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Per Manuel Giuge la soluzione c’è

Il cambiamento non è automatico, bisogna “lavorarci” e trovare gli stimoli giusti, come succede con lo sport.

Un sorriso e un’espressione serena sempre stampati sul volto, sono il biglietto da visita di Manuel Giuge, la cui disabilità non gli impedisce di impegnarsi in mille attività.
Lo abbiamo incontrato allo stage con Luigi Busà, organizzato alla Polisportiva Terraglio di Mestre (VE) il 4 maggio 2022.

La prima domanda è d’obbligo: da quanto pratichi karate?
Sono quasi due anni che ho ripreso il karate, perché avevo iniziato verso i sei anni, praticandolo per diverso tempo poi, a causa della malattia, verso gli undici anni ho dovuto smettere e così è successo anche per altri sport.
Più o meno cinque anni fa, ora ne ho trentacinque, non riuscii più a camminare bene, a fare le scale, a sollevare pesi e ad avere poco equilibrio… fu così che mi ritrovai su una sedia a rotelle e pensai che fosse la “fine del mondo”. 

… fu così che mi ritrovai su una sedia a rotelle e pensai che fosse la “fine del mondo”. — Manuel Giuge

Qual è la tua malattia?
È una malattia genetica, la distrofia dei cingoli, che colpisce in particolare i muscoli degli arti rendendoli progressivamente sempre meno potenti finché diventano quasi inutilizzabili. Pian piano ho dovuto mollare le mie attività, io sono un amante di sport e di viaggi.
A trent’anni, per festeggiare il fatto di riuscire ancora per poco a camminare, sono andato da solo fino a Capo Nord in auto. Un viaggio bellissimo, un’avventura, anche se ho dovuto dormire in macchina un paio di volte. È stato impegnativo, perché, soprattutto nell’estremo nord, gli alberghi non erano sempre accessibili per me. 

A questa si sono aggiunte altre imprese?
Sono andato in sedia a rotelle, aiutata da un ausilio elettrico, da Venezia a Roma in otto giorni, facendo circa 120 chilometri al giorno a 16 chilometri orari, per cui viaggiavo per circa dodici ore al giorno. È stata un’altra bella esperienza.
All’epoca conobbi anche Sauro Corò, l’allenatore dei Black Lions Venezia, una squadra di hockey in carrozzina elettrica. È uno sport che allora non conoscevo, ma lui mi chiese di provare e così iniziai, entrando nel giro delle attività della Polisportiva Terraglio. Con la squadra abbiamo vinto tre scudetti.
Poi, quest’anno inizierò anche a giocare a calcio.
Inoltre, Sauro mi mise in contatto con Roberto Ronchini, maestro di karate nella Polisportiva, il quale aveva l’idea di avviare anche il parakarate e, sapendo che io lo avevo praticato, mi chiese se ero interessato.
Da lì si aprì un altro mondo. Decidemmo di iniziare questo progetto di inclusione, che non è solo parakarate, dato che ci alleniamo anche con ragazzi normodotati, e siamo già in sei, sette praticanti. Io sono cintura marrone, perché mi hanno riconosciuto il grado di blu a cui ero arrivato da ragazzo.
L’anno scorso Roberto mi iscrisse anche al Campionato italiano Fijlkam al Palapellicone di Ostia, dove mi qualificai al secondo posto. Quest’anno ne organizzeranno un altro in Autunno e l’obiettivo è di fare ancora meglio!

Ci sono differenze tra il karate e gli altri sport che pratichi?
Rispetto agli altri sport che pratico il karate in sedia a rotelle è fisicamente molto più duro, perché nel calcio e nell’hockey la carrozzina è elettrica e, in sostanza, si tratta di guidare bene con il joystick. Mentre sul tatami, soprattutto per me che ho poca forza nelle braccia, spingermi è molto più difficile. Comunque, ho trovato una carrozzina più agevole con cui non rischio di cadere e riesco a eseguire i kata.
Sono contento di questo progetto di parakarate iniziato con Francesca Reale e Roberto, che mi colpisce molto perché sono arrivati tanti atleti con disabilità diverse, per cui dobbiamo trovare il modo di adattare la pratica a ogni caso e tirare fuori i punti di forza di ciascuno, anche a livello mentale. Questo aiuta molto anche come possibilità di sfogo, perché alla fine, come tutti gli sport, è anche un modo per scaricarsi, cosa non sempre facile per un disabile. Spesso, ci si tiene tutto dentro arrivando facilmente anche alla depressione, mentre lo sport diventa una terapia. Praticare un’attività sportiva ti “costringe” a uscire di casa, a stare con altri.
Io sono invitato spesso a parlare nelle scuole, con progetti del Comune di Venezia, e noto che avere un impegno, per esempio per un bambino disabile di dieci anni, che distolga dalla play station con qualche ora settimanale in palestra aiuta e fa “crescere”, non solo lui, ma anche i genitori e tutta la famiglia, che vedono spesso risultati e miglioramenti nel figlio.
Troppo spesso in ambiti come quello scolastico, si pensa che gestire la disabilità sia complicato, che comporti solo problemi, invece noi siamo l’esempio che i risultati arrivano, assieme ai sorrisi dei partecipanti.

Lo sport diventa una terapia. Praticare un’attività sportiva ti “costringe” a uscire di casa, a stare con altri.— Manuel Giuge

Che cosa significa avere invitato allo stage il campione olimpico Luigi Busà?
Organizzare esperienze come quella di oggi sono la “ciliegina sulla torta”, io non vedo l’ora di incontrarlo e di fargli un sacco di domande! L’idea di invitare Luigi Busà è per far vedere che i “numeri” nel parakarate ci sono, basta vedere oggi che siamo quasi in quaranta e solo dei dintorni. Quindi, c’è la possibilità di offrire questa opportunità a tanti ragazzi.
Soprattutto i genitori vivono con molta positività l’approccio allo sport dei figli con disabilità e noi speriamo di essere il primo scalino per costruire qualcosa di utile, per avere giornate belle come queste.E chissà che non mi stimoli a pensare alle Paralimpiadi. Le persone sono attratte da questi atleti paralimpici, perché è normale chiedersi “ma come fanno?”. Sono sportivi che, per esempio, hanno già superato il problema di “essere guardati” in un certo modo e hanno tanto da insegnare a chi ha gli stessi problemi.

Qual è l’obiettivo della tua associazione?
Andare a parlare nelle scuole con la mia associazione “Manuel la soluzione c’è”, ha l’obiettivo di far vedere che c’è sempre una soluzione.
Io, oltre agli sport citati, ho provato lo sci, faccio immersioni, paracadutismo, parapendio, canoa ecc. e se qualcuno fosse interessato a cimentarsi io posso fornire le informazione utili per approcciare questi sport. Facebook può essere controverso, ma ha contribuito a rimpicciolire il mondo e ha dato la possibilità di comunicare con i messaggi in modo diretto, perciò io mi metto a disposizione.
Non bisogna darsi dei limiti! 

Che cosa ti ha dato l’input per realizzare tutte queste attività?
Ho visto un docufilm su Sammy Basso, Il viaggio di Sammy, il quale, pur essendo affetto da progenia, ha girato gli Stati Uniti e il suo esempio mi ha molto colpito.
Un anno dopo il viaggio a Capo Nord, feci anche il giro di tutta l’Italia, sempre in auto da solo, dal monte Bianco all’Etna e Sardegna, fermandomi a parlare in diverse associazioni sportive.

Riesci ad avere dei sostegni per così tante attività?
Si è creato un piccolo gruppo che mi aiuta, ma tutte queste iniziative sarebbero impossibili da realizzare senza i volontari. Ciò non toglie che avremmo sempre bisogno di sponsor.
A fine maggio 2022, con altri cinque ragazzi da tutta Italia, abbiamo in progetto di fare il giro dell’Emilia Romagna in carrozzina in una settimana, con tappa finale a Monte Catone. Qui c’è una clinica specializzata nella riabilitazione dopo gravi incidenti, dove vorremmo incontrare i pazienti proprio per sostenerli moralmente, con il messaggio che non tutto è perduto.
In queste situazioni è normale pensare che la vita sia finita, è successo anche a me. Nonostante adesso mi si veda che sorrido sempre, ciò non toglie che prima ci siano stati anni di lacrime. Il cambiamento non è automatico, bisogna “lavorarci” e trovare gli stimoli giusti, come succede con lo sport che propone degli obiettivi e nuove realtà.

Le persone sono attratte da questi atleti paralimpici, perché è normale chiedersi “ma come fanno?”— Manuel Giuge

Che cosa consiglieresti a un’associazione di karate che volesse includere delle persone con disabilità differenti?
Innanzitutto passione e pazienza, perché molto spesso si creano delle aspettative diverse dalla realtà che può affrontare un disabile, mentre bisogna creare un allenamento specifico per quella persona: per esempio, io sono in carrozzina, ma un mio compagno fa karate in ginocchio, perciò si devono adattare gli allenamenti. Questi, inoltre, si possono fare assieme ai normodotati, infatti io pratico a rotazione kumite con loro ed è molto bello; gli allenamenti cosiddetti “misti” sono utili anche per l’avversario, lo arricchiscono.
Viceversa, i kata li alleniamo a parte proprio perché sono totalmente diversi e da adattare alle singole situazioni.
Il parakarate, secondo me, in Italia è ancora agli inizi e non c’è alcunché di codificato, l’esperienza è tutta da creare.
Per i kata che stiamo adattando a chi è in carrozzina, abbiamo in progetto di fare dei video che poi metteremo in rete, proprio per aiutare i maestri che volessero approcciare questo mondo, realizzando una piccola base da cui partire.

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