La ripetizione come iniziazione
Di Luigi Zoia
Karate
Sul tatami ci sono giorni che sembrano infiniti.
Ti trovi a ripetere lo stesso movimento centinaia di volte: un pugno diretto, un calcio, una parata.
All’inizio ti concentri: controlli l’allineamento, regoli la postura, coordini il respiro.
Ogni muscolo è in tensione, ogni dettaglio richiede attenzione.
Poi, lentamente, la mente si ribella.
Comincia a protestare: “Basta, lo so già fare. Perché continuare?”.
È in quel momento che, per molti, l’allenamento finisce.
Ma se non cedi, se resti dentro quella ripetizione che sembra sterile, succede qualcosa di inaspettato.
Il gesto comincia a cambiare qualità.
Non sei più tu a controllarlo: è il gesto che prende vita da solo.
Il pugno non è più un colpo, è respiro.
La parata non è più difesa, è ascolto.
Il calcio non è più sforzo, è leggerezza.
Il corpo entra in un ritmo che non appartiene più alla volontà cosciente, ma a una parte più profonda, antica.
E allora il Karate smette di essere solo tecnica e diventa meditazione in movimento, via interiore.
Allora il Karate smette di essere solo tecnica e diventa meditazione in movimento.
Ricordo giornate in cui la ripetizione era talmente estenuante che non sentivo più le braccia.
Eppure, proprio lì, in quella fatica, scoprivo un nuovo stato: non c’era più la lotta per “fare bene”, c’era solo presenza.
La ripetizione, se accettata fino in fondo, diventa una soglia: non accumuli più movimenti, ma scopri un nuovo modo di esistere nel movimento.
Vita
Anche la vita quotidiana è piena di ripetizioni.
Sveglia, colazione, lavoro, telefonate, gesti che conosciamo a memoria.
La maggior parte delle volte li viviamo in automatico, pensando ad altro, aspettando che “finiscano” per passare a ciò che conta davvero.
Eppure, se porti presenza in quelle azioni, anche le più banali possono trasformarsi.
Preparare il caffè non è solo una routine: è ascoltare l’acqua che bolle, sentire l’aroma che si diffonde, respirare la calma di un rito semplice.
Guidare nel traffico non è solo spostarsi: è allenare la pazienza, osservare la mente che si agita, trovare respiro nel caos.
Una riunione non è solo obbligo: è occasione di ascolto, di osservare i dettagli, di imparare a stare lucido sotto pressione.
La ripetizione, nella vita come nel dojo, può essere un anestetico che ti spegne o un varco che ti sveglia.
La differenza non sta nei gesti in sé, ma nello sguardo con cui li attraversi.
Il punto non è fare sempre meglio, ma lasciarti trasformare da ciò che fai.
Integrazione
Allenare la ripetizione è imparare a stare quando la mente vorrebbe scappare.
È restare presenti nella fatica, nella noia, nella mancanza di novità.
Sul tatami, la ripetizione ti porta oltre l’ego che vuole sempre cambiare, migliorare, mostrare.
Ti costringe a lasciarti andare al gesto stesso, fino a che il gesto ti trasforma.
Nella vita accade lo stesso: smetti di inseguire esperienze nuove solo per riempire un vuoto e impari a trovare profondità in ciò che già hai.
La ripetizione diventa allora un’iniziazione silenziosa: non sei tu a “collezionare” azioni, ma le azioni a scolpire dentro di te una nuova qualità di presenza.
Il punto non è fare sempre meglio, ma lasciarti trasformare da ciò che fai.
In questo senso la ripetizione non è condanna, ma porta: ti mostra che la libertà non arriva dal cambiare continuamente strada, ma dal camminare fino in fondo una strada che già conosci.
È qui che il Karate diventa Do: quando la tecnica non è più solo forma da imparare, ma occasione di trasformazione interiore.
E la vita stessa diventa un dojo esteso, in cui ogni gesto quotidiano può diventare pratica, se lo abiti con consapevolezza.
Apertura di campo
E tu?
Hai mai scoperto qualcosa di nuovo dentro un gesto che ripetevi da anni?
Hai mai sentito che un’abitudine, invece di spegnerti, poteva diventare il luogo in cui ti svegliavi davvero?
Condividilo: nella ripetizione di ognuno c’è una soglia che può illuminare anche il cammino degli altri.











