Il primo libro di Carlo Rocco – Si può giudicare, ma con sincerità, rispetto e autocontrollo… proprio quello che viene richiesto a un praticante di KarateDo
L’opera nasce da un viaggio dell’autore in Terra Santa. Presenta un’analisi oggettiva del panorama e dei luoghi visitati, senza pregiudizi e prese di posizione, lasciandosi invece trasportare da suoni, colori e sapori del posto.
Carlo Rocco rivive i paesaggi storici con profonda sensibilità, capace di metterli in relazione anche al proprio vissuto.
Non giudicare, Edizioni Book Sprint, è il risultato di un intreccio di conoscenze storiche, geografiche, politiche e religiose, ma soprattutto della capacità di osservazione, che cerca di’immergersi in quella cultura contrastante, immedesimandosi nelle persone che sono vissute o tuttora vivono in quei luoghi.
Perché ho scritto un libro e perché con questo titolo?
Un libro, perché ho sentito una spinta interiore fortissima che mi diceva di farlo, il perché del titolo è molto semplice: spesso e volentieri si è portati a giudicare, troppo spesso per invidia e senza conoscere neanche l’argomento.
Il tutto è nato da un viaggio in Terra Santa nel quale, sicuramente favorito dalle circostanze, ho iniziato a scrivere un diario giornaliero dal quale ho poi ricavato il mio libro.
Sono sempre stato un ricercatore, ho cercato sempre di approfondire ogni situazione che la vita mi ha presentato.
Le fonti di questo libro quindi sono i miei studi di diversi decenni sia a livello teorico sia a livello pratico, non c’è quindi una bibliografia dalla quale ho estrapolato delle notizie, anzi, per meglio dire, l’unico testo usato è la Bibbia, soprattutto i Vangeli.
Mi ha quindi attratto in modo particolare collegare i luoghi che ho visto alle mie conoscenze, ma soprattutto far conoscere ai lettori un pezzo di mondo dove non si riesce a trovare un equilibrio che possa garantire una vita dignitosa alle popolazioni che vi abitano.
La traccia seguita è quella della vita di Gesù Cristo, con i vari personaggi con i quali ha vissuto gli ultimi suoi tre anni di vita e, paradosso dei paradossi, giudicato e condannato da coloro che detenevano il potere, per crimini mai commessi. Fatto che da quei giorni a oggi si è ripetuto tantissime volte, perché, a quanto pare, l’uomo non ha ancora capito come vivere in pace con se stesso e con gli altri.
Il titolo può risultare abbastanza strano, ma lo è ancora di più per un praticante di karate do tradizionale che, in diverse circostanze, è chiamato a giudicare, come quando arbitra (in campo nazionale o internazionale) o è in commissione durante gli esami di cintura, di Dan e di futuri arbitri.
In realtà il “giudicare” del mio libro è un giudicare diverso, che aspira a non esprimere un parere con pregiudizio, o un parere condizionato da antipatia o simpatia oppure addirittura viziato da mero calcolo, per un qualche guadagno.
Allora viene facile pensare nelle due circostanze sopra citate, legate all’arbitraggio o agli esami, come non partire a priori “premiando” colui che è famoso o amico, oppure chi potrebbe portare del tornaconto e, all’opposto, “non premiando” invece chi non è famoso o chi non è un amico, oppure chi non potrebbe “risultare utile” a posteriori.
Quindi, il mio non giudicare non coincide col non esprimere il proprio parere o giudizio, quando lo richiede il ruolo o mansione che si sta ricoprendo, ma nel farlo nel modo più corretto possibile.
E questo esige: sincerità, rispetto e autocontrollo… proprio quello che viene richiesto a un praticante di karate do.