728 x 90

Educare col Karate: il KarateDo da un punto di vista pedagogico e la sua efficacia educativa (parte 5)

Educare col Karate: il KarateDo da un punto di vista pedagogico e la sua efficacia educativa (parte 5)

Un’indagine su 120 bambini rivela motivazioni e personalità dei piccoli praticanti di KarateDo.

Il Karate Do
Nella nostra cultura occidentale la storia ci ha raccontato come sia stato facile separare il mondo delle idee (èidos) da quello della materia (caos) già ai tempi del filosofo Platone. Dopo costui vennero tanti altri autorevoli filosofi e pensatori, ma tutti seguirono questa impostazione, difendendo il principio che si possa acquisire una certa conoscenza di se stessi senza presupporre necessariamente una conoscenza del corpo.

Si parla infatti di “Karate Do” come di un’arte che, partendo dall’apprendimento di tecniche di autodifesa, porta a una conoscenza profonda e all’evoluzione di se stessi.

Nelle arti marziali antiche che hanno preso origine dallo Yoga indiano, passando al Tai Chi Chuan cinese, per poi radicarsi in tutto l’Estremo Oriente (nella stessa Cina, il Kung Fu ecc.; in Corea il Taekwondo; in Giappone, Judo, Kendo, Karatedo ecc.; in Thailandia, il MuayTay ecc.; in Vietnam il Viet vo dao ecc.), il punto di partenza è un altro: IO sono il mio corpo. Ed è qui che cade il dualismo mente-corpo, in quanto non sono più considerate come due cose separate. La persona, in tutte le arti marziali, non è solo un corpo che compie dei gesti e non è solo una mente che ragiona o un cuore con delle emozioni, ma è tutto insieme. Questo approccio è detto “olistico”.

L’apprendimento e l’esecuzione delle tecniche non si riduce mai solo a un puro esercizio fisico, ma coinvolge sempre la mente e il cuore, contribuendo alla conoscenza di se stessi (per eseguire una tecnica ci vogliono abilità fisiche, concentrazione mentale, conoscenza del proprio corpo, dei propri limiti e delle proprie potenzialità, controllo e regolazione del proprio stato emotivo ecc.) e del contesto (le altre persone, l’ambiente ecc.).
Il Karate Do è un’arte marziale che ha primariamente propositi educativi e formativi della persona nella sua interezza.
Si parla infatti di “Karate Do” (“la via del karate”) come di un’arte, uno stile di vita che, partendo dall’apprendimento di tecniche di autodifesa, porta a una conoscenza profonda e all’evoluzione di se stessi.

La pratica del karate, inteso come Do:

  • è una via di accrescimento personale, di miglioramento di se stessi (M° Funakoshi);
  • si attua attraverso un processo di perfezionamento che coinvolge in maniera integrata corpo-psiche-cultura (Grimaldi);
  • porta alla profonda accettazione di se stessi, insegnando, in altre parole, a “essere” (M° Egami).

Il Do non è un’idea astratta, ma è la direzione di un sistema di vita. È un prodotto sociale e storico, permeato dai costumi, dalle religioni, dai valori collettivi.
Il processo evolutivo in questa disciplina è quello della realizzazione globale della personalità in armonia con il mondo, ma soprattutto con la natura.
In questo senso, il termine Do non è comune alle sole arti marziali tradizionali, ma anche ad altre arti della vita di tutti i giorni. Tutte le arti studiate e praticate, a un certo livello di profondità si ritrovano nel medesimo ambito “spirituale”.

Il karate do dal punto di vista pedagogico:

  • favorisce la consapevolezza di sé e l’autostima (fiducia in sé);
  • sostiene lo sviluppo delle capacità cognitive (la capacità di auto valutarsi correttamente e di porsi obiettivi reali, la memoria, l’attenzione e la flessibilità di pensiero, la costanza nella gestione di un lavoro e del proprio spazio-tempo);
  • sviluppa le capacità motorie (bilateralità, coordinamento, equilibrio, postura ecc.);
  • sostiene lo sviluppo delle capacità emotive (tramite l’allenamento in palestra, le gare, gli esami, gli stage con partecipazione di persone “esterne”; tutti questi sono momenti e ambiti di crescita che conducono al riconoscimento dei propri stati emotivi e quindi all’autoregolazione, all’assunzione di responsabilità personali e all’espressione in maniera adeguata delle proprie emozioni);
  • sviluppa abilità sociali (apprendimento delle regole, autocontrollo nella relazione con l’altro, sviluppo del rispetto verso se stessi e gli altri).

La ricerca sul campo
Di seguito riporto i risultati di un’indagine svolta su un campione di 120 bambini compresi nella fascia 9-13 anni.
Sono stati messi a confronto due gruppi da 60: i bambini che praticano karate con i bambini che praticano un altro sport (calcio, basket, pallavolo).
Gli obiettivi erano di verificare i 5 aspetti della personalità e di indagare gli aspetti motivazionali.
Gli strumenti d’indagine utilizzati consistevano nella somministrazione di 2 questionari: uno per testare la motivazione a fare sport (se intrinseca o estrinseca) e uno per comprendere la personalità (questionario denominato “Big Five”) tramite un test che indaga sui 5 aspetti della personalità:

  • energia (socievolezza, loquacità, livello di attività, dinamismo),
  • amicalità (altruismo, dare supporto, cooperatività, fiducia),
  • coscienziosità (capacità di autoregolazione, precisione, scrupolosità, tenacia, perseveranza),
  • instabilità emotiva (incapacità di controllare le reazioni emotive, instabilità dell’umore, incapacità di controllare rabbia e irritazione),
  • apertura mentale (apertura alle novità, ampi interessi culturali, originalità, creatività).

Il processo evolutivo in questa disciplina è quello della realizzazione globale della personalità in armonia con il mondo, ma soprattutto con la natura.

Applicazione della parte teorica al campione di bambini oggetto di studio.
Considerando il questionario sulla motivazione, costituito da 21 affermazioni su “Pratico questo sport perché… ” (per ogni affermazione i bambini indicavano il loro indice di gradimento da un “per niente d’accordo” 0 punti a “completamente d’accordo” 5 punti), si sono rilevate alcune componenti motivazionali che favoriscono la pratica sportiva:

  • motivazione centrata su aspetti interiori, di miglioramento e benessere (es. conoscere meglio se stessi, sentirsi meglio fisicamente e mentalmente, diventare più sicuri di sé, rilassarsi mentalmente);
  • motivazione centrata sull’approvazione altrui (es. l’allenatore/istruttore è contento, la famiglia è contenta);
  • motivazione centrata sull’acquisizione di abilità fisiche (es. capacità di fare certi movimenti/tecniche, acquisire forma fisica);
  • motivazione centrata sullo sfogo emotivo (es. sfogarsi dell’aggressività);
  • motivazione centrata sull’aspetto ludico, di divertimento (es. mi diverto, sto con gli amici);
  • motivazione centrata sul confronto con gli altri praticanti (es. confrontarsi, avere successo).

Che cosa evidenziano i risultati

  • Rispetto alla motivazione è emerso che i soggetti che praticano Karate Do sono mossi maggiormente da motivazioni centrate su aspetti interiori, mentre negli altri sport prevale nettamente l’aspetto ludico (del divertimento).
  • Riguardo alla personalità, chi pratica Karate Do ha livelli più alti di coscienziosità rispetto a chi pratica altri sport.
  • La maggiore coscienziosità influisce sullo sviluppo di una motivazione centrata su aspetti interiori.

Conclusioni

Praticare il Karate Do in età evolutiva:

  • contribuisce a incrementare la “coscienziosità” (capacità di concentrarsi, di mantenere attenzione, di assumersi impegni e mantenerli, di rispettare le regole, di essere organizzato nell’eseguire un lavoro e gestire il proprio tempo-spazio) che è un tratto di personalità che si può supporre in parte già presente a chi si avvicina al Karate Do;
  • influenza la percezione del Karate Do come attività non solo e non tanto di sfogo-divertimento, ma come attività percepita come modo per migliorarsi (raggiungere un benessere psico-fisico, aumentare la sicurezza in sé, accrescere la conoscenza di sé).

«Grazie a tutti!»

 

BIBLIOGRAFIA
– L. Camaioni, P. Di Blasio, Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2007.
– G. Cavalli, Tre anni straordinari. Lo sviluppo psicologico dei più piccoli, ed. La Scuola, Brescia, 2007.
– G. Cavalli, Mamma perché devo andare a scuola?, ed. Vita Nuova, Verona, 2009.
– O. Liverta, G. Cavalli, Lo sguardo consapevole. L’osservazione psicologica in ambito educativo, ed. Unicopli, Milano, 2005.
– M. Bombardieri, G. Cavalli, La relazione genitori-figli, ed. La Scuola, Brescia, 2011.

Parte 1 – Parte 2 – Parte 3 – Parte 4

Ti potrebbe interessare anche:

Articoli recenti

I più letti

Top Autori