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“Respirare” le emozioni nel karate-do

“Respirare” le emozioni nel karate-do
Foto di Fabrizio Bagnoli

Cos’è un’emozione? Per il praticante di karate è un ostacolo o una risorsa? “Respirare” le emozioni nel karate-do.

Il respiro è il principale strumento della psicosomatica: rivitalizza il corpo, scioglie le emozioni bloccate, apre la mente e risveglia la coscienza. Sin dall’antichità l’equilibrio psicosomatico e spirituale è stato associato al “respiro globale”.
L’utilizzo della corretta e funzionale respirazione diaframmatica da parte del praticante di Karate-do è uno degli elementi fondanti della ricerca per il raggiungimento dell’equilibrio corpo-mente, ma non solo.
L’aria e il respiro sono sempre stati legati alla vita e alla mente. Il termine aria comprendeva sia il significato corporeo di “energia vitale”, sia il significato “psichico” di energia legata alla mente e alla coscienza.
La respirazione è l’attività necessaria alla nostra sopravvivenza, poiché l’immissione di ossigeno nel nostro organismo e l’emissione di anidride carbonica sono i passaggi fondamentali senza i quali non potremmo vivere. 

La nostra respirazione deve essere in sintonia con i movimenti del corpo, in questo modo essi saranno naturali…

È altrettanto vero che, nonostante la respirazione sia così importante, spesso ne abbiamo scarsa consapevolezza e soprattutto la utilizziamo raramente nella sua interezza. Il respiro, infatti, non è solo scambio di ossigeno e anidride carbonica, ma implica anche una considerevole attività muscolare delle zone deputate a espletarlo. Questo avviene quando si realizza una naturale espressione delle energie istintive-vitali e dei vissuti affettivi-emozionali.
Le due fasi della respirazione seguono una logica: nell’inspirazione carichiamo il nostro organismo di energia, mentre nella fase di espirazione utilizziamo e canalizziamo questa energia. 

Il primo step è imparare ad ascoltare i 2 fondamentali ritmi che governano l’organismo, ritmi a cui non prestiamo alcun tipo di attenzione in quanto connaturati alla nostra vita: il ritmo cardiaco e la respirazione.
Le emozioni alterano in modo incontrollato tali ritmi, tuttavia, se sul cuore è difficile intervenire, sulla respirazione possiamo effettuare un certo controllo. Un’emozione violenta accelera il nostro battito cardiaco e la frequenza della respirazione, ma se riusciamo in qualche modo a controllarla anche il cuore pian piano ne risentirà per assonanza, consentendo da una parte di attutire la “spropositata” reazione corporea allo stimolo e dall’altra di rendere l’individuo più consapevole delle proprie risorse.
Il respiro è profondamente influenzato dalle emozioni e dalla nostra psiche. La nostra respirazione deve essere in sintonia con i movimenti del corpo, in questo modo essi saranno naturali, armoniosi, fluidi e coordinati. 

Col termine “respirazione funzionale” intendiamo che quello specifico schema respiratorio è ottimale per quella specifica situazione (di pericolo, di riposo, di eccitazione, di tenerezza, di controllo, di sogno di meditazione). Il costante esercizio, la ripetizione del gesto e il controllo della respirazione, comportano una maggiore coscienza del proprio corpo nello spazio, delle proprie reazioni e, infine, della propria “forza psichica”.
Nella respirazione diaframmatica non c’è un movimento della cassa toracica, ma si inspira abbassando, appunto, il diaframma con una conseguente espansione dell’addome (i muscoli addominali sono decontratti e il ventre si dilata), nella fase di espirazione, poi, l’addome si ritira e l’aria fuoriesce (i muscoli addominali vengono contratti); in sostanza il centro del movimento respiratorio si sposta dal torace al centro del ventre, permettendo di far circolare una quantità d’ossigeno maggiore. 

Nella pratica della arti marziali è importante collegare i movimenti alla respirazione, che deve sempre essere mantenuta profonda, calma e regolare.

L’artista marziale, studia con profonda attenzione tale tipo di respirazione, perché attraverso di essa è capace di controllare la propria emotività e la propria fisicità, decidendo se utilizzarla per sferrare (sempre in armonia con l’equilibrio posturale) la tecnica desiderata con la massima esplosività e forza o per trovare la giusta concentrazione per un’adeguata risposta agli stimoli.
Nella pratica della arti marziali è importante collegare i movimenti alla respirazione, che deve sempre essere mantenuta profonda, calma e regolare. Poco per volta si può arrivare a visualizzare nella nostra mente le emozioni interne espresse dal nostro corpo attraverso la tecnica, per imparare a canalizzarla quando è necessario: in questo modo si acquisisce, nel tempo, un atteggiamento mentale più adeguato. 

Affrontare la tematica delle emozioni nel contesto del Karate-do significa addentrarsi in un campo vastissimo, all’interno del quale si è inevitabilmente chiamati a un attento confronto con la molteplicità di interrogativi implicati nelle diverse sfaccettature di un problema complesso. La consapevolezza della vastità e complessità di tale ambito tematico mi induce pertanto a delimitare la riflessione a uno tra i tanti aspetti rilevanti: quello delle emozioni del principiante. Questa scelta si inscrive all’interno di un percorso personale di riflessione sulla relazione che ha come nucleo centrale la problematica concernente i criteri metodologici “del fare e dell’essere”.
Da questo punto di vista, uno degli strumenti essenziali a cui l’animo del praticante di Karate ricorre per monitorare la conduzione della tecnica è quello dell’auto-osservazione, intendendo con ciò quell’attività tipica che consiste nel valutare di momento in momento quanto il proprio agire o il proprio essere, nella relazione sia con se stessi che con l’altro, sia il più appropriato in una determinata situazione. Laddove i sentimenti e le emozioni sfuggono a ogni possibile analisi metodologica il rischio è quello di andare a impantanarsi nel campo della irrazionalità. 

Questo modo di concepire e definire le emozioni si associa con una concezione dell’auto-osservazione intesa sia come un’attività necessaria per rimuovere ogni ostacolo emotivo sia come forma di controllo. In questo caso si tratta di un’attività necessaria che funge da specchio: il karateka osserva/sente se stesso per vedere/sentire l’altro. Senza una visione di sé come espressione congiunta di emozioni e movimenti fisici il tutto diventa solo vedere senza sentire l’altro e, dunque, mera informazione e nessuna crescita personale.
Le emozioni della persona, pertanto, non devono essere considerate come un ostacolo alla crescita psico-fisica e né vanno rinnegate, in quanto indicatori di processi relazionali, perché non possono essere né prescritte né proibite, ma possono essere solo sentite/provate. 

“Con ’emozioni’ si intendono il calore, la simpatia, l’empatia, ma anche la noia, il fastidio, la rabbia, l’indignazione ecc. Il problema diventa non quello di sapere qual è l’emozione giusta o più terapeutica, ma di come utilizzare in terapia le varie emozioni che sorgono spontaneamente nell’interazione e che sono comunque parte importante nello sviluppo di un legame ‘forte’, presupposto necessario di qualsiasi intervento, educativo o paradossale che sia”. G. Cecchin (1991, 66). 

… si può arrivare a visualizzare nella nostra mente le emozioni interne espresse dal nostro corpo attraverso la tecnica.

Alla luce di ciò, lo strumento psico-fisico della respirazione diaframmatica consente alla persona di identificare una specie di mappa corporea soggettiva che diventa stimolo all’auto ascolto e strumento di riflessione per trovare risposte più adeguate alle sollecitazioni esterne. I più recenti studi di psicologia e di neuroscienze hanno evidenziano come lo stress (distress = stress negativo) sia in realtà influenzato oltre che da un livello di soglia soggettivo, anche da componenti fisiche, psichiche ed emozionali che contribuiscono e generare a loro volta disturbi secondari di vario tipo, siano essi sporadici, recidivanti o cronici.
La respirazione diaframmatica che agisce sulla componente psichica tramite un’azione introspettiva, dunque, oltre a permettere al praticante di Karate-do di acquisire una consapevolezza migliore del proprio corpo e del suo radicamento a terra, una capacità di concentrare le proprie forze e il proprio equilibrio interiore, può trasformare, se adeguatamente veicolata, le emozioni in volani di crescita interiore e tecnica nel confronto con l’altro.
La conoscenza che si ha del Sé diventa una conoscenza irraggiungibile, fatta di un bagaglio teorico ed esperienziale difficilmente conoscibile nella sua pienezza. Questo, per molti aspetti, Boscolo (1996) lo rappresenta come “le piante dei piedi che quando ci si poggia sopra è impossibile guardarle”. 

 

NOTA BIBLIOGRAFICA
  • Fissi, S. M. (1986) Legittimità e delimitazione del concetto di controtransfert in terapia familiare. Terapia Familiare.
  • Frijda, N. H. (1988) Teorie recenti sulle emozioni. In V. D’Urso, R. Trentin (a cura di) Psicologia delle emozioni. Bologna, Il Mulino. 
  • Fruggeri, L. (1990) Metodo, ricerca, costruzione: Il cambiamento come condizione per la conoscenza. In M. INGROSSO (a cura di) Itinerari sistemici nelle scienze sociali, Milano, Franco Angeli.
  • Liguori T. (2015), “La via della mano aperta”: l’equilibrio relazionale nel gruppo, Salerno, ISPPREF.
  • Boscolo L., Bertrando P., Fiocco P. M., Palvarini R. M., Pereira J. (1991), Linguaggio e cambiamento. L’uso di parole chiave in terapia, Terapia Familiare. 
  • Le Emozioni ed il Sé del Terapeuta

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