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Alcune considerazioni sul campionato mondiale WSKA

Alcune considerazioni sul campionato mondiale WSKA

Considerazioni del M° Perlati sullo svolgimento delle gare, sull’atteggiamento degli atleti, sul tifo… Cosa ne pensate?

Cari amici,

voglio approfittare del Campionato Mondiale WSKA, che si è svolto a Treviso lo scorso mese di settembre, per fare alcune considerazioni sul comportamento del pubblico, degli allenatori e degli atleti durante le gare. Siccome ho l’impressione che si stia degenerando, mi farebbe piacere conoscere il vostro parere.
Premesso che stiamo parlando di karate shotokan, praticato dai cosiddetti “tradizionalisti”, sottolineo alcuni aspetti che sono, o dovrebbero essere, specifici della disciplina.
Serietà – Pericolosità – Rettitudine/Dignità – Cultura – Socializzazione

Se la disciplina è implicitamente pericolosa richiede un particolare ambiente che aiuti i praticanti alla concentrazione e all’autocontrollo.

  • Serietà – Da sempre ho considerato la pratica del karate tradizionale non come un gioco, ma come una disciplina psico-fisica attraverso la quale si possono ottenere dei benefici solamente mantenendo un atteggiamento molto serio, profondo e non superficiale. Il paragone che mi è stato insegnato, e che ho ben recepito, è il rapporto dell’uomo con la natura che deve sempre essere molto serio e rispettoso, anche perché la natura non perdona. Solamente in questo modo possiamo aiutare i giovani che si affidano a noi a crescere consapevoli.
  • Pericolosità – In tutti i moduli di iscrizione che ho visto c’è uno specifico richiamo alla pericolosità della disciplina. Se la disciplina è implicitamente pericolosa richiede un particolare ambiente che aiuti i praticanti alla concentrazione e all’autocontrollo per limitare i possibili incidenti. Mi è stato detto che il tifo serve per incitare l’atleta a migliorare la prestazione, ma, in questo modo, si corre anche il rischio di eccitare gli animi e favorire la mancanza di controllo. La preparazione psicologica dell’atleta deve avvenire nei mesi precedenti e il momento della gara è solamente un test di verifica della propria determinazione e del proprio livello.
  • Rettitudine/Dignità – Durante la pratica e durante le gare si eseguono decine di saluti… è inutile farli se poi l’atteggiamento non è conforme al significato del saluto. Purtroppo ci sono tanti momenti della vita quotidiana durante i quali, per i più svariati motivi, si perde di vista che l’essere umano deve sempre mostrare la propria rettitudine e la propria dignità. Mancando ciò si regredisce al livello animalesco, nel quale prevalgono gli istinti a scapito della ragione. Durante la pratica il richiamo è costante, in particolare durante il kumite, per evitare che una disciplina si trasformi in una rissa. Questo comportamento deve diventare naturale anche al di fuori del dojo e farne un motivo di orgoglio per il risultato ottenuto su se stessi.
  • Cultura – È stato scritto nell’opuscolo del Campionato di Treviso:”…La finalità di chi pratica il karate Shotokan non sta nel vincere e nel gareggiare, ma nel perfezionare la tecnica ottenendo una grande ricchezza interiore e superando ogni barriera linguistica e culturale…”.
    Abbiamo sempre avuto la presunzione di trasmettere cultura. Cultura non intesa solo come conoscenza di nozioni, ma l’insieme di tradizioni che qualificano l’identità di un popolo, con la speranza che occidente e oriente s’incontrino per aiutarsi a vicenda nell’acquisire i reciproci valori positivi per la nostra esistenza e per l’esistenza delle generazioni future. Con il karate abbiamo conosciuto, oltre a tante altre cose, il Dojo Kun. Abbiamo ripetuto centinaia, forse migliaia di volte, il Dojo Kun. Abbiamo letto e udito diverse interpretazioni, traduzioni e spiegazioni dei concetti del Dojo Kun: non è forse giunto il momento di applicarli?

Abbiamo sempre avuto la presunzione di trasmettere cultura. Cultura non intesa solo come conoscenza di nozioni…

  • Socializzazione – Stiamo vivendo un momento storico che s’incammina sempre di più verso l’individualismo degli esseri umani. Le paure, le presunzioni, gli egoismi ci costringono sempre di più a isolarci e a separarci per proteggerci. Ho già avuto modo di scrivere che, anziché considerarci compagni di viaggio nella vita, tendiamo a vedere il prossimo come nemici dai quali difenderci.
    Le gare sono un momento ideale di socializzazione. Un atleta partecipa per vincere (per questo è prima di tutto importante partecipare, altrimenti, da chi vince?), ma anche per dare la stessa opportunità agli altri atleti. Per questo gli altri concorrenti vanno rispettati e ringraziati ogni volta (Rei!).
    Così come vanno rispettati e ringraziati gli arbitri che permettono ai giovani di confrontarsi. Socializzare significa che è inutile continuare a protestare per i giudizi degli arbitri, perché il problema non si risolverà mai. L’unica possibilità che abbiamo è di considerare i giudici delle persone con pregi e difetti, esattamente come noi, e accettarli come compagni di viaggio senza illuderci che se fossimo noi al loro posto le cose sarebbero diverse.

Con tutto ciò non intendo dire che le gare di Karate Shotokan debbano svolgersi nel silenzio assoluto, ma che nemmeno devono trasformarsi in luoghi nei quali competere con chi urla di più, come avviene in altri sport.
Nemmeno intendo dire che devono essere come le gare di tennis, durante le quali c’è il silenzio più assoluto e si riesce a sentire il respiro dei giocatori, ma mi auguro che non diventino mai come è successo al judo e alla scherma.
È molto importante che uno spettatore trovi un ambiente consono alla disciplina praticata e noi dobbiamo mostrare all’esterno ciò di cui siamo capaci.

Comunque, se ciò non avverrà, la responsabilità sarà solo nostra per avere presentato il karate tradizionale come una disciplina con dei valori che non abbiamo saputo attuare o, peggio, che non abbiamo voluto attuare.
Gli arbitri hanno l’autorità e l’autorevolezza per gestire le competizioni e spetta a loro, se lo ritengono opportuno, fare in modo che la gara sia un esempio del karate tradizionale.

…dei concetti del Dojo Kun: non è forse giunto il momento di applicarli?

Diversi anni fa, durante una competizione internazionale, il pubblico dava in escandescenza. Il Maestro Shirai si è alzato, ha fermato gli incontri ed è andato direttamente a redarguire i tifosi e i dirigenti (polacchi). La gara è stata ripresa solamente quando gli animi si sono calmati… Se il Maestro insegna mi sembra un esempio da imitare.
I giovani sono esuberanti ed è giusto che sia così, ma spetta a noi maestri guidarli, perché non diventino, come ho visto a Treviso, dei 50/60enni isterici, urlanti, con gli occhi fuori dalle orbite, come se fosse in gioco la loro vita!

Questo è il mio pensiero, a voi le considerazioni.

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