728 x 90

Fra aggressività e passività… L’arte dell’assertività

Fra aggressività e passività… L’arte dell’assertività

Affermare i propri diritti e sapersi difendere, nel dojo come nella vita, è una componente fondamentale del benessere.

(In KarateDo n. 37 gen-feb-mar 2015)

Raccontare l’assertività è forse più complesso in termini psicologici che marzialistici: forse nel nostro dojo non l’abbiamo mai chiamata così, forse è la prima volta che ne sentiamo parlare, ma l’assertività può essere paragonata al kime che impieghiamo nell’eseguire una tecnica e allo zanshin direttamente coinvolto, che rende possibile un’esecuzione efficace.
Attraverso il comportamento assertivo possiamo affermare i nostri punti di vista, senza prevaricare ed essere aggressivi né essere prevaricati in modo passivo. Nel dojo significa rispondere a un attacco con la dinamica parata–contrattacco, ossia essere soggetti attivi, nel rispetto dell’avversario.
Nel comportamento quotidiano significa trovare un equilibrio fra uno stile passivo e uno aggressivo, quindi, riuscire a esprimere opinioni ed emozioni personali, comunicare in modo adeguato, farsi rispettare e valere. Più facile a dirsi che a farsi… soprattutto per alcune donne.

L’assertività può essere paragonata al Kime che impieghiamo nell’eseguire una tecnica e allo Zanshin direttamente coinvolto.

L’assertività ha molti nemici. Spesso viene confusa con la testardaggine antagonista di alcuni valori a cui i bambini e soprattutto le bambine erano caldamente educati: l’obbedienza e la sottomissione. Essere adulti sottomessi a decisioni e preferenze altrui eviterà (forse) la rabbia, la vendetta e l’abbandono da parte degli altri, ma d’altro canto essere persone assolutamente concilianti e passive, che evitano i conflitti a qualsiasi costo, che deprezzano i propri desideri come non importanti o non interessanti, può indurre a provare ostilità verso coloro a cui ci si sottomette.

Un altro nemico dell’assertività è l’eccessiva assunzione di responsabilità: l’attenzione prioritaria a bisogni e desideri altrui, a scapito dei propri, la tendenza al sacrificio personale per evitare dolore agli altri, per mantenere un senso di connessione, per evitare sensi di colpa e aumentare la propria autostima – tutte variabili tipicamente insite nella sensibilità femminile e materna –. Alla lunga però, dalla mancata soddisfazione delle proprie esigenze può nascere un senso di deprivazione e di risentimento, oltre al desiderio di liberarsi e affrancarsi dai condizionamenti ambientali negativi, con la pretesa di una parte di reciprocità.
Anche l’inibizione emotiva rema contro l’assertività: credere che l’espressione del proprio dissenso, delle proprie posizioni affettive, in particolar modo della rabbia, darà inevitabilmente origine a una situazione imbarazzante e dolorosa, oppure a una reazione abbandonica o vendicativa da parte degli altri, porta a inibirsi.
Riuscire a esprimersi in modo efficace su emozioni, sentimenti, bisogni/desideri e convinzioni personali, riduce le sensazioni di ansia, aggressività e disagio.

L’assertività nasce dall’assonanza fra l’auto-percezione (autostima e autoefficacia percepita, trattate in contributi precedenti), la razionalità, la consapevolezza e la gestione delle emozioni, infine – ma non ultime – le abilità sociali.
Le persone che comunicano – e si comportano – in modo aggressivo spesso non rispettano i limiti e gli spazi degli altri, pensano in ottica egoistica e perseguono i propri fini con ostilità e rabbia, disprezzando gli altri, non riconoscendone la dignità, mettendo in campo anche mezzi distruttivi e violenti. A volte nella società occidentale odierna costoro sono ammirati come individui “rampanti” e “vincenti”.
Le persone animate da uno stile passivo pensano ad accontentare gli altri e soltanto dopo, forse, se stessi; sono facilmente influenzabili – almeno nel comportamento –, perché “non sanno dire di no” e subiscono le situazioni senza opporsi apertamente, schiacciate dall’ansia sociale e dalla paura di essere una voce stonata fuori dal coro. Poi, eventualmente, si riappropriano della propria autonomia di pensiero e di azione in modo più subdolo, come se fossero persone inaffidabili che “prima dicono sì sì, poi spariscono!” o “prima sono sul melo, poi sul pero!”. Ad esempio, se l’adesione a una cena con i colleghi è stata loro estorta obtorto collo, posso mandare il “bidone” via sms: “Non vengo, stasera non ci sono” e tanti saluti. Le emicranie e le gastroenteriti diplomatiche, le nonne morenti e le visite inaspettate dei parenti da Timbuctù… si sprecano, quando dire “No” in modo esplicito è stato impossibile.

Nel dojo significa rispondere a un attacco con la dinamica parata–contrattacco, ossia essere soggetti attivi, nel rispetto dell’avversario.

Il costrutto dell’assertività si sviluppa su 5 livelli:

  • la capacità di riconoscere le emozioni;
  • la capacità di comunicare emozioni e sentimenti, anche negativi, senza timore di arrossire, balbettare, provare il desiderio di sprofondare e scomparire, assistere a reazioni sconsiderate da parte dell’interlocutore;
  • la consapevolezza dei propri diritti, nel senso di avere rispetto per sé e per gli altri, agire nel proprio interesse senza ledere nessun altro. La distinzione tra i comportamenti aggressivi, passivi e assertivi si fonda sui diritti e sul principio di reciprocità. Quando i Prigioni di Michelangelo [Gruppo di sei statue eseguite per la tomba di Giulio II. Due di essi sono pressoché finiti, risalgono al 1513 circa e sono oggi al Louvre. Quattro, databili al 1525-1530 circa, sono vistosamente “non-finiti” e sono conservati nella Galleria dell’Accademia a Firenze ndr] lottano per uscire dal marmo in eccesso che li avvinghia, stanno compiendo un atto assertivo, di pura forza vitale. Forse, ci sovviene di qualche atto simile che noi stessi abbiamo compiuto, in senso reale o metaforico, discreto o continuo nel tempo. Forse ogni tecnica che portiamo nel Kumite è espressione di assertività…
  • la disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri. Nota dolente per molte donne, e comunque per molte persone, perché coinvolge l’immagine positiva di se stessi, la fiducia, la sicurezza personale, la capacità di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza e del proprio ruolo sociale;
  • la capacità di auto-realizzarsi e decidere, nei limiti del possibile, la propria vita: quali obiettivi e scopi, quali assunzioni di rischi e responsabilità, quali percorsi.

L’aspetto che forse risulta più problematico, rispetto al comportamento assertivo, è saper dire di no. Quando un interlocutore ci pone una richiesta, egli evidentemente si aspetta e auspica di sentirsi rispondere in modo affermativo e se noi dicessimo “sì” la relazione filerebbe via liscia e senza intoppi. Ma se la richiesta ci indispone (dandoci un senso di contrazione muscolare, di sovraccarico, di affaticamento, di repulsione morale e disaccordo/irritazione), sarebbe doveroso saper rispondere “No!”.
Perché spesso è così difficile? Per timore di indisporre l’altro, di suscitarne un comportamento vendicativo, di scatenare conseguenze per cui “me la farà pagare” o, semplicemente, perché dire “No” ci fa sentire in colpa, come persone poco generose e per nulla altruiste. D’altra parte, come recita il titolo di un ottimo manuale per genitori, ci sono I no che aiutano a crescere (Asha Phillips, 2009), visto che certi “sì” fanno più male che bene. Buona prassi sarebbe anche motivare e spiegare il rifiuto, magari proponendo delle alternative.
Con il principio della reciprocità riconosco all’altro l’identico diritto di rifiutare, quindi, di sollevare una questione, avere punti di vista divergenti da quelli della maggioranza, fare richieste a un interlocutore e, se del caso, chiedere aiuto diventa più facile.

L’assertività implica il rispetto di se stessi, delle proprie esigenze, sentimenti e convinzioni.

Una persona assertiva sa anche ammettere i propri sbagli, anche quando nessuno se n’è ancora accorto, e quando porta delle critiche lo sa fare in modo costruttivo, valorizzando le risorse della persona, a cui mostra di tenere davvero, in modo autentico e disinteressato, piuttosto che i limiti della prestazione.
Essere assertivi assurge al rango di diritto e dovere, perché l’assertività implica il rispetto di se stessi, delle proprie esigenze, sentimenti e convinzioni.
Essere assertivi, per chi non vive l’assertività come una forza innata, non è facile: costa sacrificio, rischio e soprattutto esercizio, infatti l’assertività può essere appresa e sviluppata, affermare i propri diritti e sapersi difendere, senza aggressività o passività, nel dojo come nella vita, è una componente fondamentale del benessere.

Ti potrebbe interessare anche:

Articoli recenti

I più letti

Top Autori