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Per il praticante evoluto è fondamentale il “radicamento a terra”

Per il praticante evoluto è fondamentale il “radicamento a terra”

Il praticante di Karate potrebbe aver bisogno di ricontattare la sua natura, la sua verità, il suo corpo e la sua energia.

(In KarateDo n.33 gen-feb-mar 2014)

Di Riccardo Frare, a cura di Thomas Rossetto

“[…] Ora il giovane sul tetto assunse una posizione bassa, tenendo la stuoia di paglia in alto contro il vento impetuoso. La posizione che prese era estremamente imponente, poiché era come se si trovasse in groppa a un cavallo. In verità, chiunque conoscesse il Karate poteva vedere che il giovane stava assumendo la posizione del cavaliere, la più stabile di tutte le posizioni di Karate, e che egli stava utilizzando il tifone per migliorare la sua tecnica e per fortificare ulteriormente il corpo e la mente. Il vento batteva contro la stuoia e il giovane con tutta la forza, ma egli teneva duro e non indietreggiò.”  G. Funakoshi

Concludiamo la discesa dall’alto verso il basso compiuta su noi stessi, articolo dopo articolo. Scopo di questa serie di articoli era di proporre un nuovo punto di vista per osservare ciò che differenzia nella pratica un principiante da un avanzato: la consapevolezza di Sé.
Ci siamo soffermati sull’assunto chiave che sta alla base di questa trasformazione o, per meglio dire, evoluzione umana. L’inconsapevolezza di sé deve passare per una inconsapevolezza del proprio corpo e di conseguenza anche delle tensioni croniche che possiede. Tali tensioni croniche non sono disposte casualmente lungo il corpo, ma seguono una precisa e scientifica (perché osservabile e riproponibile) distribuzione lungo il corpo. La scelta che noi inconsciamente facciamo di “tenere duro” una zona piuttosto che un’altra non è casuale, ma grandemente significativa. Conosci te stesso passa inevitabilmente per percepisci te stesso. Difficile, se non impossibile, è percepire se stessi in profondità lungo tutto il corpo qualora ci siano in noi delle tensioni psicosomatiche croniche. In questo caso la stessa tensione è per definizione pura inconsapevolezza.

Conosci te stesso passa inevitabilmente per percepisci te stesso.

Atterraggio
Con questo articolo “atterriamo” al suolo. Colleghiamo tutto ciò che è stato detto precedentemente con il senso di realtà che viene dall’essere con i piedi per terra.
Durante un kata usare o “abitare” le proprie gambe, sentirci dentro di esse è, anche solo a scriverlo, una differenza piuttosto marcata.
Questa è una delle zone chiave per ottenere quell’unione di cielo e terra che secondo i maestri permette di accedere a un potere superiore, conosciuto anche come quarta dimensione. Per arti inferiori consideriamo le gambe al cingolo pelvico, quindi, intendiamo dall’articolazione coxo-femorale fino alle dita dei piedi.
Le nostre gambe dunque non sono solo un mero mezzo per spostarci, ma nell’ottica marziale rappresentano un canale in grado di collegare l’energia del cielo e della terra, così come l’energia di un fulmine si scarica a terra grazie al parafulmine. Il corpo umano è attraversato da una grande vitalità fin dalla sua nascita. La contrazione statica e cronica della muscolatura è utile per limitare e diminuire il fluire della nostra naturale vitalità, dell’eccitazione data dall’esplorazione del territorio nei primi anni di vita. 

Una differenza di potenziale: tanto giù, attraversando la paura di cadere
Che tipo di forma e di funzione assumono le mie posizioni durante la pratica? Le vivo come un collegamento aperto fra mente e pavimento, oppure, vivo il rapporto con la terra con un atteggiamento di distacco? Possedere e migliorare la propria attitudine allo scendere, alla cedevolezza verso il basso, in armonia con la gravità, è Karate Do Shotokan in particolare, vista l’enfasi nell’ingrandire e abbassare le posizioni.
Chi insegna sa come sia solito riscontrare nei praticanti la tendenza a non “mollare” a sufficienza le gambe e le anche verso il basso, consentendo al centro, come fosse una chiave di volta, di collegare i piedi anziché “galleggiare” sopra la posizione. Tale difficoltà a mollare verso il basso è spesso collegata con la paura inconscia di cadere e dell’instabilità in generale.
La mente, resistente al cambiamento per paura di soffrire, crea illusioni e arbitrarie interpretazioni che rallentano e bloccano il lavoro di scoperta verso di sé. Ad esempio, come precedentemente abbiamo visto che mollando la forza delle spalle ho paura di essere debole nei colpi, così mollando il mio peso verso il basso ho paura di cadere. In questo caso sono molto utili i lavori con il sostegno di un compagno, con il muro, bendati, con un clima che favorisca la discesa e il rilassamento della muscolatura profonda e trattenuta. Molto utile inoltre è sperimentare e arricchire la pratica del Karatedo con esercizi presi dal Judo o dall’Aikido per la propedeutica a cadute, capriole ecc. Il praticante sperimenterà il suo corpo verso il basso, prendendo confidenza e fiducia con il pavimento, la gravità e l’atterraggio morbido, anziché il rovinare al suolo come si era immaginato.

Una differenza di potenziale: tanto su, attraversando la “paura di volare”
Gli arti inferiori possono resistere alla gravità in maniera eccessiva e spaventata, oppure armonica e sicura di sé. Oltre al compito di frenare e ammortizzare, compito degli arti inferiori è di spingere in avanti e verso l’alto, creando energia dal pavimento verso l’avversario. Spingere con forza mi è proibito quando non so gestire tutta l’energia che potenzialmente il mio corpo potrebbe generare.
Nel momento in cui il mio corpo è allineato, il più possibile morbido e disposto intelligentemente al lavoro, con una forte spinta della gamba posteriore (es. zenkutsu dachi) è possibile sentire un’onda attraversare la gamba posteriore e salire lungo la schiena, per poi dividersi in tre rami: incanalarsi nelle braccia e in alto attraverso il collo e la testa verso il soffitto. Tale onda di eccitazione scorre impetuosa se la lasciamo andare, facendo prendere “il volo” al corpo. Alcuni lamentano un senso di vertigine e sentono una forte instabilità, tanto che la perdita di equilibrio è abbastanza comune.
In questo caso è indispensabile stabilizzare il radicamento e il sentire i piedi incollati a terra. Il modo più semplice per farlo è incentivare e proporre esercizi di equilibrio, soprattutto statico. Quindi, con una gamba sollevata, su piani inclinati, in posizione sopraelevata ecc., per buona parte della lezione [vedi prec. articolo su equilibrio].
È importante riconoscere che ogni posizione di KarateDo ha in sé entrambi questi aspetti. Ad esempio, zenkutsu dachi spinge con la gamba posteriore e “cade” con la gamba anteriore. Kokutsu dachi all’inverso. Kiba dachi a seconda di dov’è l’avversario, senza variazione visibile.

Un canale aperto
La caratteristica di un canale è il suo essere vuoto all’interno. Ciò consente di lasciar scorrere in entrambi i versi: informazioni, impulsi di comando e sensazioni propriocettive, brividi, pelle d’oca, onde di eccitazione e vibrazioni. Seconda caratteristica, opposta alla prima, è la sua struttura solida esterna senza la quale il canale, come una canna d’irrigazione, si piegherebbe strozzando il fluire. Percepisco tutto ciò in una zenkutsu dachi? Se non lo percepisco potrebbe essere perché i miei arti inferiori sono tesi, “anestetizzati” verso le percezioni sottili. Solo delle grandi fondamenta potranno sostenere via via livelli energetici sempre più elevati.

Solo delle grandi fondamenta potranno sostenere via via livelli energetici sempre più elevati.

Dire mente-corpo non è reale
La tensione di cui stiamo parlando non riguarda la visione elastica del muscolo, tipica dello stretching. Certo, un muscolo elastico è sicuramente un ottimo punto di partenza, ma non sufficiente. Allungare un muscolo meccanicamente, privandolo della sua componente psichica e di zona riflessa della mente, è riduttivo. Oltre un certo range il muscolo smetterà di allungarsi e dopo una notte di sonno (dove l’inconscio prende il sopravvento) il muscolo in palestra il giorno dopo sarà teso come prima.
Questo è importante per sottolineare che la definizione di mente-corpo è meccanicistica. Non esiste mente e non esiste corpo come concetto di entità divise e separate. Se questo è vero, nel polpaccio e nella caviglia tesa c’è un po’ di mente e nella mia mente c’è un po’ di polpaccio. Su questo assunto sono nate le arti marziali che, sciogliendo e potenziando il corpo, ammorbidiscono e rinforzano aspetti del nostro carattere, come le due facce della stessa medaglia che non esistono separate; dire testa e croce è una convenzione, ma non è la realtà. La pratica, per allineare e rilassare i nostri aspetti psichici più spigolosi, ammorbidisce ed equilibra la “faccia” corporea della medaglia. Come è vero anche il contrario: riconoscendo e vedendo in me uno squilibrio, il corpo inizia a rilassarsi, come una bella notizia fa tirare un sospiro di sollievo, riportando il corpo al suo stato naturale, shizentai. 

Homo instabilis
La cultura, la civilizzazione, lo stile di vita sempre più innaturale, con milioni di persone che vivono a stretto contatto, sono alcune delle cause del nostro allontanamento dalla terra e quindi dalla percezione profonda dei nostri piedi. Chi pratica Karate può dirsi fortunato di avere un paio d’ore alla settimana i piedi scalzi a contatto con il pavimento (seppur di plastica). L’aver scelto la razionalità, la nostra capacità intellettiva di calcolo e ragionamento come la parte migliore di noi, ha inevitabilmente causato la messa al bando come “basse” e negative le nostre radici e le nostre origini animali.
Si pensi all’educazione dei bambini nelle scuole e alla percentuale di tempo passato fra i numeri e la grammatica, a confronto con quella con il corpo e l’insegnamento all’ascolto e alla comprensione del proprio mondo interiore (l’insegnante di matematica spesso è anche quello di educazione motoria!). Crescendo, la situazione sociale non cambia, relegando la dimensione corporea, istintiva e naturale, ai margini o peggio ancora manipolandola per scopi di potere e controllo.
A questo esempio nulla calza meglio della sessualità, ignorata e allontanata come la tentazione a cui resistere o peggio ancora manipolata per acquisire prestigio, immagine sociale… Dal piacere al potere, versione XXI sec.
Invece, riconosciamo e restituiamo alla sessualità il ruolo di canale attraverso cui passa la forza promotrice del genere umano ed esperienza incredibilmente ricca di significati profondi. Conferirle il ruolo d’onore e d’amore che le spetta è un grandissimo passo verso il basso, verso la terra e la nostra stabilità come esseri umani felici.
Si tratta di una visione naturale della vita in cui il corpo, anziché essere una macchina per condurre il “capo” a fare shopping, rivendica il suo ruolo di protagonista. In cui la ricerca del piacere primario non viene da fonti esterne a noi, ma gode semplicemente del movimento, dell’ascolto dello spostamento del peso, della fluidità del corpo, del ballo come movimento intrinsecamente piacevole, anziché per mettersi in mostra o per la propria immagine sociale. In particolare è da notare come il ballo e la gioia nel muovere il corpo fine a se stesso, sia diffuso nei paesi più poveri e meno stimolati dal punto di vista tecnologico e intellettuale. Quei paesi del sud del mondo, “non civilizzati alla maniera occidentale”, mantengono un legame con la terra, una scioltezza nei movimenti, con un sorriso duraturo nonostante le difficoltà e le scomodità della vita. 

 

ZONA SIGNIFICATO STATO NATURALE STATO CONTRATTO
Anche Sessualità, funzioni escretorie piacere rigore morale, giusto-sbagliato
Ginocchia Sostenere/scaricare il peso accettazione Rifiuto, controllo, distacco
Caviglie Modificare la direzione del peso Adattabilità, cedevolezza Rigidità nel cambiamento
Piedi Appoggio, collegamento con la terra Fiducia, sicurezza in se stessi Mancanza di radici, instabilità psico-corporea

 

La guerra è finita, il KarateDo si è già aggiornato
Come praticanti e come insegnanti è necessario chiederci cosa sia utile tenere delle dinamiche di stampo militare e nazionalista tipiche del Karate del dopoguerra, rispetto alla pratica d’amore e di forza interiore che ci provengono dal passato. La risposta la troviamo nei bambini e nelle cinture bianche in genere, che si avvicinano al Karate Do con un bisogno.
Si sta rivelando efficace il Karate Do insegnato oggi? Se il Karate si pratica tutta la vita, come mai le arti marziali in generale hanno un tasso di abbandono elevato proprio subito dopo l’adolescenza? (Istat, maggio 2006). Sta a noi soddisfarlo o manipolarlo per perpetuare una non ben precisata “mentalità del Karateka” che, a guardare i numeri e il tasso di abbandono delle palestre (confrontare la differenza di presenze fra categorie cadetti e seniores), sembra quasi ritorcersi contro. Per i dubbiosi è sufficiente recitare i nomi dei Kata in italiano anziché in giapponese per rendersi conto dell’incongruenza tra il significato e la modalità con cui ci si approccia alla pratica dello stesso. Heian, pace e tranquillità; Kankudai, sentire il cielo ecc.

Non esiste mente e non esiste corpo come concetto di entità divise e separate.

La pratica “cieca”, basata unicamente sulla passione e sull’ardore tipici dei primi anni, deve pian piano lasciare spazio a un approccio più coerente che porti realmente giovamento al praticante. Tale approccio deve necessariamente superare uno stile didattico privo di riferimenti per il praticante. Uno stile che non conferisce strumenti di ascolto e autoanalisi. Anni e anni di pratica solo basata sull’assunto “un giorno capirai” stanno finendo e per molti sono già finiti. È giunta l’ora di fornire ai praticanti degli strumenti per poter lavorare se stessi, sul proprio corpo, anziché delegare al Maestro la consapevolezza dello stesso, de-responsabilizzandosi completamente.
Il KarateDo è “mani vuote”, “mani libere”. Il praticante di Karate potrebbe aver bisogno in questo momento storico di ricontattare la sua natura, la sua verità, il suo corpo, la sua energia e non ha bisogno di ordini, condizionamenti e distrazioni. Non deve essere privato del proprio potere personale. Insegnare ad ascoltare il proprio corpo significa conferire all’uomo la propria autodeterminazione, il primo gradino verso la libertà. 

Le radici del lavoro su se stessi sono in questi quattro punti che riproponiamo:  

  • Acquisire conoscenza
  • Ascolto di se stessi
  • Assoluto non giudizio 
  • Amore e dedizione

 

L’amore, il lavoro e la conoscenza,
sono le fonti della nostra vita.
Dovrebbero anche governarla.” 

Wilhelm Reich

 

Bibliografia
Istat. (maggio 2006), I cittadini e il tempo libero. 
Lowen, A. (1991), La Spiritualità del corpo, Roma, Astrolabio.
Marchino, L. (1995), La Bioenergetica, anima e corpo, Milano, Xenia.
Reich, W. (1994), Ascolta, piccolo uomo, Varese, SugarCo.
Reich, W. (1994), Bambini del futuro, Varese, SugarCo.
Funakoshi, G. (1988), Karate Do. Il mio stile di vita, Roma, Edizioni Mediterranee.

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