campionato Europeo a Belgrado nel novembre 2012.
Dopo giorni di allenamento intenso in vista della gara, i miei karategi da allenamento avevano esalato “l’ultimo respiro”. Decido quindi di fare l’ultimo allenamento con il karategi da gara.
Partiamo quindi dal nostro hotel, che distava pochi metri dal palazzetto, già vestiti per risparmiare tempo. Finito l’allenamento, non avendo portato con me la giacca, decido di tornare velocemente in hotel per cercare di prendere meno freddo possibile. Nella mia “folle” corsa nella neve fresca, con il mio bellissimo karategi pulito, riesco a trovare l’unico buco nel percorso (completamente coperto dalla neve: impossibile vederlo) nel quale infilo tutta una gamba… il risultato? Un’intera gamba verde e marrone, un misto fra fango neve ed erba.
La mia disperazione fu immensa, ma anche di più quando dovetti dirlo al maestro Acri!

Dopo giorni di allenamento intenso in vista della gara, i miei karategi da allenamento avevano esalato “l’ultimo respiro”…— Francesca Re

Utilizzi il web per informarti sul karate?
Si mi piace vedere ogni sorta di video, dal kata al kumite.

Ti piacerebbe essere un’atleta professionista?
Sì, mi sarebbe piaciuto se ne avessi avuta la possibilità. Chi non vorrebbe trasformare la propria passione in lavoro?

Cosa pensi del karate alle Olimpiadi?
Mi dispiace di non avere avuto la possibilità di provare.

Cosa vedi o come immagini per il tuo futuro?
Del mio futuro so poco, ma una cosa la so: non toglierò mai il karategi!

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