728 x 90

Seminario con Vinicio Antony Sensei – L’efficacia del karatejutsu

Da sinistra: Rocco, Matteo (io), il M° Vinicio Antony, Daniele, Alberto, Nicolò, Emanuele.

6° Dan Shōtōkan, 4° Dan Jūjutsu, istruttore di Kickboxing e Muay Thai, main coach MMA di Lyoto Machida.

Sabato 18 e domenica 19 giugno 2022 ho avuto la fortuna di partecipare a un seminario di Karatejutsu con Vinicio Antony Sensei. Il maestro in questione non ha bisogno di presentazioni, ma per chi non lo conoscesse, il suo curriculum parla chiaro: 6° Dan di Karate Shōtōkan, 4° Dan di Jūjutsu, istruttore di Kickboxing e Muay Thai ed è stato il main coach del Karateka di maggior successo nelle MMA, parliamo di Lyoto “The Dragon” Machida.
I pensieri sono tanti, poiché sono stati due giorni di pratica intensa ed entusiasmante. Ho rincontrato vecchie amicizie marziali e fatto la conoscenza di nuovi Karateka, senza dimenticare il piacere di rivedere i nostri ospiti Emanuele Gloder e Beatriz Faria.
Prima di tutto vorrei ringraziare Emanuele Gloder Sensei, per aver organizzato il seminario e averci accolto nello splendido centro sportivo di Via Quarello (Torino): un posto, quest’ultimo, dove si respira energia marziale già al primo sguardo e alla prima “nasata”. Senza dubbio l’equivalente moderno della città antica dove si allenava Jean-Claude Van Damme nel film “Kickboxer – Il nuovo guerriero”.

Connessione al suolo, attivazione del core, mantenimento posturale, compressione ed espansione, simultaneità, tame.

Senza perdere alcun tempo, in attesa che nel pomeriggio arrivasse Vinicio Antony Sensei, Emanuele ci ha proposto tre ore di pratica già sabato mattina sotto la sua guida, permettendo a coloro già arrivati a Torino di scaldare i motori. Dopo un breve riscaldamento Emanuele ci ha introdotto ai 6 pilastri, codificati da Vinicio Antony Sensei, che caratterizzano ogni tecnica di Karatejutsu, sia essa un atemi, una proiezione o una tecnica a terra: connessione al suolo, attivazione del core, mantenimento posturale, compressione ed espansione, simultaneità, tame.
Siamo poi passati a studiare qualche tecnica di proiezione, in particolare il Morote Gari e l’Ippon Seoi Nage (essì, perché nel Karate le proiezioni ci sono eccome; ad esempio, queste due tecniche sono descritte e mostrate anche da Gichin Funakoshi nei suoi scritti, soltanto con nomi diversi).
Per quanto riguarda il morote gari, si sono studiate le varianti con ginocchio a terra (tipica delle MMA) e quella classica da in piedi, ponendo l’accento sull’uso attivo della testa per rinforzare la tecnica. Per concludere si è praticato una possibile difesa tramite sprawl. Riguardo l’ippon seoi nage, si è posto l’accento sulla necessità di un kuzushi iniziale per ottimizzare l’esecuzione ed è stato chiaro sin da subito il collegamento con un passaggio tipico del kata Heian Godan.
Infine, la mattinata si è conclusa con lo studio del knee ride, di come gestirne il controllo posizionale e di come assumere in maniera efficace questa postura partendo dalla side mount. Tanto materiale insomma.

Pausa pranzo, poi subito in palestra… con Vinicio Antony Sensei! L’incontro con lui è sempre un’emozione, il suo carisma è secondo solo alla sua semplicità, che si manifesta nei modi d’insegnamento rigorosi, ma gentili, sempre accompagnati da un sorriso. La sua tecnica è formidabile, vederlo in azione è uno splendore per gli occhi e un’ispirazione per la mente.
La lezione è partita con un riscaldamento in cui si sono alternati esercizi per l’attivazione del core addominale, la schiena e le gambe con esercizi di mobilità articolare. Ma veniamo alla parte marziale.
La sezione più corposa della lezione è stata dedicata al bunkai del kata Heian Nidan. Prima di riportare nel dettaglio le sequenze lavorate, vorrei sottolineare ciò che il maestro ha detto prima di iniziare, che suona più o meno così:
In ogni sport, l’atleta sa esattamente cosa deve fare e in base a questo si allena di conseguenza per migliorarsi. Ad esempio, al giocatore di basket viene data una palla e sa che in partita deve infilarla dentro al canestro. Ma un karateka spesso non sa che fare con la miriade di tecniche che si ritrova nei kata. E quindi esegue sequenze a vuoto senza che gli servano a niente nel kumite che pratica di solito. Se gli chiedi a cosa serve questo (qui il maestro esegue un manji uke), magari abbozza due parole dicendo ‘questo braccio fa una parata e l’altro si prepara’ o cose di questo genere. Non è possibile, e non deve succedere, che un karateka non sappia cosa stia facendo“.

La sua tecnica è formidabile, vederlo in azione è uno splendore per gli occhi e un’ispirazione per la mente.

Detto questo, siamo passati a lavorare le seguenti sottosequenze del kata:

  • i primi tre movimenti di apertura: tecnica di cover and crash (che il maestro ricorda come tipica della Muay Boran, sottolineando le influenze asiatiche all’interno del Karate). Qui il maestro ha posto sul piatto un altro ingrediente fondamentale: l’importanza di mantenere una renzoku waza (tecnica continuativa), poiché l’esprimere kime a ogni tecnica equivale a rallentare e bloccare la sequenza di attacco, lasciando di conseguenza campo libero all’azione dell’avversario;
  • koshi gamae, mae geri e uraken: ricezione di un mawashi geri, sbilanciamento e colpo ai genitali e/o alla tempia. Chiusura tramite proiezione, e controllo in knee ride;
  • la sequenza degli shutō uke: shutō uke come tecnica di framing partendo da una situazione di bear hug (abbraccio dell’orso) da sotto le braccia, contro un muro. Il maestro ha posto l’attenzione sulla postura e sull’espansione del petto (vedi i 6 pilastri del Karatejutsu) nella fase di liberazione, nonché sul mantenimento di un angolo di 90° del gomito (e sull’uso attivo di quest’ultimo come tecnica ripercussiva da quella posizione, usando la connessione a terra per scaricare un colpo vibrato sul collo dell’avversario);
  • il nukite come preparazione di un morote seoi nage;
  • uchi uke, mae geri, gyaku zuki, morote uke: il maestro ha sottolineato il fatto che l’ultimo movimento è in realtà una tecnica di proiezione.

La lezione si è conclusa con lo studio del tobi zuki (superman punch), in due varianti (oi e gyaku): si sono svolti una serie di propedeutici al movimento di base, per sviluppare poi un esercizio a coppie. A fine lezione, parlando col maestro, è venuto fuori che la stessa dinamica di movimento compare nell’ultimo movimento del kata Hangetsu.

Domenica mattina abbiamo affrontato il bunkai di qualche sequenza del kata Kanku Dai. Riscaldamento e poi subito lavoro a coppie.

  • Il movimento di apertura fino ai primi due shutō uke: riprendendo il concetto dello shutō uke sviluppato il giorno prima, questa sequenza è stata interpretata come un divincolamento da un bear hug da sotto le braccia, seguito dall’interruzione di un tentativo di morote gari per chiudere infine con lo shutō uke.
  • Il “salto” con le braccia in posizione di morote uke: dal clinch si sferra un ude uchi, hiza geri e chiusura in morote gari (o variante in single leg takedown).
  • Dal kibadachi (nel punto dopo aver eseguito il koshi gamae sinistro e fatto gedan barai destro), rotazione in avanzamento fino al juji uke gedan (sempre in kibadachi): il maestro ci ha fatto praticare questa sequenza come liberazione da un gyaku ude garami (kimura) e successiva proiezione dell’avversario (e chiusura in juji jime).

Non è possibile, e non deve succedere, che un karateka non sappia cosa stia facendo.— M° Vinicio Antony

Il seminario si è concluso con Vinicio Antony Sensei che ci ha ricordato come il Karate si sia trasformato da disciplina per l’auto-difesa e auto-protezione in uno sport competitivo vero e proprio, passando da una fase in cui è stato anche uno strumento di educazione fisica per ragazzi e giovani coscritti. In questi passaggi l’arte del Karate ha subito pesanti amputazioni al suo vasto curriculum tecnico, che per fortuna sopravvive però all’interno dei kata, che ne sono un registro trasmesso “da corpo a corpo”, da maestro ad allievo (e non da Facebook a Youtube). Per questo è fondamentale studiare i kata, sviscerandone le tematiche tattiche e applicative assieme a un compagno, e non su un tatami davanti a un giudice di gara.
Il maestro ci ha infine salutato, ci si dirige negli spogliatoi, doccia e poi di nuovo in albergo. Ripongo con cura e soddisfazione la maglietta “Karate Jutsu 2022” rossa (è bellissima!) nella valigia.

Ti potrebbe interessare anche:

Articoli recenti

I più letti

Top Autori