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La tecnica miracolosa del gatto

La tecnica miracolosa del gatto

Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso. Castellanza (VA) – 24.01.2009

(In KarateDo n. 14 gen-feb-mar 2009)

Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò

Il M° Matsuyama inizia l’incontro presentando il M° Koso, dando il benvenuto a tutti, ringraziando per la presenza e puntualizzando alcuni aspetti della traduzione per quanto riguarda dei vocaboli e i relativi significati.
Per esempio: Kokoro = Shin, tale accezione ha 6 varianti di traduzione:

  • mente, spirito, anima
  • pensiero, idea
  • cuore, animo, sentimento
  • considerazione, sincerità, compassione
  • amore
  • origine, principio

Quindi, quando il M° Koso dice Kokoro o Shin, si deve cercare tra le sei opzioni la più adatta, non una traduzione letterale, ma quella che meglio s’inserisce nel messaggio che il Maestro vuole fare arrivare.
La parola passa poi al M° Koso.

Buona sera a tutti, anche quest’anno posso incontrarvi e quindi vi ringrazio tantissimo per l’opportunità. Io sono veramente lieto d’incontrare il M° Shirai e soprattutto voi.

Un grande cuore potrebbe rispondere a qualsiasi tecnica.

Io non sono un monaco o uno studioso eccellente, ma piuttosto un monaco tonto. Come voi, attraverso il Buddhismo, vorrei migliorare il carattere e trovare la mia strada. Qui vi parlo soprattutto di quello che ho imparato e che sto imparando. Sarò felice se interverrete con suggerimenti che riportano l’esperienza del vostro cammino.
È iniziato il 2009, dall’ultima volta che ci siamo incontrati avete fatto dei progressi? Dove vi trovate oggi, a quale punto siete del percorso verso le vostre ambizioni? Ogni volta che vengo qui sento una profonda emozione nell’osservare come, attraverso il karate, percorriate la strada del miglioramento. Lo sento quando pronunciate all’unisono il dojo kun. Ci sento veramente un forte desiderio e una forte ambizione.
C’è una parola giapponese kotodamashi che significa “una sincerità profonda si realizza sicuramente“.
Questo modo di pensare si trova in tante altre culture e noi, senza pensarci, stiamo utilizzando questa grande potenzialità. Quando si trova qualcuno che piace, bisogna dirgli ‘ti amo’ o ‘ti voglio bene’, altrimenti non si può trasmettere il proprio pensiero. Quando si pronunciano queste parole bisogna che sia la verità, come un giuramento. Le proprie parole non devono essere bugiarde o di propaganda.
Nel caso del dojo kun viene da una profonda convinzione, che ha una grande forza e che serve a riportarla al proprio interno.

Oggi vorrei parlarvi di un testo interessantissimo mostratomi dal M° Shirai, intitolato Tecnica miracolosa del gatto, scritto da Issai Chozanshi, un esperto di arti marziali (XVII-XVIII sec.). Il suo vero nome era Tanba Jurouemon Tadaaki ed era un magistrato, governatore del porto. La storia è molto complessa, cercherò di riassumerla in breve. Prima però vorrei ricordare anche il M° Yamaoka Tesshu, maestro di spada, che ai suoi allievi fece conoscere molti testi, ma mai questo. Quando finirò il racconto provate a pensare voi il perché.

RACCONTO
Un tempo viveva un esperto di kendo e budoka, il suo nome era Katsuken. A casa sua c’era un grandissimo ratto che si aggirava come fosse il vero padrone. Katsuken pensò di eliminarlo chiedendo a qualche vicino l’aiuto di alcuni gatti per ucciderlo, ma il topo li aggredì facendoli fuggire. Dopo tale esito il Maestro cercò altri gatti più esperti, forti e feroci, ma ogni volta il ratto terribile e spaventoso li faceva fuggire. Katsuken si arrabbiò ed entrò in casa con il bokuto (la spada di legno), ma, invece di uccidere il ratto, rovinò pareti e porte di carta di riso, perché il topo si muoveva con rapidità e quasi lo aggredì.
Il Maestro, stanco, asciugandosi il sudore, si ricordò di aver sentito che c’era un gatto in un altro paese che era un famoso cacciatore e si decise a chiederlo in prestito. Quando, da lontano, arrivò il gatto, Katsuken si scoraggiò, perché, per l’aspetto, appariva poco credibile che potesse avere qualche successo. Comunque, almeno per la strada percorsa, provò lo stesso a buttarlo in casa. Inaspettatamente, appena il gatto vi entrò, il grande ratto si paralizzò e il felino, avvicinandosi piano piano, lo catturò uccidendolo.

La sera stessa tutti i gatti si riunirono alla sua presenza ed argomentarono dicendo che erano considerati degli esperti perché, oltre ai topi, avevano catturato lontre e donnole, avevano sempre cercato di migliorare la loro caccia, ma non avevano mai trovato un topo come quello. Rivolgendosi al gatto vincitore gli chiesero d’insegnare loro qual era la sua tecnica miracolosa, considerandolo un maestro. Il gatto venuto da lontano rispose sorridendo: «Saluto tutti i giovani gatti. Avete lavorato con molto impegno ma, forse, non avete mai considerato un principio della natura e quindi è successo per voi qualcosa d’inaspettato. Vorrei sapere da voi quale tipo d’allenamento avete fatto fino a oggi.»
Un primo gatto nero, giovane e con la faccia minacciosa fece un passo avanti: «Io sono nato da una famiglia di cacciatori di topi, quindi, mi sono allenato fin da piccolo a saltare paraventi di due metri, ad attraversare piccoli buchi, a muovermi veloce con tecnica acrobatica, usando anche la tecnica del fingermi addormentato e non ho mai fallito la cattura di un topo. Oggi, però, nulla ho potuto fare e quindi sono confuso su ciò che ho compiuto finora.»
Il gatto maestro rispose: «Ciò che hai imparato fino a oggi è l’abilità nel movimento e nella tecnica. Quindi, il tuo pensiero è frettoloso, perché rivolto solo all’esecuzione dei movimenti. Anticamente la tecnica era mostrata nel kata, il kata dimostrava i principi per essere gatto, per insegnare un comportamento. La tecnica è molto semplice, ma il significato è molto profondo. Oggi devi cercare di migliorare la tecnica rendendola più spettacolare, come se fosse sempre una gara. Quando esaurirai tutto ciò che hai imparato con quella tecnica, non potrai fare più nulla. Quando la strategia è basata solo sulla tecnica, la capacità di cacciare si può esaurire. La caccia di un gatto basata sulla presunzione della tecnica senza principio, diventa falsa e devia per una strada sbagliata. Migliorare se stesso pensando in tal modo, porta al contrario e quindi bisogna riflettere su questo.»

Se dentro di me nasce attaccamento, nasce ego, e lì si forma l’avversario stesso.

Un secondo grosso gatto tigrato uscì dicendo: «Io penso che nelle arti marziali l’importante sia la forza del ki e ho cercato di migliorarlo e fortificarlo. Sono diventato fortissimo e con un solo kiai posso sopraffare il nemico. Fissando solo con lo sguardo un topo che passa, riesco a catturarlo. Contro il topo di oggi, non ho capito il suo movimento e non comprendo perché.»
Il gatto maestro rispose: «Ciò che hai imparato con questo tipo di ki è detto kekki: ‘sangue caldo trasportato dall’entusiasmo, la mia energia è superiore a quella degli altri’. Questo non è un buon modo di pensare: ‘io voglio vincere con il mio ki, ma anche l’altro può contrattaccare con il suo. Il tuo ki si può paragonare alla potenza dell’acqua di un’alluvione, che però si esaurisce e non ha confronto con quella di un grande fiume che scorre costante. Se incontri un avversario con un’energia maggiore della tua, come fai? Un proverbio dice che un topo spaventato aggredisce il gatto. In questo caso quel topo ha dimenticato il suo interesse, se vincere o perdere, ha combattuto per sopravvivere e basta! In questa situazione il gatto non può combattere solo con il suo ki

Un terzo gatto grigio, più anziano, disse: «Tutte le cose sentite dal maestro sono giuste. Se si agisce con kekki lo si dimostra anche all’altro e, quindi, egli avrà pensato di non competere armonizzando con l’avversario. La mia tecnica l’ho basata cercando di essere come un telo che riceve i sassi lanciati dall’avversario, assorbendoli e demoralizzandolo perché la sua azione risulti inefficace. Ma il topo di oggi non ha ceduto e non si è lasciato coinvolgere dalla mia armonia, si atteggiava come un dio.»
Il gatto maestro rispose: «La tua armonia è molto più profonda di kekki, ma non è naturale, è intenzionale. Utilizzando questa tecnica l’avversario intuisce facilmente la strategia, hai cercato di fare in un modo sempre più armonioso, che ha impedito di rispondere con naturalezza e quindi ha impedito un tuo movimento miracoloso. Se noi gatti ci muoviamo affidandoci all’istinto, senza pensare di affidarci a qualche tecnica, nasce la vera tecnica profonda, non superficiale. Allora sì che diventa veramente naturale, senza che possa essere letta dall’altra parte e la tua armonia diventa imbattibile. Voi tre gatti che avete parlato, rappresentate la tecnica, il ki e il kokoro. Quello che avete fatto fino a oggi non è inutile, tutte le cose vengono dalla propria esperienza. La tecnica deve basarsi sul principio come motivo d’utilizzo, se c’è un ki con attaccamento a qualcosa, esso non può considerarsi libero. Un grande cuore potrebbe rispondere a qualsiasi tecnica. Nell’armonia, un attimo di pensiero (la tattica) si sente e rompe l’efficacia. Bisogna essere disinteressati. Quello che ho detto fino a qui non riguarda la tecnica ideale, che ancora non mi appartiene ed è sopra di me.
Tempo fa un vicino di casa aveva un gatto che dormiva dalla mattina alla sera, sembrava di legno. Non gli ho mai visto catturare un topo, ma dove c’era lui non c’erano topi! Per quattro volte gli ho chiesto il suo segreto e non mi ha mai risposto. Forse non perché non voleva, ma perché non lo sapeva, ma sicuramente aveva il coraggio per combattere. Egli non combatte e non cattura, è in uno stato mentale elevatissimo. Io non sono ancora al suo livello.»

Il M° Katsuken ascoltò questo dialogo tra gatti come se fosse un sogno e pensò di domandare al gatto maestro alcune cose: «Anch’io sto approfondendo la via della spada, ma non sono arrivato a comprenderla totalmente. Sentivo prima la vostra conversazione, ho capito che è un discorso molto profondo e vorrei capire ulteriori segreti.»
Il gatto maestro rispose: «Io sono un animale, il topo è il mio cibo. Io non conosco il pensiero delle persone, ma ho sentito qualcosa sulla tecnica della spada, che non è per vincere la persona. Quando ci s’incontra in una situazione di vita o di morte la tecnica del kenjutsu è la tecnica di come sopravvivere. Il samurai deve coltivare sempre questo pensiero per scoprire la ragione della vita attraverso la tecnica. La cosa più importante è come vivere con il proprio scopo. Non deve essere scontroso, avere dubbi, né confondere, né essere o pensare superficiale, deve essere flessibile nel pensiero, calmo e tranquillo. Se questi principi diventano parte del proprio comportamento, allora si può rispondere a qualsiasi situazione pericolosa. Diversamente, se manca qualcosa o vi è un piccolo attaccamento o ci si sofferma sui propri pensieri, nasce il proprio ego, nasce il nemico dentro di sé. Inizia a combattere e a confrontarsi e, alla fine, è battaglia. In questa condizione non può più attuare il cambiamento della situazione. Questo pensiero diventa così pericoloso da non liberarsene e a quel punto si perde se stessi. Se per caso si vince, quella è fortuna e non è normale nella via della spada. Quando dico senza attaccamento, senza soffermarsi, intendo né io né il nemico; significa muoversi senza lasciare traccia. Conoscendo questo principio di pratica quotidiana la strada diventa vicina.»

Katsuken continuò: «Cosa vuol dire senza avversario, senza Io?»
Il gatto rispose: «Se dentro di me nasce attaccamento, nasce ego, e lì si forma l’avversario stesso. Se questo non avviene, non nascerà mai il contrasto. Il mio cuore è limpido, il mondo è limpido, essi non sono separati. Tutte le cose nascono dal mio pensiero, dalla mia gioia e dal mio dolore. Ci sono pro e contro, tutte le cose nascono per interessamento del mio pensiero, non vi è un prima. Bisogna imparare ad approfondire e capire se stessi.
Un vecchio proverbio dice che quando entra la polvere negli occhi non posso più aprirli, né posso più vederla. Originariamente dentro gli occhi non vi è nulla, ma se entra qualche corpo estraneo non si riesce più a vedere. Ecco, il nostro kokoro è uguale.
Circondato da dieci milioni di nemici io sono piccolo, ma se ho un pensiero molto profondo, essi non mi fanno tremare il cuore. L’indecisione del mio pensiero lascia spazio all’avversario, il mio dubbio gli crea l’occasione

Il samurai non deve essere scontroso, avere dubbi, né confondere, né essere o pensare superficiale, deve essere flessibile nel pensiero, calmo e tranquillo.

Il monaco Koso riprende con i presenti.
Quello che voglio dire è dentro questo, per il resto proseguite la vostra pratica.
Il maestro può trasmettere la tecnica o il suo principio, ma chi può coltivarli per renderli propri, siete voi. Il maestro non lo insegna, non perché non lo sappia, ma perché non si può trasmettere attraverso le parole. La posizione del maestro non è per donare il pensiero, ma per suggerire qualcosa che gli allievi non possono vedere, per aiutarli a trovare il proprio cammino. Insegnare non è facile, sentire questo racconto è facile, ma farlo diventare vita è difficile. E ancor più difficile è trovare da soli la propria strada.
Come avete sentito è un racconto interessante. A chi pratica da tanto tempo karate non servono altre precisazioni. Si tratta solo di un problema di cuore, di kokoro.
Miamoto Masashi quando era giovane rifletteva: «Ho fatto circa sessanta incontri vincendo. Sicuramente ho avuto fortuna, una tecnica superiore o una strategia migliore dell’avversario, ma non era vera via della spada».
Quello che dicevo la volta scorsa è di non soffermarsi solo in un posto, ma di fare vivere il pensiero. Quando parliamo di kokoro posso fare un esempio.
In un racconto di un poeta buddhista del II sec. Memyo, si dice che in nostro kokoro è uno, ma diviso in due parti. Il primo si può paragonare al mondo intero, esso non nasce o scompare, non aumenta o diminuisce. Il secondo dipende dall’ego, nasce poi scompare, poi nasce ancora. Essi sono due, ma inscindibili. Si potrebbero paragonare all’acqua del mare: quando c’è il vento si formano le onde, ma il mare resta mare. Quando il vento si placa scompaiono le onde e resta sempre il mare. Il mare non si distrugge con il vento.
Infine, pensate a perché il M° Yamaoka Tesshu non ha raccontato la Tecnica miracolosa del gatto ai suoi allievi…

Ci vediamo presto. Vi ringrazio per la vostra presenza e per avermi ascoltato.

Gassho, M° Mitsutaka Koso.

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