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KATA – Sfatiamo alcuni miti

I kata hanno da sempre rappresentato i libri di testo del karateka, lo strumento didattico per eccellenza dei maestri. Per studiarli e raggiungerli nel profondo diventa fondamentale sfatare alcuni miti e credenze consolidatisi nel tempo.

Kenwa Mabuni, il fondatore dello Shitō-ryū, scrisse quanto segue nel suo libro Kobo Kenpō Karate-Dō Nyūmon (1938):
Il significato delle direzioni nei vari kata non è ben compreso, e spesso si fanno errori nella loro interpretazione. In casi estremi, qualche volta si sente dire che ‘in questo kata ci si muove in otto direzioni e quindi è stato progettato per combattere contro otto avversari’ o frasi altrettanto insensate. Osservando l’enbusen del kata Pinan Nidan (Heian Shodan) ci si accorge che il kata si sviluppa in tutte le direzioni, avanti e indietro, sinistra e destra. Quando si interpreta il kata, non bisogna fissarsi troppo su queste direzioni. Per esempio, si deve evitare di cadere nella trappola di pensare che, solo perché un kata inizia a sinistra, l’avversario attacca sempre da sinistra.
Ci sono due modi di interpretare questo passaggio:

  • il kata sta difendendo da un attacco che viene da sinistra; 
  • ci si sposta angolarmente a sinistra (rispetto all’avversario) contro un attacco frontale. 

A una prima occhiata, entrambe le interpretazioni sembrano accettabili. Tuttavia, considerando solo la prima, il significato del kata diventa limitato e il kata, che in realtà dovrebbe potersi applicare liberamente in ogni situazione, diventa terribilmente povero nella sua applicazione.
Considerando un esempio reale, tutti e 5 i kata Pinan iniziano verso sinistra e poi ripetono la stessa serie di tecniche a destra. Seguendo la prima interpretazione, l’avversario deve sempre attaccare da sinistra e, mentre si combatte con lui, un altro avversario giunge da dietro, in modo che ci si debba girare per affrontarlo.
Questo tipo di interpretazione è altamente irragionevole.
Guardando invece la seconda interpretazione, i 5 kata Pinan ci mostrano che contro un attacco frontale possiamo eludere a sinistra o a destra, assumendo la posizione più vantaggiosa per difenderci.

Le parole di Mabuni potrebbero suonare come blasfeme alle orecchie di qualcuno e provocare orticaria. Eppure, secondo le parole del maestro (che condivido al 100%), la premessa contestuale sulla quale molte scuole basano il loro studio dei kata, ossia “il kata è un combattimento contro più avversari contemporaneamente nelle varie direzioni”, è chiaramente fuorviante stando al testo. Tenendo conto di vari aspetti legati alla cultura giapponese, quando un maestro come Mabuni usa le parole “altamente irragionevole“, parlando di ciò che propongono altri praticanti, voleva dire in verità che “è una fesseria totale”.
Mabuni era riconosciuto da tutti come un vero esperto di kata, lo stesso Funakoshi ha speso parole di apprezzamento davvero significative verso il maestro: “Non c’è alcuna esagerazione nel dire che Mabuni è l’insegnante più esperto di Karate-jutsu” (攻防自在護身術空手拳法 / Kōbō jizai goshin-jutsu karate kenpō, 1934). Tutto ciò è dimostrato anche dalla bellissima foto di copertina, risalente agli anni ’30, in cui compaiono (da sinistra): Gichin Funakoshi (1868-1957), Nakasone Genwa (1895-1878), (sconosciuto), Yasuhiro Konishi (1893-1983) e Kenei Mabuni (1918-2015, figlio di Kenwa). Kenwa Mabuni (1889-1952) è seduto al centro. Tra Gichin e Kenwa ci sono ventuno anni di differenza, ma nella foto non è il “vecchio” maestro che sta a sedere, bensì Mabuni. Questo, nel linguaggio non verbale, significa che “io (Gichin) e gli altri siamo qui per imparare da Mabuni“.
È tempo di andare al di là del mito: non esistono più avversari, l’applicazione del kata presuppone un contesto non sportivo (cioè deregolamentato) contro un avversario.
L’avversario non è alla nostra sinistra, né alla nostra destra né dietro di noi: è davanti a noi. [Vedi foto 1 – Bunkai Heian Shodan]

Passiamo a ciò che scriveva il maestro Funakoshi sull’uso dell’hikite.
Da Ryūkyū Kenpō: Karate, 1922.
È possibile usare hikite [引手, letteralmente “mano che tira”] per afferrare [つかまへ = 掴まえる / tsukameru, cioè catturare] l’affondo del nemico [敵の入れて来る手 / teki no irete kuru te, letteralmente “mano/braccio entrante del nemico”] e tirare la sua mano verso di noi mentre lo si colpisce contemporaneamente. Se all’azione di trazione si coniuga anche un’azione di torsione [捻る / nejiru], il nemico si sporgerà [靠れる = もたれる / motareru, letteralmente “appoggiare”] praticamente da solo verso di noi [cioè sarà maggiormente sbilanciato su di noi, fino quasi ad appoggiarsi sul nostro corpo].
Da Karate-Dō Kyōhan, 1935
Hikite: nel bloccare l’attacco (di pugno) dell’avversario, lo si afferra al braccio e si contrattacca contemporaneamente tirandolo verso di sé. Il suo equilibrio sarà compromesso e l’efficacia del suo attacco sarà annullata. Un movimento di trazione accoppiato a una torsione, è molto più efficace in questo contesto rispetto a una semplice trazione diretta.
Sempre nel suo libro del 1922, il maestro Funakoshi esprime un altro concetto fondamentale:
Nel Karate-justu [唐手術], la mano che è usata per ricevere è chiamata shinite [死手 / mano morente], o mete [雌手 / mano femminile] o Yō [ / yang]; l’altra mano, impiegata per attaccare, è detta ikite [活手 / mano vivente], o ote [雄手 / mano maschile] o In [ / yin]. Alcuni si riferiscono all’uso congiunto delle due mani [difensiva e offensiva] assieme col termine kisei [奇正, il kanji / ki significa strano, bizzarro, non convenzionale; il kanji / sei significa corretto, giusto, convenzionale]. Un detto recita che ‘la battaglia avviene all’interno del kisei e chi controlla il kisei controlla la vittoria’. Fin dai tempi passati si dice che la peculiarità [ / myō, letteralmente “mistero”, “segreto”] del Karate risiede nel saper contrarre ed espandere [伸縮 / shinshuku] entrambe le mani [braccia] insieme e, in effetti, il kisei e In/Yō sono il vero valore [è usato il termine 妙諦 / myōtei che significa vero valore, principio cardine, chiave per comprendere] del Karate-jutsu.
In questo trafiletto Funakoshi usa sempre il termine Karate-jutsu, proprio per sottolineare che il concetto spiegato ha una valenza molto pratica. Usa costruzioni complesse per esprimere un’idea che in realtà è davvero semplice: nelle applicazioni reali, non ha alcun senso pratico avere una mano in attesa, passiva al fianco o sospesa in aria. Questo non è vero Karate-jutsu, stando alle parole del maestro.

Al di là del mito: le applicazioni dei kata prevedono che entrambe le mani “facciano sempre qualcosa”, non ci devono essere mani/braccia inattive né in attesa.
[Vedi foto 2 Bunkai Heian Nidan poco pratico]
[Vedi foto 3 Bunkai HeianNidan pratico]
Prima che qualche lettore storca il naso o se la prenda col sottoscritto, vorrei sottolineare che “ambasciator non porta pena”, ognuno è pienamente libero di rifiutare i passi estratti dalle opere citate e i concetti che i maestri Funakoshi e Mabuni hanno ivi presentato. Anche altri maestri hanno espresso le stesse idee (Miyagi Chōjun, Motobu Chōki, solo per citarne alcuni), perciò sarebbe utile tenerle in forte considerazione durante lo svisceramento applicativo dei kata.
Daltronde anche il maestro Itosu Ankō (di cui i già citati Funakoshi, Mabuni e Motobu sono stati allievi), nel suo sesto precetto, ci dice che nei kata vi sono tecniche elusive, di ricezione e rilascio; tecniche di manipolazione articolare e molto altro:
Il kata dovrebbe essere praticato estensivamente e il significato di ogni tecnica andrebbe indagato e studiato. Inoltre, ogni movimento dovrebbe essere praticato con un compagno per confermare il suo uso in un combattimento reale. Nel compiere questo studio, bisogna essere consapevoli che esistono tecniche di / iri, / uke, はずし / hazushi e 取手 / tuiti, che sono spesso insegnate oralmente, perché non si possono evincere dalla sola pratica ripetitiva del kata.

Il kata rappresenta per un karateka quello che un libro di testo rappresenta per uno scolaro. Ripetere a memoria l’enunciato del teorema di Pitagora, leggendolo dal libro di testo, non serve a nulla, lo studente non potrà capire né applicare il teorema in oggetto. Sarà l’insegnante, tramite esempi ed esercizi a difficoltà crescente, in cui servirà applicare il teorema, a far comprendere allo studente il vero significato del postulato. Solo a questo punto, rileggendo l’enunicato del teorema, lo studente sarà consapevole di ciò che sta leggendo e del suo significato. Da quel momento in poi sarà libero di applicare il teorema secondo le proprie esigenze.
Allo stesso modo, praticare a oltranza la sequenza a solo di un kata non servirà a “usare” quel kata, poiché il kata in sé non insegna a combattere.
Sarà il maestro, tramite una serie di esempi ed esercizi a coppie (con relative varianti), a far comprendere all’allievo il significato delle varie sottosequenze del kata. Questo processo è detto bunkai (分解, letteralmente “smontare”, “disassemblare”; ognuno dei due kanji fa riferimento al verbo わかる / wakaru che significa “capire”, “comprendere”; perciò il bunkai è uno “smontare per comprendere”) e ha lo scopo di far capire, tramite esempi, i principi applicativi e le strategie che il kata incorpora: le applicazioni con le relative varianti sono solo un mezzo, non il fine. Usando una terminologia scientifica, il bunkai corrisponde al processo dell’ANALISI.

Giunti a questo punto (“un kata 3 anni” dice niente?), ripetendo la sequenza a solo del kata, l’allievo sarà in grado di visualizzare e dare un significato a ciò che sta facendo e, credetemi, anche agli occhi di un’osservatore esterno la tecnica sembrerà molto più “piena”. Da quel momento in poi, secondo necessità, l’allievo dovrebbe essere in grado di mettere insieme (assemblare) i principi applicativi che ha interiorizzato tramite le applicazioni a coppie e indovinate un po’? Nella lingua giapponese, il verbo che esprime le azioni di “mettere insieme”, “assemblare”, “collegare”, è 組む / kumu. Il termine 手 / te, oltre al significato di mano/braccio, in ambito marziale assume il significato di “tecnica” e “abilità”. Perciò la parola 組手 / kumite può essere spiegata come il “collegare, mettere assieme liberamente le tecniche e le abilità” imparate durante lo svisceramento del kata. Il kumite diventa perciò la libera espressione del kata; nella terminologia scientifica corrisponde al processo della SINTESI.

LINGUA GIAPPONESE LINGUA ITALIANA LINGUAGGIO SCIENTIFICO
分解 / bunkai smontare per capire (il kata) analisi
組手 / kumite mettere assieme per applicare (il kata) sintesi

I kata hanno da sempre rappresentato i libri di testo del karateka, lo strumento didattico per eccellenza dei maestri di questa splendida arte marziale. Per studiarli e raggiungerli nel profondo diventa fondamentale sfatare alcuni miti e credenze consolidatisi nel tempo e, purtroppo, ritrasmessi in diverse scuole anche al giorno d’oggi. Ma per molti praticanti questo processo di “disintegrazione” potrebbe essere faticoso, poiché rischia di minare e mettere in discussione dogmi propinati e accettati ormai per fede; e non tutti sarebbero pronti e in grado di accettarlo.
Il concetto è espresso magistralmente in un’opera calligrafica che Funakoshi ha avuto l’onore di inserire in uno dei suoi libri [Vedi foto 4_Hatsuun_jindo].
L’opera recita 抜雲尋道 / Hatsuun Jindō, ossia “Disperdere le nuvole, cercare la via”. Fu realizzata da 床次竹二郎 / Tokonami Takejirō (1867-1935) per il primo libro di Funakoshi, Ryūkyū Kenpō: Karate, 1922 (da notare che Tokonami era ministro degli Affari Interni del Giappone quando Funakoshi arrivò a Tōkyō nella primavera del 1922).
Hatsuun Jindō è un proverbio sull’essere in grado di trovare la via dopo aver navigato e oltrepassato l’ambiguità (marziale, culturale, emotiva): si è davvero liberi di scandagliare e sondare (尋 / jin) la via (道 / dō) solo dopo aver dipanato (抜 / hatsu) le nuvole (雲 / un), cioè, solo dopo aver rimosso tutte le ambiguità, i miti e le false leggende che impediscono il nostro progresso nell’arte.

Non è mia intenzione esaltare né offendere alcuna scuola o praticante, piuttosto, spero che queste riflessioni possano aiutare ad accendere qualche lampadina e a instillare una sana curiosità nei lettori.
Voglio chiudere lanciando un ultimo mito da sfatare: hikite non serve a generare una maggiore potenza del colpo, ma assume un ruolo prepotentemente attivo e strategico nelle applicazioni dei kata.
Proficuo e sincero keiko a tutti.

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