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Comunicare efficacemente grazie ai principi marziali

Comunicare efficacemente grazie ai principi marziali
Foto di Fabrizio Bagnoli

Nel karate l’”avversario” può essere strumento di addestramento delle capacità comunicative non-verbali e in parte anche para-verbali.

Prima di chiederci quale sia il nesso tra comunicazione e Karate o, meglio, tra comunicazione e arti marziali orientali in generale, vorrei provare a spiegare cosa si intende (e cosa intendo io) per comunicazione efficace.
Spesso siamo portati a pensare che parlare equivalga a comunicare, ma questo non è sempre vero, anzi direi che è raramente vero.

Comunicazione, quindi, come dono di sé e della propria autenticità.

La mia formazione scolastica è tecnico-scientifica e non ho studiato il latino. Cercando in internet ho però trovato questa definizione: comunicare, dal latino communicare, che significa “mettere in comune”. Termine derivato da commune, ossia che compie il suo dovere con gli altri, composto da cum (insieme) e munis (ufficio, incarico, dovere, funzione).
La comunicazione è quindi un’espressione sociale, ovvero, è mettere un valore al servizio di qualcuno o qualcosa fuori da sé: non basta cioè parlare, scrivere o disegnare per comunicare.
La comunicazione avviene quando l’espressione è compresa e diventa patrimonio comune per la costruzione di una discussione, di un sapere, di una cultura. Comunicazione, quindi, come dono di sé e della propria autenticità.
Se ciò è vero e se concordiamo con questa definizione e visione, ci assumiamo una grossa responsabilità quando comunichiamo.

Dopo un primo momento di “sbandamento”, dovuto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò, la domanda che sorge spontanea è: “Cosa posso mettere in comune con il mio interlocutore?”. Risposta: “Ascoltati, ascolta l’altro, conoscilo e a quel punto sarai in grado di darti una risposta”.
Siamo dunque partiti dal voler definire il termine comunicare e siamo arrivati a scoprire che per farlo è necessario conoscere. Ecco quindi che per comunicare in maniera sana e armonica, in maniera efficace, la prima cosa da fare non è parlare, bensì imparare e sforzarsi di conoscere.
Ora la domanda diventa: “E chi dovrei conoscere?”, risposta: “Quanto meno te stesso e il tuo interlocutore; solo così avrai coscienza di cosa poter condividere e di quali sono le aspettative e le necessità della persona che hai davanti a te”.

Proprio da qui parte il fantastico viaggio di scoperta.
Praticare un’arte marziale (o anche solo praticarne i principi) significa, quindi, concedersi l’opportunità di percorrere un meraviglioso viaggio di conoscenza dentro se stessi, di dono e di relazione verso gli altri.
L’allenamento all’ascolto, di noi stessi e degli altri, si trasforma in un bellissimo gioco che possiamo portare con noi tutti i giorni. Comunicare diventa così “prendersi cura dell’altro”, fare dono reciproco di sé e della propria autenticità.

Strumenti utili per conoscere sono senza dubbio i sensi, che permettono di osservare (grazie alla vista), ascoltare (attraverso l’udito), sentire (per mezzo di tatto, gusto e olfatto) ma anche “sentire di pancia”, sperimentare cioè un livello di ascolto diverso da quello dei canonici cinque sensi.
Primo pre-requisto fondamentale, avere ben chiaro questo assunto: “Io sono padrone solo di ciò che è sotto il mio controllo” che mi porta a comprendere che la buona comunicazione non dipenderà solo da me, ma allo stesso tempo non potrà prescindere dal mio pieno impegno.
Secondo pre-requisito: avere una presenza interiore tale da permettermi di essere centrato e allineato con me stesso e con la mia essenza. Ed è qui che iniziamo a capire il senso e la funzione del Karate in questo percorso. Una presenza perfettamente equilibrata è infatti allenabile attraverso la corretta applicazione e pratica di principi come il mokusō, lo zanshin, il kime.

Mokusō
Gli artisti marziali hanno a disposizione differenti strumenti per allenare la presenza, uno tra tutti il mokusō 黙想 (traducibile come “silenzio della mente”). Praticato in piedi (ritsurei) o in ginocchio (zarei), permette di realizzare quel “vuoto mentale” che è il preludio alla presenza e alla calma interiore. La sua funzione all’interno delle arti marziali giapponesi è quella di traghettare la mente dal mondo quotidiano alla pratica, portandola ad abbandonare i pensieri non necessari, così da sviluppare e consentire la necessaria concentrazione.
È dunque un momento di passaggio che permette di lasciare da parte lavoro, e-mail, telefono ecc., per prepararci alla pratica, riappropriandoci della nostra interiorità. In questa fase il corpo si rilassa e si prepara all’azione, il respiro si fa calmo e regolare e la mente passa dalla condizione di torrente vorticoso a quella di lago calmo.

Comunicare diventa così “prendersi cura dell’altro”.

Zanshin
Zanshin 残心 è una parola giapponese che significa letteralmente “spirito del gesto”. Traducibile anche con“attenzione totale al momento”, “incanalare la totalità della nostra coscienza”, in una qualsiasi circostanza, aumentando la consapevolezza del momento.
Significa “essere il momento”, ovvero che non c’è distinzione di sorta tra noi e il momento stesso. Infatti, se stiamo “pensando a noi”, allora non stiamo “essendo noi”, e se stiamo pensando al momento allora non siamo una cosa sola con esso. Nel concentrare tutta la nostra attenzione nel momento, diveniamo completamente consapevoli di qualsiasi cosa avvenga al suo interno.
L’artista marziale man mano che perfeziona la sua pratica inizia a sperimentare cosa significhi “presenza”, ossia a considerare ogni momento importante al punto da “essere il momento”. Ciò che si prova è uno stato difficile da spiegare, una totale immersione in cui ci si sente parte di ogni cosa che ci circonda, come se il tempo smettesse di esistere e si fosse in uno stato di percezione alterata.

Kime
Kime 決め è un termine giapponese che indica “concentrazione totale”, o “concentrazione in un singolo punto”. Potremmo dire anche “incanalare il potere della mente (o meglio l’intenzione) in una sola azione”, come ad esempio una tecnica marziale in cui ci si gioca il tutto per tutto.
Chiunque abbia mai visto un gatto che punta una preda e come si muova con risolutezza e concentrazione assoluta sul suo obiettivo, ha visto una manifestazione del kime. La sua mente è vuota, libera, priva di rigidità. Rimane reattivo, all’erta, attento. Nulla della sua attenzione è dedicata a quello che è successo prima e a ciò che potrebbe avvenire dopo.
La ragione principale per cui spesso non riusciamo a esercitare il kime è legata al fatto che vogliamo fare troppe cose assieme, il famoso multitasking, tanto osannato in quest’epoca di rincorsa continua in cui se non corri sei considerato uno sfaticato e un buono a nulla.

Kata e Kumite: pratiche di ascolto e di conoscenza
Quale migliore applicazione marziale di ciò che abbiamo descritto sopra, se non il kata? Meravigliosa pratica interiore di ascolto di sé, di profonda conoscenza di se stessi a vari livelli (fisico, psicologico e spirituale).
Una volta che ci siano messi in connessione e abbiamo fatto emergere la nostra essenza siamo però solo a metà del percorso. Abbiamo scoperto cosa possiamo mettere in comune, cosa possiamo communicare. Ci resta da scoprire chi è il nostro interlocutore.

Interlocutore che nelle Arti del Budo non è più avversario, bensì compagno di pratica, in grado di affiancarci nello studio, uno specchio di noi stessi. Il confronto con l’avversario diviene quindi occasione per conoscere l’altro e nel contempo un incontro con noi stessi e con le nostre paure, le nostre incertezze e debolezze.
Ecco che attraverso lo studio del bunkai, del gohon, del sanbon e del kihon kumite prima e del jiyu ippon e jiyu kumite poi, possiamo raffinare via via i nostri sensi e arrivare a un vero ascolto empatico dell’altro.
Personalmente trovo utilissimo in questa fase utilizzare anche elementi come la lotta a terra, presi ad esempio dal Judo o da JuJitsu e anche il Tui Shou cinese proprio del Taiji Quan.

Una presenza perfettamente equilibrata è infatti allenabile attraverso la corretta applicazione e pratica di principi come il mokusō, lo zanshin, il kime.

Combattimento, quindi, che viene visto non più come mezzo di offesa nei confronti del nostro “avversario”, ma come veicolo imprescindibile di conoscenza, veicolo di uno straordinario scambio di energie sottili. Strumento di addestramento delle capacità comunicative non-verbali (e in parte anche para-verbali) come ad esempio: l’assetto posturale, la prossemica e l’orientazione corporea, il comportamento motorio ecc.
Vi sembra poco? Io non direi. Allenarci a comprendere, ascoltare e utilizzare questo linguaggio ci consente di migliorare e di far maturare, giorno dopo giorno, quelle che sono le nostre abilità comunicative. Ci porta ad apprendere come entrare e mantenere uno stato psico-fisico di apertura ed efficacia nei confronti di una comunicazione armonica, sana ed efficace.

Buona pratica e buono scambio comunicativo!

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