Il Karate in Italia era agli inizi, quasi sconosciuto, e chi si avvicinava a questa disciplina non lo faceva per moda o per convenzione sociale.
Di Luigi Zoia
Era l’ottobre del 1965.
Avevo diciassette anni quando entrai per la prima volta in un dojo.
Il Karate in Italia era agli inizi, quasi sconosciuto, e chi si avvicinava a questa disciplina non lo faceva per moda o per convenzione sociale.
Ho avuto l’onore di formarmi con due figure che hanno segnato la storia del Karate in Europa: il Maestro Hiroshi Shirai e il Maestro Taiji Kase.
Ogni parata, ogni kata, ogni kumite era un’occasione per conoscere me stesso, forgiare carattere, imparare rispetto.
Chi sono oggi?
Sono stato atleta, imprenditore, formatore, autore.
Ho attraversato mondi diversi – dalla finanza alla crescita personale, dal coaching alla scrittura –, ma il filo rosso che unisce tutto è nato lì, su quel tatami, in quell’ottobre del 1965.
Il Karate mi ha dato radici e struttura.
E, come mi aveva predetto il Maestro Kase, dopo dieci anni di pratica intensa il “contenitore” si ruppe: la disciplina non era più solo tecnica, ma divenne intuizione, cammino interiore, via.
Scrivo questa serie di 44 riflessioni per tre motivi:
• Restituire. Per condividere ciò che ho ricevuto da quei Maestri e da quell’epoca pionieristica.
• Riconoscere. Per onorare chi, ancora oggi, nella pratica quotidiana, vive il Karate come via.
• Chiamare. Per invitare, chi sente che “manca qualcosa” ,a scoprire che oltre la forma c’è una via che trasforma la vita intera.
Un invito a chi pratica e a chi ha praticato: non fermatevi alla forma.
Non scrivo contro alcuno.
Non è un attacco a chi pratica il Karate come sport o come disciplina fisica.
Anche le gare e le palestre hanno avuto un ruolo importante: Shirai e Kase ci hanno insegnato a usarle come strumenti, non come fine.
Il mio intento è diverso: mantenere viva la coscienza del Karate-Do, ricordare che oltre il gesto c’è lo spirito, e che la vera eredità dei Maestri non è una tecnica perfetta ma una via di trasformazione.
Il Cammino dal Dojo alla Vita è il mio contributo per custodire quell’eredità e offrirla al presente.
Un invito a chi pratica e a chi ha praticato: non fermatevi alla forma.
Dietro ogni pugno, ogni parata, ogni kata, c’è una possibilità di risveglio.











