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Osservazione: l’atteggiamento mentale nella pratica della Sekiguchi Ryu Battojutsu

Osservazione: l’atteggiamento mentale nella pratica della Sekiguchi Ryu Battojutsu
Foto di Mariella Soldo

Nelle arti marziali tradizionali, l’enfasi posta sulla cura dell’atteggiamento interiore è l’elemento che distingue nettamente il Budō dalla mera attività fisica di intrattenimento.

Era un tiepido pomeriggio di marzo quando Yamada Shihan, 17° caposcuola della Sekiguchi Ryu Battojutsu, alla sua terza visita in Italia nel 2018, prese parte a un incontro presso un centro di cultura e lingua giapponese a Bari.
L’evento aveva richiamato l’attenzione di molti appassionati di cultura nipponica curiosi ed entusiasti di incontrare un esponente di un’autentica scuola Samurai. Yamada Shihan impostò l’incontro in maniera dialogata, lasciando che le domande dei partecipanti fiorissero spontaneamente durante il dibattito, in un continuo scambio di risposte, esposizioni e approfondimenti.
Io assistevo il maestro per eventuali aiuti nella traduzione o nella spiegazione dei concetti che richiedevano ulteriori delucidazioni per i partecipanti. Nel frattempo rilevavo che, al di là degli aspetti storici e tecnici, le persone erano fortemente incuriosite da quelli che potremmo definire come “aspetti interiori” della pratica del Battōjutsu. Infatti, già poco dopo l’inizio dell’incontro giunse la fatidica domanda “Esiste una pratica spirituale nella vostra scuola?” La risposta del maestro fu “No. La cura dell’atteggiamento mentale è tutt’uno con la pratica fisica delle tecniche”.

Il Maestro Yamada rispose che è la “osservazione” ad avere un ruolo cruciale nell’efficace esecuzione delle tecniche dei kata di Sekiguchi Ryu Battojutsu.

Ritengo utile una premessa. In Occidente esiste un “presupposto storico culturale” che si manifesta nello stereotipo della scissione tra materiale e spirituale, per cui tutto ciò che è meditazione, introspezione, indagine interiore, se posto in relazione soprattutto con le arti marziali, diventa una sorta di “supplemento” della pratica fisica ben distinto da quest’ultima e, in un certo qual modo, superfluo. Invece in Giappone, come in Oriente in generale, è raro trovare nella tradizione del pensiero una netta distinzione tra “sfera mentale razionale”, “sfera psico-emotiva” e “sfera spirituale metafisica”. Per convenzione mente e mentale sono i termini con cui si potrebbe più felicemente tradurre l’insieme di queste tre istanze.

Yamada Shihan sottolineò dunque la sostanziale imprescindibilità tra pratica fisica e mentale. Egli proseguì rispondendo alla domanda su come concretamente l’atteggiamento mentale fosse in relazione con la pratica fisica. Il Maestro Yamada rispose che è la “osservazione” ad avere un ruolo cruciale nell’efficace esecuzione delle tecniche dei kata di Sekiguchi Ryu Battojutsu. L’osservazione dunque, che va ben al di là della fisiologica funzione sensoriale del vedere, o della semplice azione di guardare. Osservazione che è anche “auto-osservazione” e, così intesa, quale atto consapevole, si pone in analogia – almeno secondo la mia personale esperienza – con quella che è la millenaria tecnica di meditazione detta “Vipassana”.

Vipassana (che in lingua Pali vuol dire “vedere le cose in profondità, come realmente sono”) è una delle più antiche tecniche di meditazione dell’India. Siddhatta Gotama, il Buddha, la riscoprì e insegnò come metodo universale circa 2500 anni fa. Si tratta di una tecnica pratica di (auto)osservazione, un metodo pragmatico che porta alla purificazione della mente. Quasi sempre si accompagna al metodo Samatha, ovvero di “calmare la Mente”, assumendo la denominazione di Samatha-Vipassana, oppure di Dhyana, o ancora, di Shikan come è chiamata nel Buddhismo Tendai.
L’esistenza di un influsso da parte di tale pratica sulle discipline marziali nipponiche è più che un’ipotesi coerente e plausibile. Infatti, la cultura giapponese non fu immune all’influenza dei principi delle pratiche buddhiste giunte nel Sol Levante dalla Cina e dalla Corea, partendo dall’India, anche attraverso contaminazioni tibetane. Inoltre, il Giappone si era sempre dimostrato predisposto ai sincretismi e il Buddhismo, nelle sue varie declinazioni, trovò la sua collocazione e integrazione con le forme di spiritualità autoctone, fino a esercitare un ascendente sulla cultura, sulla società, sulla politica e naturalmente sulle arti marziali.

Il Bushi, il guerriero giapponese, nell’anelito di perfezionare gli aspetti interiori dell’arte del combattimento, era sempre ben disposto ad accogliere e integrare qualsiasi metodo che gli consentisse di gestire al meglio lo stress e gli stati traumatici che l’impegno bellico implicava a livello psicologico. Soprattutto le forme di Buddhismo che comprendevano metodi d’allenamento della mente semplici e pragmatici, risultarono tra le più congeniali alla Via del Guerriero.

Le forme di Buddhismo che comprendevano metodi d’allenamento della mente semplici e pragmatici, risultarono tra le più congeniali alla Via del Guerriero.

Ad ogni modo, indipendentemente dall’adesione o meno in senso “religioso” a questa o quella corrente buddhista, i concetti di attenzione al gesto, di osservazione e consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, senza che la mente sia perturbata dal meccanico fluire dei pensieri, furono integrati nella pratica marziale. Molto probabilmente, sebbene non sia dato saperlo in che misura e in che maniera, accadde qualcosa di simile anche per la Sekiguchi Ryu. Lo stesso Yamada Shihan riscontra analogie inequivocabili tra i principi filosofici contenuti nei manoscritti della Sekiguchi Ryu e quelli tipici del Buddhismo.

Tornando all’incontro col Maestro Yamada di quel marzo del 2018, affermata e definita tale imprescindibilità tra pratica fisica e mentale, si approfondì l’argomento delineando gli aspetti operativi e pratici in cui l’osservazione trovava felice applicazione.
Lo spadaccino della Sekiguchi Ryu non si limita a un’osservazione razionale e analitica del potenziale avversario, non è semplicemente in attesa di un cenno fisico che dia il via al combattimento. Ovvero, egli non osserva aspettando che qualcosa di determinato accada, formulando un (pre)giudizio sull’avversario, su se stesso o sull’intera situazione. Lo spadaccino è semplicemente fermo e consapevole nella Mente e nelle percezioni.
Questa è l’osservazione “pura”, la quieta attenzione che ogni praticante di Sekuguchi Ryu Battojutsu, o di altre discipline come il Karate per esempio, dovrebbe acquisire, allenare, fare propria. Qualsiasi giudizio, pensiero, elucubrazione, non avrebbe fatto altro che occupare la Mente del kenshi (“spadaccino” in giapponese, N.d.A.) privandolo di quella immediatezza d’azione – o reazione – che gli avrebbe garantito la permanenza in vita, o la chance di neutralizzare l’avversario.

Un kata ci dice cosa fare e come agire. Una mente consapevole e centrata nel momento presente ci dirà “se” e “quando” agire. Ecco perché pratica fisica e mentale sono imprescindibili. Apprendere un kata di Sekiguchi Ryu Battojutsu, o di Karate, o di qualsiasi altra disciplina marziale, risulterebbe un’opera incompiuta senza l’aver lavorato sul corretto atteggiamento mentale durante la pratica. Nello sviluppo del relativo bunkai o nei momenti di applicazione più libera, la nostra esperienza marziale, privata della componente mentale, sarebbe parziale e superficiale, diventando un mero esercizio di abilità coreografica, o giocoleria da intrattenimento. Ma cosa più importante: perderebbe di efficacia.
Sì, perderebbe di efficacia poiché disciplinare la mente, concentrarsi sull’attimo presente, possedere una percezione scevra di pregiudizi, dubbi, elementi distraenti e squilibrate reazioni emotive erano, per il guerriero nipponico o come lo sono oggi per il budoka, capacità vitali e complementari alle abilità tecniche, tattiche e strategiche.

Riportando quanto affermato dallo stesso Yamada Shihan, nel mio precedente articolo riferivo che ancora prima dell’applicazione della strategia, o del kata, o della tecnica, è importante affinare la capacità della “osservazione”.
Insieme a tutto quanto premesso e descritto sino ad ora, quale chiave di lettura potrebbe avere tale affermazione? Ebbene, che la proverbiale sofisticatezza delle arti marziali nipponiche non risiede (solo) nell’estetica del gesto tecnico, nell’esecuzione formale, nella raffinata strategia, ma anche e sopratutto, nella capacità di disciplinare la propria Mente. E poiché la Mente è sia un’attività sia una rielaborazione di esperienze sensoriali, ecco che risulta logico e funzionale che per disciplinarla è doveroso agire nell’ambito dell’osservazione.

“A una corretta percezione corrisponde una Mente pura.”

Un kata ci dice cosa fare e come agire. Una mente consapevole e centrata nel momento presente ci dirà “se” e “quando” agire.

Per questo motivo ritengo che oggi, nella pratica delle arti marziali tradizionali giapponesi, l’enfasi posta sulla cura dell’atteggiamento interiore del praticante sia l’elemento che distingue nettamente il Budō dalla mera attività fisica di benessere e intrattenimento. Motivo per cui intraprendere un’autentica Via marziale è una scelta che implica un impegno profondo da parte del praticante, nonché la piena coscienza di dover percorrere un sentiero di auto-indagine mettendo in discussione l’idea che fino a quel momento si aveva di se stessi, per fa riaffiorare la piena consapevolezza del Sé autentico.
Quel pomeriggio di marzo al centro di cultura giapponese col Maestro Yamada fluì armonioso tra un argomento e l’altro sulla Sekiguchi Ryu Battojutsu, in una bella atmosfera di dialogo e scambio di conoscenza. Ci accomiatammo tutti più arricchiti e visibilmente soddisfatti dell’incontro. Personalmente lo ero anche per essere riuscito ancora una volta a sfruttare l’occasione di far conoscere le arti e la cultura dei samurai nei loro aspetti più autentici e meno idealizzati.

 

BIBLIOGRAFIA
M. Colonna (2015), Il Cerchio Perfetto, II edizione, Almere (NL), Volume Press. (E-book).
H. Gunaratana (1995), La pratica della Consapevolezza in parole semplici, Roma, Astrolabio Ubaldini Editore.
A. Tollini a cura di (2009), Antologia del buddhismo giapponese, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi Ns.

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