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Giovanni Ciorlano – Il karateka senza dojo

Istruttore fikta che pratica anche calisthenics per rendere più forte il proprio karate “all’aperto”.

Giovanni Ciorlano non è un atleta, né un maestro, ma è un bell’esempio di karateka e capirete presto perché. Per questo è piuttosto popolare su Instagram, grazie anche a scatti azzeccati e spesso di notevole valore estetico. 

A 12 anni ero vittima di un bullismo sciocco, avevo paura degli stupidi scherzi quotidiani dei miei compagni. Non reagivo mai.— Giovanni Ciorlano

Domanda scontata: come e quando sei arrivato a praticare il karate? Qualcuno ti ha incoraggiato a farlo?
A 12 anni ero vittima di un bullismo sciocco, avevo paura degli stupidi scherzi quotidiani dei miei compagni. Non reagivo mai. Mio padre non mi consentì di piangermi addosso. Con estrema severità, quella mattina in cui esplosi in lacrime rifiutandomi di andare a scuola, oltre a farmi un discorso serio sulla necessità di crearsi un carattere forte, che non cedesse alle prepotenze né sconfinasse nella violenza, mi disse: “Stasera ti porto da Felice e inizi a fare karate! Ora vai a scuola!”. Gli obbedii. Ricordo che sono passati circa vent’anni da quel giorno.

Contemporaneamente praticavi altri sport?
Giocavo a calcio da un paio d’anni, ma mi annoiavo e non ero neanche molto bravo. Nuoto e windsurf d’estate, solo come passatempo.

Anche tu hai subito il fascino di qualche interprete di film di arti marziali? C’è un film che ti ha colpito rispetto agli altri per qualche motivo ?
I film di arti marziali mi facevano impazzire e sono stati uno stimolo a sviluppare di più le mie capacità.
I miei miti di quell’età erano Bruce Lee e Jackie Chan e, a dire il vero, ancora oggi! Amo tutti i loro film. Quando ero piccolo Internet non c’era ancora e, dato che vivevo in un paesino sperduto nelle campagne dell’alto casertano, per me era difficile perfino procurarmi i film in cassetta. Così, aspettavo sempre con impazienza che in tivù mandassero in onda film di arti marziali. L’altra cosa che potevo fare era comprare tutti i libri di arti marziali che riuscivo a trovare, attraverso i cataloghi che spesso arrivavano per posta, e divorarli dalla prima all’ultima pagina.

Nel karate hai scelto il kata e non il kumite. Come mai? Quale stile preferisci? C’è un kata che senti più tuo o che ti riesce meglio?
Pratico lo Shotokan, perché è lo stile del mio primo Maestro Felice Di Muccio. Con lui, grande amico di mio padre, ho praticato nel garage di casa sua da solo e da “clandestino”, ovvero quasi nessuno dei miei amici ne era a conoscenza. Per 13 anni: kata, kihon e kumite, senza tralasciare nulla.
Il kumite libera molto di più la mia parte istintuale, tanto che a volte provo un po’ di paura, mi sento strano quando lo pratico. Così, sul mio profilo Instagram ho scelto di mostrare solo il kata, perché è un combattimento con se stessi, con le proprie debolezze, i propri limiti, senza violenze. Il kata che preferisco è il Kankudai, trovo sia il più duro e difficile da dominare. 

Hai optato per il karate tradizionale del Maestro Shirai, cosa condividi della sua visione? Oltre a Shirai, ci sono altri Maestri di cui ti è caro il ricordo?
Condivido tutto, altrimenti avrei cambiato strada subito! Tutto quello che il mio primo maestro mi ha insegnato è conforme alla dottrina del Maestro Hiroshi Shirai; anche se Felice Di Muccio si era formato in Germania, alla scuola del Maestro Hideo Ochi e di Peter Betz. Quando gli espressi l’intenzione di iscrivermi a un dojo per ottenere la cintura nera e diventare maestro a mia volta, mi indirizzò a dojo ispirati al M° Shirai. Così sarei rimasto fedele a ciò che avevo imparato da lui.
Scoprii che il dojo più vicino era lo Studio Sport di Cassino. Lì conobbi il Maestro Pietro Savelloni, che poi seguii nel suo dojo Gymnasium C.S.K.S. Ferentino. Verso il Maestro Pietro nutro profondo rispetto e non solo perché mi ha introdotto e condotto nel mondo Fikta, trasmettendomi la sua devozione per il M° Shirai e i suoi insegnamenti. È specialmente grazie a lui che oggi sono un istruttore di karate Fikta.

Sei mai stato agonista, hai mai gareggiato? Cosa ti ha spinto a rinunciare?
Vero e proprio agonista, no. Ho partecipato a qualche competizione Fikta con scarsi risultati. Le gare possono essere divertenti, possono aiutare la formazione del carattere, lo riconosco, ma io non mi considero un atleta di karate, ma un karateka. Inoltre, non riesco – per formazione culturale – a combattere “per finta” come avviene nei tornei di kumite. A questo punto, in coerenza con le mie convinzioni non violente, meglio il kata.
Per il resto, il mondo WKF mi incuriosisce per la spettacolarità che si è creata attorno agli eventi di Premiere League.

Passiamo a una breve panoramica sulla ginnastica calistenica, che è l’altro tuo interesse sportivo forte. Puoi spiegarci in poche parole cos’è, come funziona, i benefici che apporta?
Utilizzo la definizione calisthenica perché oggi è identificato così quel che mio padre e il mio primo maestro di Karate mi hanno insegnato, a partire da più di 20 anni fa, come forma di rafforzamento e condizionamento delle abilità fisiche. Il mio allenamento nel calisthenics è finalizzato a rendere più forte il mio karate e ho potuto constatarne la grande utilità in tal senso. Gli esercizi callistenici di solito non abbisognano di specifiche attrezzature per allenarsi, a eccezione di sbarre e parallele ed eventualmente di pesi per aumentare il carico. È stato soprattutto mio padre a insegnarmi come allenarmi, ovunque, se non si hanno a disposizione altri mezzi o un posto specifico. E ho trasposto questo principio nel karate; altrimenti, vivendo lontano dai dojo Fikta, avrei dovuto rinunciarvi. Non importa il posto e non importa l’ora. Ciò che importa è coltivare le proprie passioni, anche se costano sacrifici. Sono parole di mio padre, che ho ben fatte mie.

Le gare possono essere divertenti, possono aiutare la formazione del carattere, lo riconosco, ma io non mi considero un atleta di karate, ma un karateka.— Giovanni Ciorlano

Parliamo di ciò che incuriosisce coloro che ti conoscono attraverso Instagram: sei un atleta che non ha la possibilità di allenarsi in palestra, perciò ti alleni fuori, con qualsiasi condizione climatica. L’idea è nata per pura necessità? Nei tuoi allenamenti all’aria aperta sei sempre solo o sei riuscito a coinvolgere qualcuno? Come si svolge una tua ‘giornata tipo’?
Più che idea, è quel che ho sempre fatto e il tutto è stato dettato dalla necessità, semplicemente ho riportato su Instagram parte di quello che sono.
I miei allenamenti più estremi li lascio al fine settimana, quando sono più libero, e li porto avanti rigorosamente da solo, perché posso prendermi la responsabilità della mia persona, non di quella degli altri. Spesso mi sottopongo a condizioni dolorose e lo faccio perché solo allenando la mente a sopportare il dolore posso averne maggiormente il controllo. Non è masochismo, semplicemente voglia di imparare a controllare me stesso. Fortunatamente, quando le condizioni climatiche non sono proprio pessime, diverse volte viene con me la mia ragazza, Antonella. Lei mi sostiene in tutto ciò che faccio. È lei che mi scatta le foto col cellulare o gira qualche video (santa donna!). Altrimenti mi organizzo con l’autoscatto, smartphone e un cavalletto. Per le inquadrature cerco di mettere in pratica i consigli di un mio amico e per il resto mi baso sul mio gusto personale.
Nelle ultime settimane ho filmato e fatto foto durante allenamenti che definirei al limite dell’umana sopportazione. Ho provato ad allenarmi scalzo a zero gradi sull’erba ghiacciata; confesso che senza scarpe ho resistito a mala pena 5 minuti e poi ho dovuto indossarle per continuare. In quegli istanti il dolore era così forte da annebbiare la mente e farmi perdere totalmente la concentrazione, mentre eseguivo il Bassai Sho. Mi sono anche allenato in una tormenta di neve per mezz’ora. 

Durante le riprese e gli allenamenti utilizzi della musica, come è abitudine di parecchi atleti?
Amo molto la musica, tanto che suono la chitarra elettrica. Mi piace avere la sua compagnia in sottofondo se mi esercito col calisthenics. Quando pratico karate no, devo essere solo con me stesso.

Il tuo rapporto con i follower e con gli altri utenti Instagram?
Ho preso l’abitudine di mettere un solo post a settimana, il lunedì mattina, dato che negli ultimi mesi moltissime persone hanno lasciato il loro commento ai post, o scritto messaggi nella chat di Instagram. Rispondere a tutti in tempo reale è impossibile: tra il lavoro, lo studio del diritto – sono un praticante avvocato, ho appena sostenuto l’esame di abilitazione alla professione – e gli allenamenti, non posso certo distrarmi con lo smartphone… Nei ritagli di tempo rispondo a tutti e a volte mi ci vogliono giorni. È il rispetto che devo a chi mi sostiene nell’avventura di Instagram. Non mi aspettavo di attirare l’attenzione di così tanta gente; però è una cosa che mi fa piacere e mi rincuora. Sapere che c’è qualcuno per cui fungo da motivazione è un piccolo incentivo in più a continuare.

Che tipo di difficoltà hai incontrato nel corso degli anni nella pratica della tua disciplina preferita? Ti ha imposto rinunce o sacrifici particolari? Come riesci a conciliare il lavoro e gli altri tuoi impegni con il karate?
Rispondere a questa domanda non è facile.
Innumerevoli sono le difficoltà dal punto di vista fisico, per via di una salute non troppo resistente e di problemi fisici che sto ancora oggi cercando di superare, causati da incidenti.
Poi ci sono quelle logistiche, derivanti dal fatto che, quando decisi di iscrivermi al dojo del Maestro Savelloni, dovevo percorrere più di 100 km di distanza per poterlo raggiungere. Agli inizi ho viaggiato in treno, poi con l’auto. Per questo ringrazio con tutto il cuore i miei genitori che mi hanno consentito di portare avanti la mia passione, garantendomi il sostegno economico necessario quando ancora non lavoravo.
Anche diventare istruttore Fikta non è stato per nulla facile. Il corso è stato molto impegnativo, sia in termini di tempo sia economici, e per finirlo ho dovuto rinunciare al “superfluo”. Ma ne è valsa la pena, sono contento di averlo fatto.
I miei allenamenti più duri li concentro nel fine settimana. Durante la settimana, lavorando tutto il giorno a Napoli, mi alleno la sera quando torno, nel mio garage o nel giardino di casa, e questo è il bello di vivere in una zona rurale. Molte sere riesco a malapena a mangiare, dopodiché crollo esausto a letto. Ma così mi sento completo e mi sta bene.

Non importa il posto e non importa l’ora. Ciò che importa è coltivare le proprie passioni, anche se costano sacrifici.— Giovanni Ciorlano

Il tuo progetto più ambizioso, il tuo sogno più grande legato al karate e il tuo rimpianto?
Vorrei costruire una famiglia con la mia ragazza, e un dojo tutto mio. Rimpianti? Sto cercando di fare del mio meglio per non averne.

Per concludere: a chi consiglieresti la pratica del karate e perché?
Consiglio a tutti di praticare il karate, come qualsiasi altra arte marziale.
Quasi ogni arte marziale è fondata su regole sacre di rispetto del prossimo, per questo si addicono a chiunque. E poi, a qualsiasi età è possibile cercare di migliorarsi e imparare a capire se stessi, fin nel profondo.

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