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La pratica del mercoledì mattina

La pratica del mercoledì mattina

Come chiamiamo coloro che nel pieno della notte di un gelido inverno trovano un morboso incanto là, nell’uso dell’anca?

Eccola. È lei che suona nella stanza, quasi senza disturbare. Segna le quattro e quindici e, sottovoce, sussurra che è già ora. Con la stessa delicatezza di una madre ci accompagna qualche istante, fino a quando Morfeo ci lascia andare al nostro appuntamento settimanale: la pratica del mercoledì mattina.
Non servono gingilli, né profumi per questo incontro. Una sciacquata al viso, una spazzolata ai denti e, senza proferire parola nel buio della notte, due vestiti addosso ci accompagnano verso la porta, la stessa che ci chiudiamo alle spalle, come i sogni appena terminati, in attesa che l’incontro di oggi porti nuova linfa, nuovo vigore.
La chiave gira nel cruscotto e il rimbombare del motore sottolinea la città che ancora dorme.

Per metà dell’anno a quest’ora fa freddo, a volte freddissimo. Spesso la nebbia è quella vera, quella che imbottisce la città in ogni suo angolo, come il guanciale lasciato poco prima.
Ladri e puttane, mascalzoni e malviventi, nullatenenti e ricchi in bella vita e poi noi, che attraversiamo la città alla ricerca di un solo sguardo, uno sguardo molto attento.
Il buio ancora totale, i viali ancora deserti, vetrine spente e saracinesche abbassate, il semaforo che lampeggia e un ubriaco a terra, il clochard sotto il cartone e un clandestino che si regge al palo, i volontari in allerta e la pattuglia che sorveglia… E noi, imperterriti come proseliti, inghiottendo asfalto e digerendo pensieri.
La città di notte vive di fascino e inquietudine, vestita di buio, spogliata dal sole. Noi ne siamo parte, crogiolanti di quella passione che ci fa vibrare, ci sfida e ci grida dentro. Matti, pazzi dissennati.

Come chiamiamo colui che nel mezzo della notte abbandona il tepore del proprio letto in cerca della perfetta aderenza del piede posteriore?
Come chiamiamo coloro che nel pieno della notte di un gelido inverno trovano un morboso incanto là, nell’uso dell’anca?
Come consideriamo un ‘cavaliere’ che attraversa valli e pianure, foreste e radure forse per un solo sguardo, quello del suo Re?
Dopo questo viaggio nelle viscere di città e di pensieri finalmente ci siamo. Lo sguardo nel buio della notte è un segno di sfida al mondo. Siamo arrivati.
Un cancello si apre, nel cortile si lancia verso il cielo nero la ripida scalinata. Solo aprendo quella porta troveremo impavidi tutto ciò di cui abbiamo bisogno: ”Oss, Maestro!”.
È da lì che usciremo un’ora più tardi.
Con della luce in più.
In città.
Nell’anima.

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