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Intervista all’allenatore Fikta della Nazionale Kumite, M° Silvio Campari

Intervista all’allenatore Fikta della Nazionale Kumite, M° Silvio Campari
Foto di Daniele Fregonese

Uno dei segreti è di avere atleti disposti a dare il cuore per la propria squadra.

Il 27 agosto 2018 allo stage FIKTA e ISI Ente morale di Igea Marina, KarateDo Magazine ha intervistato l’allenatore della Nazionale Kumite il M° Silvio Campari. 

Buongiorno Maestro Campari, partiamo da qualche dato: quanti atleti fanno parte della Nazionale Kumite? Dove e come si allenano?
Della squadra ufficiale della Nazionale fanno parte circa 23-25 atleti, fra maschi, femmine, juniores e seniores. Normalmente ci alleniamo alla Yama Karate Club di Milano, che è il mio dojo, in modo tale da riuscire anche a usufruire di alcuni attrezzi per determinati esercizi. Milano poi è un centro di ritrovo accessibile a tutti con mezzi pubblici e facilmente raggiungibile da tutte le parti d’Italia. 

Riesco a motivare i ragazzi, perché ho una grande motivazione io per primo, a me piace vincere.— M° Silvio Campari

Durante questi raduni lei è coadiuvato da un team da lei scelto (assistente coach, preparatore atletico/psicologico ecc.)?
No, non ho alcun tipo di assistente in questi raduni, anche perché inizialmente venivano scelti dalla Federazione, poi, è stato un pensiero comune che l’allenatore è meglio che gestisca un gruppo unico, in quanto gli atleti non sono molti. Ovviamente, per la preparazione atletica mi faccio comunque consigliare da un professionista per determinati esercizi da trasmettere ai ragazzi.

Mi può parlare un po’ del livello tecnico sia della squadra maschile, sia di quella femminile? Al momento ci sono differenze tra i due team? (Anche il presidente WSKA Richard Poole, in occasione dell’ultima gara, ha rilevato una certa disparità…)
Secondo me, negli ultimi anni il livello tecnico sta facendo un salto di qualità, grazie anche al fatto che i ragazzi seguono le direttive e danno spazio soprattutto a nuovi tipi di allenamento e questo è molto positivo. Anche se sì, sicuramente il Presidente Richard Poole ha pienamente ragione, tra maschile e femminile c’è una certa differenza tecnica. Noi, a livello nazionale, con le ragazze abbiamo grosse difficoltà a trovare giovani “portate” per il kumite, perché non ci vuole solo la tecnica, ma anche il “senso” del kumite per una buona riuscita e, quindi, faccio fatica a vederne.
Devo però aggiungere subito che un terzo posto ai Mondiali, sia nei juniores sia nei seniores, è un buon risultato per le ragazze. Ci tengo a dirlo, perché è un merito che le ragazze devono sempre portare con sé, nel loro cuore, come un bel ricordo. 

Come riesce a motivare, interessare e stimolare i giovani atleti, come li tiene coinvolti? Che tipo di rapporto bisogna creare, secondo lei, fra Maestro e atleta?
Riesco a motivare i ragazzi, perché ho una grande motivazione io per primo, a me piace vincere, non condivido il “basta partecipare”… basta andare per vincere! Probabilmente questa mia motivazione riesco a trasmetterla ai ragazzi e spero di riuscirci in modo positivo, tangibile, vedo i ragazzi interessati e che ci credono. Penso che una delle cose più belle tra maestro e allievo, anzi, tra allenatore e allievo, in quanto il loro maestro ce l’hanno nel dojo, sia il rapporto di fiducia. Credo che un buon allenatore debba rubare il cuore, questa è una cosa che mi ha insegnato tanti anni fa un Maestro: “Bisogna rubare il cuore ai ragazzi per ottenere il meglio”. Devo dire che anche qualche ragazzo riesce a rubare il mio di cuore, con molti di loro c’è un buon feeling e lo sento.  Per esempio, dopo il mondiale di Treviso avevamo un gruppo whatsapp e per i due mesi successivi sono continuati messaggini del tipo: “Quando ci vediamo maestro?… quando facciamo allenamento?… quando ci ritroviamo, perché abbiamo passato dei momenti bellissimi?” e questo significa che abbiamo costruito una buona squadra. Secondo me, questo è uno dei segreti, costruire una squadra non solo di buoni atleti, ma di atleti disposti a dare il cuore per la propria squadra. Io penso e dico spesso ai miei atleti che la S iniziale della parola Successo è la stessa S di Squadra.  

Secondo lei siamo riusciti a colmare il gap che c’è fra il kumite italiano e quello europeo? Rispetto al loro livello tecnico, come si sta preparando l’Italia, quali strategie pensate di adottare?
Sicuramente non siamo più una delle squadre “materasso”, questo è certo. Anche il M° Frank Brennan (coach della squadra inglese di kumite KUGB) ai mondiali ha fatto i complimenti al mio team, dicendo appunto che l’Italia è una buona squadra. Io non penso che sia merito di qualcuno in particolare, io credo che un gruppo di persone, compresa la FIKTA, abbia lavorato con armonia e piacere, per cui i ragazzi hanno dato il massimo, quindi, questo ha contribuito ad aumentare, a far crescere, il livello della squadra. Non c’è un’unica strategia particolare, sicuramente come dicevo prima, la motivazione è una delle cose più belle (e importanti) per vincere una gara. Il “lavoro” di un atleta è quello di vincere una gara, non di partecipare. Lo so che sono un po’ materiale sotto quest’aspetto, ma penso che il ricordo di una gara persa abbia un valore, ma il ricordo di una vittoria ne ha tutto un altro.  

Credo che un buon allenatore debba rubare il cuore.— M° Silvio Campari

Sembra che psicologicamente gli atleti della Nazionale si sentano un po’ più sotto pressione quando devono rappresentare l’Italia nelle competizioni all’estero, come si gestisce una naturale emozione perché non diventi un freno?
Sarebbe forse opportuno incrementare nel corso dell’anno il numero di gare affinché i nostri atleti facciano più esperienza?
Sicuramente, a livello psicologico soffriamo un pochino del fatto che facciamo poche gare a livello nazionale, rispetto a nazioni o a squadre che hanno sponsor ufficiali o sono all’interno delle federazioni del CONI. Questo aspetto però, come dico sempre ai ragazzi, bisogna saperlo “rivoltare” psicologicamente e usarlo come stimolo, proprio perché mi devo dire: “Faccio poche gare, perciò, quelle poche che faccio le devo fare bene e per vincere”. Io sono d’accordo sul fatto di partecipare a più gare a livello internazionale, però credo sia importante anche fare delle gare di livello rilevante, più alto, perché fare l’amichevole con una piccola squadra non ci serve a niente, a noi serve fare amichevoli con squadre forti, tipo la Russia, l’Inghilterra e l’America, che sono poi le squadre da battere ai mondiali. 

Attualmente la FIKTA aderisce solamente alle competizioni ESKA WSKA, attraverso la sua esperienza come agonista nell’ITKF, che differenze nota fra le due sigle/organizzazioni?
Sì la FIKTA non aderisce più all’ITKF per una scelta politica e tecnica. Io poi non sono un atleta ITKF e basta, sì è vero ho vinto quattro mondiali ITKF, però nell’ESKA sono arrivato negli otto e poi nei primi quattro. Poi sono arrivato terzo al campionato JKA e secondo a un campionato WUKO a Genova.

Secondo lei, i nostri agonisti (che non sono dei professionisti) riuscirebbero comunque a far parte dei “selezionabili” per le Olimpiadi 2020? Cosa servirebbe ai nostri atleti per poter partecipare a quel tipo di competizione?
Non credo, almeno non mi sembra ci siano agonisti professionisti nella nostra squadra. Per quanto riguarda le Olimpiadi, è un regolamento a sé, bisogna seguire la Premier League e questo comporta degli impegni e dei costi notevoli, infatti, anche le federazioni ufficiali portano al massimo due, tre, atleti. La Premier League dura quattro anni ed è un po’ il “campionato pre-olimpico”, dubito che qualche nostro atleta abbia sponsor e soprattutto tempo da dedicare per andare alle Olimpiadi.

Durante le gare abbiamo notato una carenza di tecniche di calcio, è vero? Ciò è dovuto al regolamento Fikta?
C’è un detto giapponese che dice: “Meglio tirare un pugno col cuore che un calcio col piede”, quindi, cinicamente il wazari puoi anche prenderlo con una tecnica di pugno, l’importante è che porti a casa la medaglia. Sotto l’aspetto tecnico e tattico stiamo lavorando per usare maggiormente le tecniche di calcio e sulla loro difesa. Un buon “colpitore” di calci con noi ha un leggero vantaggio, però, ripeto, stiamo lavorando anche su questo fronte.

A novembre ci saranno i Campionati europei ESKA, ci vuole anticipare qualcosa rispetto a una vostra eventuale strategia?
Posso anticipare che andiamo lì per vincere, come sempre! Posso anticipare che le squadre da battere sono l’Inghilterra e la Russia, che non siamo la squadra “materasso” e che abbiamo tanta voglia di vincere sia nel maschile, sia nel femminile, sia nei cadetti, speranze, juniores e senioores, perché abbiamo tanta voglia di fare! 

Io penso e dico spesso ai miei atleti che la S iniziale della parola Successo è la stessa S della parola Squadra. — M° Silvio Campari

Con il M° Acri, in qualità di coach della Nazionale del kumite e del kata, vi interfacciate riguardo alla preparazione? Ci sono atleti che partecipano a entrambe le competizioni?
Con il Maestro Pasquale Acri ho, innanzitutto, un rapporto di amicizia e di stima bellissimo, lo conosco da diversi anni, perché il M° Pasquale era nella Nazionale di kata quando anch’io ero nella Nazionale junior di kumite FIKTA. Quindi, ne ho un gran rispetto e mi trovo molto bene con lui a livello di comunicazione. Sicuramente abbiamo avuto pochi atleti che hanno fatto contemporaneamente sia kata, sia kumite, ma proprio perché il campionato Eska è difficile, perciò abbiamo sempre il timore di mettere un atleta del kata nella squadra di kumite, dove potrebbe farsi male. Preferiamo avere un atleta per ciascuna specialità, anche per dare loro la possibilità di partecipare più gare. Comunque, abbiamo avuto anche qualche eccezione, con atleti che hanno militato sia nella squadra di kata sia del kumite.

Intervista all’allenatore Fikta della Nazionale Kata, M° Pasquale Acri

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