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Divenire la migliore versione (marziale e non solo) di sé

Divenire la migliore versione (marziale e non solo) di sé

Un processo di crescita intenzionale, responsabile e creativo, dove non bisogna darsi per vinti se si vuole raggiungere quello a cui si aspira.

Qual è lo scopo nel praticare un’Arte Marziale come il Karate?
Senza dubbio stare e sentirsi bene grazie al fatto di fare movimento, condividere del tempo in buona compagnia, apprendere comportamenti utili anche al di fuori della palestra. Tutte cose sacrosante. Probabilmente per qualcuno, se non per tutti, anche la volontà di migliorarsi.
Al di là del miglioramento del gesto in sé, il praticante compie un percorso di sviluppo personale che procede lungo traiettorie circolari e concentriche. Ad ogni giro aumenta la consapevolezza sottile di sé e quella più materiale e corporea. Questa consapevolezza porta a eseguire i movimenti marziali con maggiore presenza e autodeterminazione, e questo produce uno stato di benessere sempre maggiore. Qualcuno potrebbe paragonarlo allo “stato di flusso” o di flow descritto dallo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi, qualcun’altro potrebbe parlare di esperienza eudaemonica [Nel linguaggio filosofico, la felicità intesa come scopo fondamentale della vita (secondo la dottrina dell’eudemonismo), Treccani. NdR].
Ecco che, quasi senza accorgersene, il praticante appassionato evolve, migliora, cresce, convergendo, più o meno velocemente, verso quella che è la migliore versione di sé. Questo processo non coinvolge solo l’aspetto marziale, ma allo stesso tempo interessa anche l’aspetto umano e personale.

Un percorso di sviluppo personale che procede lungo traiettorie circolari e concentriche.

Propensione umana all’autorealizzazione
Secondo la teoria dell’autorealizzazione, ognuno di noi ha in sé un potenziale intrinseco che può essere risvegliato e sviluppato al massimo. Si tratta di un processo di crescita simile a quello ricercato dal marzialista, ovvero: intenzionale, responsabile e creativo dove non bisogna darsi per vinti se si vuole raggiungere quello a cui si aspira.
Era il 1943 quando Abraham Maslow affermava che un musicista non può fare altro che musica, un pittore deve dipingere e uno scrittore è chiamato a scrivere se desidera essere felice e sentirsi bene. Secondo il padre della piramide dei bisogni umani, ogni persona custodisce nel proprio essere precise aspirazioni e un potenziale, rinnegare questo porta frustrazione e infelicità. “Le capacità pretendono di essere usate, e cessano di protestare soltanto quando sono usate bene. Vale a dire, le capacità sono anche bisogni. Non soltanto è divertente impiegare le nostre capacità; ciò è anche necessario, per poter crescere”.

Gli stessi concetti sono racchiusi nella Teoria della Ghianda dello psicologo James Hillman, il quale, nel decodificare la sua teoria, parte dal mito platonico di Er secondo cui la nostra anima prima di giungere sulla terra sceglie quale sarà il suo scopo nel mondo. Per realizzarlo, le verrà affiancato un daimon che avrà il compito di guidarla e indirizzarla verso quella che sarà l’espressione piena della sua vocazione.
La teoria dell’autorealizzazione afferma inoltre che esiste in noi una forza intrinseca che ci guida verso una meta.
Anche il già citato Mihály Csíkszentmihályi ci ricorda che questo processo di evoluzione è innato in noi e quando ci dedichiamo alla nostra passione lo spazio-tempo si deforma, assaporando nel contempo una condizione di benessere. “I momenti migliori della nostra vita non sono tempi passivi, ricettivi, rilassanti… I momenti migliori di solito si verificano se il corpo e la mente di una persona sono spinti ai loro limiti nello sforzo volontario di realizzare qualcosa di difficile e per cui ne valga la pena”.

Quando ci dedichiamo alla nostra passione lo spazio-tempo si deforma, assaporando nel contempo una condizione di benessere.

Martin Seligman e la ricerca di una vita piena di significato
Alcuni anni fa mi ha colpito la teoria di Martin Seligman, per cui la strada per la felicità passa attraverso il dare senso alla propria vita. Tesi simili si ritrovano spesso nelle antiche culture del Sud America, dell’Africa, della Cina, dell’India e anche in Europa. Se l’uomo, nei millenni e a ogni latitudine, si è dato questa risposta significa che si tratta di una domanda di senso.
Secondo Seligman si possono distinguere 3 tipologie di “vita felice”:
• Pleasant Life – Vita felice che deriva da emozioni positive.
• Questa dimensione è raggiunta quando impariamo ad assaporare e apprezzare i piaceri elementari come la compagnia, l’ambiente naturale e le necessità del nostro corpo. Gli americani la chiamano “felicità hollywoodiana”.

• Questa tipologia di felicità ha due inconvenienti:
• L’esperienza del provare emozioni positive è un tratto caratteriale ereditabile al 50% e non è modificabile.
• Le strategie che le persone possono mettere in atto per aumentare la quantità di emozioni positive nella loro vita permettono di incrementarne il livello solo del 15-20%.
In aggiunta, le emozioni positive generano assuefazione in tempi piuttosto rapidi.

• Good Life – Vita felice che deriva da esperienze ottimali.
• È raggiunta quando scopriamo le nostre attitudini, i nostri talenti e i nostri punti di forza caratterizzanti e li impieghiamo in modo efficace. 
In accordo con le recenti teorie sull’autostima (e con l’esperienza pratica di ognuno di noi), la vita è soddisfacente quando scopriamo e mettiamo a frutto il valore che è dentro noi stessi. Questa tipologia di vita felice chiama in causa il citato “stato di flusso”.
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• Meaningful Life – Vita felice piena di significato.
• In questa dimensione troviamo una profonda sensazione di realizzazione quando riusciamo a dare un senso alla nostra vita, impiegando i nostri talenti, risorse e punti di forza unici, in funzione di uno scopo superiore.

La genialità della teoria di Seligman è stata quella di unire due punti di vista sulla felicità che spesso sono in disaccordo: l’approccio individualista, che enfatizza quello che dovremmo fare per prenderci cura di noi stessi e valorizzare i nostri pregi, e quello altruista, che tende a minimizzare l’individualità ed enfatizzare il sacrificio per uno scopo più grande.
Mentre la Pleasant Life può portare a provare emozioni e sensazioni positive, per incoraggiare una felicità più profonda e duratura (Meaningful Life), è importante esplorare lo scopo e il significato vero della vita, mettendo un nostro punto di forza e lo sviluppo di una nostra virtù al servizio di un progetto più grande rispetto a quello personale.

In sintesi, investire tempo ed energie per migliorare nella direzione di qualcosa che ci piace facendo qualcosa di utile per noi e per gli altri, non solo ci avvicina alla migliore versione di noi stessi, ma ci avvicina anche a un’esistenza pienamente felice.
“L’unica cosa che importa è l’autorealizzazione. Significa sapere chi sei al di là dell’Io superficiale; al di là del tuo nome, del tuo aspetto fisico, della tua storia personale, del tuo passato.” (Eckhart Tolle)
Del tema dell’autorealizzazione parlo all’interno del mio libro La Spirale dell’Autorealizzazione, attualmente in prevendita nella versione cartacea ed e-book.

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