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We can be heroes. Just for one day.

Anche la storia di David Bowie fu sfiorata dal Karate negli anni Settanta. Tutta da ascoltare la playlist nell’articolo!

Agli inizi del 1974, David Bowie era all’apice della sua carriera professionale, tuttavia stava attraversando un momento difficile dal punto di vista personale in quanto si era reso conto di non sapere reggere il peso della propria fama. Sentendosi intrappolato dalla sua stessa “creatura” Ziggy Stardust, di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, Bowie iniziò a combattere una guerra contro il suo vero alter ego quello sconosciuto al grande pubblico: la dipendenza.
David Bowie fu, per gli anni Settanta, la sintesi perfetta dell’artista completo: cantante, autore, polistrumentista, ma anche un attore follemente innamorato del teatro e della recitazione, come dimostrò nel bellissimo film: L’uomo che cadde sulla Terra.
Influenzato fortemente dal mimo Lindsay Kemp, Bowie riuscì per primo a portare il teatro nella musica e non viceversa com’era usanza fare, segnando una svolta epocale nel mondo della musica fondando il glam rock. Tuttavia il movimento, siamo verso la metà del decennio, durò poco, perché venne presto soppiantato dal punk e fu così che tutti i colori sfavillanti che avevano salvato il mondo dal grigiore dell’hard rock, svanirono nel nulla e molti artisti caddero dal podio. 

Bowie riuscì per primo a portare il teatro nella musica e non viceversa.

Bowie non era certo tipo da arrendersi facilmente, ma la sua guerra interiore lo stava logorando e anche lui si ritrovò in difficoltà.
L’artista inglese iniziò ad abusare di droghe e di alcool e la sua vena compositiva cominciò a risentierne. Spronato nel dare seguito alla sua carriera, nel 1974 tentò ancora la carta della metamorfosi prendendo le sembianze di Aladdin Sane una sorta di involuzione di Ziggy Stardust; un personaggio che, rendendosi conto di essere ormai dimenticato, abbandona le vecchie abitudini per tentare l’avventura in un nuovo mondo. Fu così che nel marzo di quell’anno, Bowie s’imbarcò su di un transatlantico – cosa molto curiosa quanto anacronistica – e lasciò il Vecchio Continente per gli Stati Uniti d’America.
Ritrovata un po’ di serenità – purtroppo solo apparente – Bowie si gettò a capofitto nella scrittura e in breve tempo partorì “Diamond Dogs” e “Young Americans”, quest’ultimo fu un disco epocale che vi consiglio di ascoltare tutto d’un fiato. L’album segnò l’ennesimo cambiamento nello stile e nella musica dell’artista che si lasciò influenzare dalla black music americana, soprattutto dal funk e dal soul. Il successo fu enorme e Bowie sembrò tornare dagli inferi con solo qualche ferita.

Il ritorno di Bowie segnò anche il risveglio dei fans che sempre più spesso si lasciavano andare a gesti irrispettosi se non addirittura violenti. Questa cosa preoccupò molto il cantante, notoriamente molto schivo al contatto con le altre persone, che decise di assoldare una guardia del corpo che rispondeva al nome di Dwain Vaughns che era cintura nera di Karate, disciplina in costante crescita di praticanti negli Stati Uniti soprattutto dopo il successo dei film di Bruce Lee.
La pratica delle arti marziali era molto popolare anche tra le star del cinema e della musica; pensiamo a Elvis Presley che si innamorò del Kenpo Karate, disciplina che mischiava il combattimento da strada con tecniche più tradizionali, o a Lou Reed affascinato dal Tai Chi, senza tralasciare la passione per il Karate di Stevie Nicks, cantante dei Fleetwood Mac, che realizzò persino un booklet dimostrativo dove illustrava le tecniche di autodifesa per le donne. 

L’incontro con Vaughns fu determinante e fu così che il cantante decise di cominciare la pratica del karate.

Tornando a Bowie, l’incontro con Vaughns fu determinante e fu così che il cantante decise di cominciare la pratica del karate.
Il 3 gennaio del 1976, in prima serata sulla NBC, l’artista inglese era ospite di Dinah Shore per presentare il nuovo album Young Americans: cantò “Stay” e, durante l’intervista successiva, dichiarò di essere un praticante di Karate, in primis per difesa personale e, in seconda battuta, perché particolarmente interessato all’aspetto “coreografico” che avrebbe poi potuto utilizzare in scena.
A quel punto fece il suo ingresso in scena Vaughns che dimostrò insieme a Bowie alcune tecniche di difesa personale. Erano presenti anche l’attrice Nancy Walker, che rimase impressionata e abbandonò lo studio perché spaventata “dalla troppa violenza”, e Henry Winkler, il “Fonzie” della serie Happy days, che invece dimostrò molto interesse.
Successivamente, Bowie utilizzò spesso tecniche ispirate al Karate nelle sue esibizioni live e furono in tanti ad affermare che la pratica servì a riappacificarsi con se stesso e dimenticare le sue dipendenze. Ad oggi non sono in grado di dire quanto fosse vera la cosa ma non mi sento di escluderla visto che la sua vita cambiò in meglio. 

Detto ciò è tempo di proseguire nel nostro racconto che, tanto per cambiare, ci riporta in Europa. Nel 1977 Bowie decise di trasferirsi a Berlino Ovest in un appartamento a pochi passi dal Muro, in Hauptstrasse 155 e di cui ho scritto nel mio blog.
Nella città tedesca, al tempo ricettacolo di artisti alla ricerca della rinascita, Bowie ritrovò lo spirito e la voglia di scrivere musica. All’ombra del Muro di Berlino e grazie all’amicizia con Brian Eno pubblicò la famosa “Trilogia Berlinese” composta dai tre album “Low”, “Heroes”, “Lodger” e nacque Thin White Duke, l’ennesimo alter ego di un’artista capace di rivoluzionare e rivoluzionarsi e di sposare a pieno la filosofia del proverbio giapponese, particolarmente caro ai praticanti di Karate, Nana Korobi Ya Oki che si traduce in “Cadi sette volte e rialzati otto.” 

La pratica delle arti marziali era molto popolare anche tra le star del cinema e della musica.

A questo proposito è da notare che nello stesso periodo, nella Germania Federale, si stava sviluppando il karate grazie al Maestro Hideo Ochi, classe 1940, già più volte campione in Giappone e in diverse competizioni internazionali. Quando nel 1970 fu inviato dal Maestro Nakayama in Europa per insegnare il Karate Do, Ochi puntò all’Inghilterra dato che sua moglie era insegnante di inglese, tuttavia, sull’isola di Albione, si era già stabilito il Maestro Enoeda e così Ochi andò in Germania per prendere il posto del Maestro Hirokazu Kanazawa.
Nonostante gli inizi non facili, il Maestro trovò poi la serenità necessaria per portare la Nazionale tedesca, soprattutto quella di kumite, a primeggiare nel Campionato europeo del 1972 e nel 1976 decise di tornare lui stesso sul tatami per partecipare al Campionato Nazionale Giapponese. Era la sua prima gara dopo sei anni di fermo, ma vinse il primo posto nel kata.
Se Bowie assimilò il proverbio giapponese che ho citato prima posso azzardare nel dire che il Maestro Ochi recepì in pieno il messaggio di una canzone di Bowie riassunto in questo passaggio: “We can be heroes. Just for one day.” che tradotto recita “Noi possiamo essere eroi. Anche solo per un giorno”. Naturalmente, Ochi non fu eroe solo quel giorno, ma mi piace citare questa frase di “Heroes”, perché sembra si calzi bene al successo di quel giorno, quasi come fosse la giusta corona per la caparbietà che il Maestro seppe dimostrare nei primi anni della sua permanenza in Germania. 

Nel prossimo appuntamento scenderemo di latitudine per tornare in Italia, alla scoperta di cosa stava succedendo musicalmente nel nostro paese in quel periodo storico che ha segnato la grande stagione del Karate Do. 

Come sempre vi lascio la playlist ispirata da questo articolo, ovviamente, tutta dedicata a Bowie.

The Jean Genie

Rebel Rebel

Young Americans (live on Dick Cavett Show)

Be My Wife

Heroes

Look Back In Anger

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