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Una proposta per diverse modalità di insegnamento del Karate (parte 2)

Una proposta per diverse modalità di insegnamento del Karate (parte 2)

Il Karate, per gli obiettivi psico-fisici che si pone, diversi da quelli di altri sport, dovrebbe essere insegnato a scuola. Aiuterebbe anche disturbi e patologie.

(in KarateDo n. 20 ott-nov-dic 2010)

Premesso che la spinta motivazionale, la ragione personale più o meno conscia e razionalizzata della pratica del Karate – o di altra disciplina – non ha nulla a che vedere con l’inclinazione naturale, con il conseguimento prestazionale più o meno buono, né con il risultato agonistico, quando un bambino inizia la pratica del Karate la sua motivazione è spesso confusa, fantasiosa, poco differenziata. Può aver subito pressioni da parte dei genitori o aver seguito un amico. Ora che i film di Bruce Lee sono passati nella storia del cinema, ma i bambini di oggi non li hanno visti, e le tartarughe Ninja cominciano a segnare il passo, la bandiera dell’arte marziale spettacolare è tenuta alta in televisione dai Dragon Ball e da Yu-gi-oh. Ognuno si accorgerà presto che, a differenza dei personaggi televisivi, la fatica è molta e il risultato lento a venire. Nella nostra società in cui la fatica è malvista e non più d’abitudine, in cui è più facile pretendere “tutto e subito” (con l’onnipotenza del bambino piccolo e del tossicodipendente) che porre tempo, impegno e metodo per raggiungere un obiettivo, il Karate viene a ridimensionare un esame di realtà che risulterebbe deficitario.

Ogni individuo, indipendentemente dall’età, ha una personale resilience (resistenza) a fronte di traumi, conflitti, situazioni pericolose che vive. Nella sua equazione personale il bilanciamento con i fattori di rischio è dato dalla resilienza e dai fattori di protezione. Quando un bambino vive situazioni di disagio o malessere, la pratica del Karate si può annoverare fra i vari fattori di protezione: gli permette un’attività sana e strutturata da regole, il contatto significativo con i pari e con una figura d’autorità che spesso viene identificata come genitore vicario. L’aspetto vicario della genitorialità e soprattutto la normatività del ruolo paterno – oggi piuttosto in crisi – sono particolarmente efficaci se il Maestro è maschio, come nella maggior parte dei casi. Molti bambini soffrono per un basso livello di autostima e una scarsa scurezza in se stessi, spesso espressa con timidezza e ritiro sociale. È importante che il Maestro riesca a valorizzarli, ossia a riconoscere e apprezzare le loro qualità positive, aiutando questi allievi a conoscersi, ad avere fiducia nella propria autoefficacia, a distinguere gli errori, gli ostacoli, gli insuccessi, perché riescano a superarli senza frustrazione, aggressività difensiva, vergogna o timore del giudizio altrui: il Karate insegna a praticare solo per se stessi.
La dinamica della profezia che si autoavvera, o dell’effetto Rosenthal, a cui i bambini sono molto sensibili, ci insegna che essi comprendono la stima, l’interesse, l’ascolto autentico che l’adulto rivolge loro, soprattutto se questo adulto è significativo e se li investe di speranze e di aspettative (realistiche).

DISLESSIA e DISGRAFIA
Da qualche anno a questa parte si parla molto di questi disturbi dell’apprendimento, spesso legati a un vissuto spazio-temporale problematico, per cui le cure stanno ancora procedendo con molto empirismo e lavoro sul campo prima che su solide basi teoriche. Il Karate contribuisce allo sviluppo educativo dell’organizzazione spaziale, di un corretto e articolato apprendimento motorio che permetta l’acquisizione di percezioni e strutturazioni spazio-temporali (Sport e Medicina, mag-giu ‘98). Il Maestro avrà il tatto di bandire con questi bambini tutte quelle metafore a contenuto scolastico, che potrebbero risvegliare, in palestra, i ricordi dei fallimenti del mattino. Per loro la lateralizzazione (concetto di destra e sinistra) è spesso un problema, che il Maestro aiuterà a risolvere se eseguirà le tecniche a fianco anziché di fronte, modalità comune ma più confusiva. Anche per quei bambini che, senza un disturbo dell’apprendimento diagnosticato e certificato, pure vivono il fallimento di scarsi risultati scolastici, il Karate è un veicolo utile per compensare la loro equazione personale con aspetti di adeguatezza e successo.
Alcuni psicoterapeuti infantili, credendo nell’utilità di questa disciplina, la propongono come affiancamento alla psicoterapia, ovviamente se il bambino mostra un certo interesse. Viceversa, molti ragazzini che soffrono di diverse problematiche psicologiche hanno già intrapreso la frequenza di un corso di Karate, dicendo i benefici che ne hanno; spesso questa scelta può essere una sorta di tentativo sano per uscire dal disagio (Giulia Cavalli, psicoterapeuta e ricercatrice presso l’Univ. Cattolica di Milano, comunicazione personale).
Il Karate permette quel coinvolgimento olistico che interviene sul malessere del soggetto, posto a monte delle manifestazioni che egli ha scelto/trovato per sopravvivere: fobie, patologie della nutrizione, disturbi del carattere, destreggiandosi spesso fra adultizzazione e lassismo.

Disturbo da DEFICIT dell’ATTENZIONE, con o senza iperattività, e disturbo OPPOSITIVO PROVOCATORIO
Per i ragazzini con questi disturbi (quelli che “fanno i furbi” o che “hanno bisogno di essere rimessi in riga”, secondo espressioni che possono far inorridire uno psicologo ma che sono efficaci nel linguaggio comune), il Karate è un ambiente ideale e un’attività benefica, che sembra essere addirittura terapeutica. Questi soggetti fanno letteralmente “impazzire” il Maestro e tutti coloro che abbiano a che fare con loro, coetanei ma soprattutto figure d’autorità, perché sono incontenibili e “bombardati” da mille stimoli da cui gli altri non si lasciano distrarre, in quanto tendono a trascurarli. Tuttavia il Karate è un coadiuvante della terapia cognitivo – comportamentale che viene applicata su questi soggetti, per la gestione dell’iperattività (attivarsi solo dopo un comando dato dal Maestro e realizzare una tecnica precisa, ad esempio nel kihon) e per la conservazione dell’attenzione per tempi sempre più lunghi, durante la lezione.

Il Maestro, per forza o per amore, dovrà gestire momenti personalizzati, “solo per loro”, che oggettivamente non riescono a seguire come gli altri, senza ghettizzarli. In particolare presterà attenzione al fatto che, nel caos della palestra, essi si sentiranno ancor più bombardati del solito da stimoli sensoriali (es. sentendo gli ordini degli istruttori vicini). Essi sono abituati a sentire il proprio nome di battesimo associato a rimproveri, richiami più o meno garbati, qualche volta autentici insulti. Vero che “quando scappano, scappano”; vero anche che il bambino non costruirà la propria immagine identitaria come quella di soggetto iperattivo, bensì di ragazzino svogliato, che prende in giro, che non è mai al suo posto, mai al passo con gli altri e così via. Provate invece con un invito garbato: “A me gli occhi!”

Occupandosi nello specifico di bambini affetti da Disturbo Oppositivo Provocatorio, Palermo et al. (4th International Symposium, MI 2007) hanno verificato un significativo miglioramento nel gruppo sperimentale (bambini con disturbo oppositivo – provocatorio su cui l’intervento multimodale, rivolto alla riduzione dei comportamenti agiti, comprendeva l’utilizzo di un’attività di Karate Wa Do Ryu, in un intervento di dieci mesi) rispetto al gruppo di controllo (bambini che non hanno ricevuto alcun intervento in questo senso).

Per bambini autistici, disturbati o disabili, da tempo è nota l’efficacia di attività quali l’ippoterapia e la pet therapy, che suggeriscono valori vicini al maternage e comportano benefici di natura fisica (miglioramento delle capacità motorie, dell’equilibrio e del tono muscolare) e psichica: la riduzione dell’ansia, l’aumento delle capacità relazionali, lo sviluppo di capacità cognitive e così via.

I piccoli atleti e i loro genitori, le gare e il rapporto col maestro… Poi però crescono e diventano degli adolescenti con una propria identità in evoluzione.

 

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