728 x 90

Intervista all’allenatore Fikta della Nazionale Kata, M° Pasquale Acri

Intervista all’allenatore Fikta della Nazionale Kata, M° Pasquale Acri
Foto di Daniele Fregonese

“Il karate viene trasmesso come tradizione attraverso il kata.”

In occasione dello stage FIKTA e ISI Ente morale, iniziato il 27 agosto 2018 a Igea Marina, KarateDo Magazine ha incontrato il coach della Nazionale FIKTA per il settore Kata e gli ha rivolto alcune domande sul suo lavoro con la squadra. 

Maestro Acri da quanto tempo è allenatore della Nazionale?
Io onestamente ho perso il conto degli anni, questo vuol dire che sono troppi! Come dice il M° Fugazza, cominciano a essere troppi, credo siano una decina. 

Attraverso la ripetizione si perfeziona la tecnica e anche dal punto di vista fisico dovrebbero aumentare la forza e la rapidità.— M° Pasquale Acri

Quanti sono quest’anno gli atleti della nazionale kata? Dove e quanto spesso si allenano?
Il gruppo con cui sto lavorando adesso, in programmazione del Campionato europeo [ESKA 23-25 novembre in Serbia N.d.R.], è di circa otto seniores, sei juniores e cinque o sei fra cadetti e speranze, quindi, una ventina di atleti. Facciamo circa 7/8 raduni all’anno, di cui uno di due giorni a Bellaria, mentre gli altri sono di una giornata intera. La maggior parte dei raduni è tenuta a Milano presso la palestra Shotokan Yudanshakai A.S.D del M° Carlo Fugazza.

Che metodologia utilizza per l’insegnamento del kata, come sono strutturati gli allenamenti?
Uso esattamente la metodologia che è stata usata con me: sistemare principalmente la tecnica, attraverso il kihon, una volta fatto questo lavoro di sistemazione della tecnica e del suo raffinamento, la si trasporta all’interno del kata. La fase successiva è quella dello studio del kata, una volta che la tecnica è più sicura e strutturata si lavora sul kata che serve per la competizione. A quel punto, oltre alla tecnica, s’inseriscono anche quelli che sono gli altri elementi: il ritmo del kata o, per esempio per la squadra, il sincronismo, però la cosa fondamentale è la tecnica, la qualità della tecnica. Attraverso la ripetizione si perfeziona la tecnica e anche dal punto di vista fisico dovrebbe aumentare la forza e la rapidità.
Quando poi arriva il giorno della gara, è stata creata una routine di allenamento per cui gli atleti sanno già quali sono il sistema di riscaldamento e i tempi.

Durante questi raduni, lei è coadiuvato anche da un team? (Assistente coach, preparatore atletico…).
La scelta federale è quella di avere un allenatore della squadra nazionale che si occupi dell’allenamento e non abbiamo un preparatore atletico. Abbiamo inserito questa parte, nei primi anni della mia gestione assieme al M° Ofelio Michielan, della quale si occupava Valter Durigon. L’avevo chiesto al M° Ofelio, ma non tanto per la preparazione atletica, quanto per dare agli atleti alcuni elementi di riferimento affinché potessero lavorare a casa loro. Perciò, io la ritengo una parte importante, ma va da sé che con sette raduni all’anno non posso occuparmi di questa cosa durante gli incontri, il mio lavoro è di lavorare sulla tecnica e sul sincronismo delle squadre. Molti degli atleti già fanno preparazione nelle proprie palestre con i loro maestri e, rispetto alla mia generazione, è già un cambiamento.

Come riesce a motivare e a stimolare gli atleti, come li tiene coinvolti? Che rapporto ha con i ragazzi?
La motivazione nasce da sola in loro, perché nel momento in cui arrivano qua, se ci arrivano, è perché lo hanno voluto fortemente e, quindi, sono già motivati, chi non ha questa motivazione non ci arriva. Poi, ci sono lo stimolo di poter fare una gara internazionale e di poter lavorare con la squadra nazionale e, se non hanno questo, vanno via da soli, non hanno risultati né dal punto di vista della competizione né della resa durante gli allenamenti (cosa che interessa a me). Questo è il loro coinvolgimento. Il rapporto che ho con i ragazzi? C’è il maestro e ci sono gli allievi, però è importante che ci sia il massimo rispetto, essere maestri non significa non rispettare i ragazzi, ma, proprio perché sono allievi, hanno diritto al massimo rispetto così come io lo pretendo da loro.

Da quando lei era un agonista a oggi è cambiato qualcosa nel metodo di preparazione degli atleti?
Sicuramente qualcosa è cambiato ed è la parte della preparazione atletica che, appunto, secondo me è molto importante che sia introdotta, infatti, come dicevo prima la maggior parte dei ragazzi già la fa. Invece, nel sistema di allenamento tecnico io non ho cambiato alcunché: come ho imparato e ho visto quella scuola e i suoi risultati, così ho cercato di trasporla, naturalmente, con la mia personalità.

La motivazione nasce da sola in loro, perché nel momento in cui arrivano qua, se ci arrivano, è perché lo hanno voluto fortemente.— M° Pasquale Acri

In base a cosa sceglie un atleta per il kata, secondo lei che doti deve avere? Esiste un talento innato sul quale “lavorare” o con lo studio e la pratica si possono raggiungere gli stessi risultati?
La domanda è chiarissima, questa è una cosa molto importante. Il talento è rilevante, ma non è tutto. Ormai ci sono diversi studi, anche in altri ambiti sportivi, che hanno chiarito che il talento è importante, ma è una percentuale, se al talento non si aggiungono una forte motivazione, una forte passione e un forte lavoro sulla tecnica, non si arriva da nessuna parte. Ci sono dei ragazzi che anche con poco talento sono riusciti a raggiungere grandi risultati compensando l’altra parte con tanta passione e con tanto lavoro tecnico, quindi sono questi elementi che devono andare insieme: la passione, la tecnica, il lavoro/dedizione, la resistenza, la resilienza, come la chiamano, e poi sicuramente anche il talento. Soprattutto per il kata c’è un talento particolarmente fisico, cioè ci sono alcune caratteristiche corporee che possono, come dire, far pensare che l’atleta abbia le doti fisiche necessarie, tipo la mobilità articolare e la capacità di contrazione e decontrazione muscolare.

Essendo il nostro un Magazine online, leggiamo anche i commenti lasciati sui nostri profili social (Facebook e Instagram) e, pur non tenendoli in considerazione nella maggior parte dei casi, prendiamo spunto da alcuni di questi per chiederle quanto influisce il ritorno all’embusen nel giudizio e nel punteggio finale di una gara.
Io non sono sui social, quindi ho la fortuna di non leggere questi post!
Per quanto riguarda l’embusen, nel regolamento ESKA/WSKA il ritorno dell’embusen non viene preso in considerazione, ma (secondo me cosa sensata) viene presa in considerazione la maniera: se durante il kata io lo comincio qui e finisco 4 metri in là l’arbitro è autorizzato a farsi qualche domanda, ma se finisco a un metro di distanza avanti o indietro è assolutamente indifferente, quindi, non è un aspetto su cui io insisto durante l’esecuzione dei kata individuale. Per la squadra il discorso è diverso, perché forma un “triangolo” e questo triangolo deve rimanere costante, quindi, nell’embusen si può anche ritornare un po’ più avanti o un po’ più indietro, ma tutti e tre gli atleti nello stesso modo. Lo spazio nel triangolo e dei tre angoli deve rimanere sempre costante. Nel regolamento Fikta l’embusen è importante, però io non mi occupo di questo.

Rispetto al livello tecnico delle squadre straniere già incontrate, come si sta preparando l’Italia per i prossimi eventi internazionali, ha delle strategie?
Io non cambio in relazione agli altri, nel senso che se gli altri fanno meglio di noi questo è e quello che possiamo fare è migliorare, ma non vedo altre strategie.  

Quali sono le squadre straniere più temute?
Nell’ESKA in realtà c’è una rotazione di risultati, non c’è esattamente una squadra di riferimento, solitamente ai primi posti ci siamo noi, la Germania, poi l’Ungheria e l’Inghilterra, quindi sì, non sono tante. Però ci sono 4/5 squadre, tra cui la Russia e l’Austria, che ultimamente, sia col maschile sia col femminile, potrebbero arrivare ad avere risultati. Poi influisce sempre anche il “fattore casa”: ad esempio il Portogallo [gli Europei 2017 si sono svolti lì N.d.R.] era da anni che non otteneva risultati e, invece, hanno vinto a squadre.

Ipotizzando che i nostri agonisti riuscissero a far parte dei selezionabili per le Olimpiadi 2020, avrebbero delle chance?
Proprio “ipotizzando”, no, non avrebbero delle chance, perché il modo di esecuzione dei kata dei nostri atleti non corrisponde a quelli che sono gli standard di riferimento della gara WKF, quindi, delle Olimpiadi.
Per fare un esempio: gli arbitri nella WKF non sono tenuti a conoscere i kata e questo è anche corretto, perché loro fanno interstile, quindi, è impossibile che un arbitro conosca tutto. Di conseguenza, quando si trovano di fronte a un kata, a loro non importa l’ordine del kata, ma hanno altri parametri di riferimento: posizione, forza e velocità. Per noi [del Tradizionale N.d.R.] è diverso, c’è l’esecuzione del kata che ha determinati parametri tecnici da rispettare e, in più, ci sono da valutare anche la forza la tecnica e la velocità. Quindi, il nostro modo di esecuzione dei kata non corrisponde in questo momento al quello WKF. Io sono stato nella WKF fino al ’96 e ottenevo risultati, arrivavo tra i primi, quindi significa che questo modo, che poi è lo stesso, era quello di allora. Poi però, nel corso degli anni, loro hanno preso una strada diversa, dove è più importante la velocità nell’esecuzione della tecnica, piuttosto che il rispetto della tecnica stessa: se posso essere più veloce rimpicciolendo il movimento, va benissimo; se posso essere più veloce usando una posizione più corta, è perfetto per loro; per noi no, noi dobbiamo rispettare, almeno per me, una certa tecnica, una certa dinamica della tecnica, e poi cercare di essere veloci, ed è li che c’è il confronto. Loro hanno preso una strada diversa, né giusta né sbagliata, però è differente dalla nostra e perciò è chiaro che i nostri atleti in questo modo non potrebbero gareggiare. Comunque, credo che ci siano dei nostri atleti che abbiano cominciato a fare delle gare con regolamento WKF e che incontrano questo problema.  

Ci sono dei ragazzi che anche con poco talento sono riusciti a raggiungere grandi risultati compensando l’altra parte con tanta passione e con tanto lavoro tecnico.— M° Pasquale Acri

Alle grandi competizioni internazionali si vedono “nuovi” kata, modificati dall’atleta stesso… Cosa ne pensa?
Di fatto, in gara io posso arrivare per fare un kata dicendo il nome di una kata che gli arbitri non conoscono e poi lo eseguo, potrebbe essere un kata che proviene da una tradizione o potrebbe essere adattato. Per esempio, ho visto fare un kata Unsu dello Shitoryu, che però era adattato in funzione della competizione, con dei cambiamenti tecnici, e non era il kata Shitoryu tradizionale.
Cosa ne penso? È un’altra cosa, è proprio diverso. Nella FIKTA seguiamo un’altra strada. Anche l’ultimo corso di kata bunkai con il M° Fugazza è stato fatto proprio per dire ancora una volta di mantenere la tradizione e le tecniche, per noi non è la stessa cosa se si ha una mano aperta o una mano chiusa all’interno di un kata. Il nostro obiettivo è quello di mantenere una tradizione e il karate viene trasmesso come tradizione attraverso il kata.

Intervista all’allenatore Fikta della Nazionale Kumite, M° Silvio Campari

Ti potrebbe interessare anche:

Articoli recenti

I più letti

Top Autori